Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Casa” di Laura Montagna

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Soffiava un robusto maestrale, non così forte da far sparire la spiaggia tra la spuma delle onde lunghe ma abbastanza per cancellare subito le impronte lasciate sulla sabbia e affaticare il passo. C’erano pochi filamenti di nubi nel cielo e un’atmosfera così tersa che permetteva di scorgere le cime innevate della Corsica all’orizzonte.

Vidi il mio compagno rimettere il cellulare nella tasca della giacca. Si era allontanato di qualche metro, chiudendosi con la mano l’orecchio libero per escludere il fragore del mare mentre ascoltava, e ora nel tornare verso di me aveva uno sguardo desolato.

– Cosa succede? – chiesi, cercando di controllare l’ansia.

– Hanno già concluso l’affare. Possiamo ancora sperare che non concedano il mutuo, ma temo che sia davvero improbabile. –

Avvertii una dolorosa fitta allo stomaco.

– Perché non ci hanno avvisati quando si è fatto avanti qualcun altro? Avremmo potuto rilanciare l’offerta. Lo sapevano che lo avremmo fatto! Lo sapevano benissimo! –

– Che ti devo dire? E’ andata così. –

– Non posso crederci. Ed è già la seconda volta. –  il vento mi colpì in faccia quasi volesse schiaffeggiarmi.

Solo qualche mese prima ci eravamo visti soffiare sotto il naso un bilocale con una grande terrazza. E ora accadeva lo stesso con la porzione di quadrifamiliare più giardino. Che quel luogo ci avesse preso in antipatia e non ci volesse tra i piedi? Che anche al giorno d’oggi fosse necessario celebrare qualche rito propiziatorio in onore di Fuflunus, antico nume tutelare della costa degli etruschi, per essere accettati sul suo territorio? O forse qui gli agenti immobiliari lavorano in un modo tutto loro, incomprensibile per chi non è del posto?  Però stavolta era più dura. Stavolta ci avevo creduto davvero e quella casa la sentivo già mia. Non appena ero salita su per le scale avevo avvertito un odore che mi aveva fatta tornare bambina. Un profumo di casa vecchia, di intonaco, di legno e di chissà cos’altro. E avevo ricordato quando insieme al nonno andavo dai suoi amici in Maremma. La loro cascina, con le volte a botte, i camini immensi e le travi di legno a vista si era riaffacciata in quel momento alla mia mente. L’appartamento che stavo visitando non aveva nulla di paragonabile, ma la sola presenza di un caminetto, del pavimento in cotto e la finestrella della cucina sotto al tetto spiovente mi aveva fatto sentire come allora, fra vecchi amici.

E’ questa, mi ero detta, Questa e nessun’altra.

In verità avevamo escluso sistemazioni che non fossero vicino al mare e solo per curiosità ci eravamo spinti a dare un’occhiata in collina. I prezzi erano più abbordabili e noi avevamo a disposizione una cifra piuttosto esigua, ereditata da una mia prozia, ma l’idea di sentire il rumore del mare dalle finestre aperte e la comodità di uscire di casa per gettarsi in acqua nel giro di pochi minuti ci pareva assolutamente irrinunciabile. Eppure dall’istante in cui ero salita su per quella scala non avevo avuto più dubbi. Io volevo una vera casa, un posto che avesse un carattere, una storia, e non un altro anonimo appartamento, troppo simile a quello dove vivevo. Poteva anche essere scomodo per passare delle vacanze riposanti ma avevo bisogno di un luogo da amare, e averlo scoperto era per me come lo spalancarsi improvviso di una porta su un mondo nuovo e sorprendente.

La casa faceva parte di in un villaggio minerario, sorto un’ottantina di anni prima per i dipendenti della vicina cava di calcare, ed era composto da un gruppo di edifici quadrifamiliari tutti uguali. Ogni appartamento aveva il suo giardino e l’atmosfera che vi si respirava era quella del paesino di campagna, con le signore sedute a chiacchierare sulla panchina del belvedere al tramonto e gli uomini raccolti all’osteria del cacciatore per un bicchiere di rosso in compagnia prima di cena. Sentire le loro voci dal morbido timbro aspirato mi faceva star bene, come se fossi capitata in una sorta di Brigadoon nostrana, nella quale curiosamente i vicini si salutano quando si incontrano e si chiamano per nome.

Pur riservandoci un po’ di tempo per riflettere, all’agenzia immobiliare avevamo lasciato intendere tutto il nostro interesse. Sembrava impossibile che non ci avessero contattati quando avevano ricevuto una proposta di acquisto da altri. Ci fermammo a guardare il mare in subbuglio.

– Che idiota che sono. Mi viene da piangere. –

Il mio compagno sorrise e mi baciò lieve sulla fronte, come per consolare una bambina alla quale è sfuggito il palloncino. Ed era proprio così che mi sentivo. Ero stata sul punto di agguantare il mio palloncino, ma impotente me lo ero vista sgusciare fra le dita e allontanarsi portato via dal vento.

Nei giorni successivi passammo al setaccio tutte le immobiliari dei dintorni. Quelle case sono tante e tutte uguali. Ce ne sarà almeno un’altra in vendita. Ma gli agenti sorridevano con commiserazione non appena nominavamo il villaggio minerario. Nella maggior parte dei casi si limitavano a dire che non si occupavano di quella zona, e con ciò ci facevano capire che erano seri professionisti, mica dei perditempo, e lavoravano con i turisti pieni di soldi, non certo con gli sfigati che volevano una casupola in collina. Qualcuno di loro, tentando di portare acqua al proprio mulino, cercò perfino di persuaderci che il villaggio minerario non era posto per noi. Era mal servito, abitato solo da locali e troppo lontano da qualsiasi luogo potesse interessarci.

– E poi, lasciate lo si dica, sono case vecchie, quasi tutte con gli infissi o il tetto da rifare. – ci aveva apostrofato per ultimo un tipo segaligno con un sorriso da lupo che fiuta la preda. – Io non tratto più nulla da quelle parti proprio perché le conosco troppo bene. Le finestre del piano terra danno sempre sul giardino dei vicini ed è una cosa che lì per lì non ci si bada, ma può anche diventare un problema. Senti un po’ Mario – si era poi rivolto al suo assistente – dimmi, che ce l’abbiamo ancora quel trilo sopra la Coop, con terrazza vista mare, a dieci minuti dalla spiaggia, che gl’è perfetto per i signori? –

Avevamo ancora pochi giorni di ferie e li impegnammo a setacciare il villaggio alla ricerca di cartelli di vendesi. Ci restava ancora la speranza che qualche proprietario intenzionato a monetizzare procedesse autonomamente. Ma di cartelli neanche l’ombra. Così ce ne tornammo a Milano con i musi lunghi e quasi senza aprire bocca per tutto il viaggio. E a casa non avemmo certo occasione di tirarci su il morale. Io finii in fondo alla graduatoria degli insegnanti precari e non venni più chiamata. Il mio compagno perse il suo lavoro, riuscendo a mantenere solo un contratto da consulente, e rimasi pure incinta. Eravamo di umore così nero che rischiammo di lasciarci sul serio. Poi una sera suonò il telefono.

– Ciao! Eri te che volevi t’avvisassi se si vendeva qualcosa da ste’ parti? Te ti interessa ancora? –

Avevo dimenticato di aver lasciato il mio recapito all’osteria del cacciatore, se mai si fosse mosso qualcosa.

– C’è uno c’ha ereditato, e si vende casa e podere. Vi garba? –

C’è una fila di edifici, in apparenza del tutto anonimi, seminascosti dagli ulivi. Segnano il confine del villaggio, subito sotto l’ampia esse della strada maestra, verso il mare. Da lì lo sguardo scende libero verso Capraia, l’Elba e la Corsica, e nelle giornate limpide, è possibile scorgere anche la piccola Gorgona, in fondo, sulla destra. L’ultima casa della fila, al di là della quale comincia il bosco, ha davanti una maestosa buganvillea che con i rami fioriti copre il pergolato del giardino. E poi c’è l’uliveto, che scende per quasi un ettaro, con i suoi tronchi plasmati in forme del tutto degne dei Prigioni di Michelangelo.

Firmai il contratto senza esitazione, sebbene la casa avesse bisogno di una bella ristrutturazione prima di tornare abitabile, e non sapessi nemmeno in quale stagione si colgono le olive.

– Dove troveremo i soldi per rimetterla apposto? – eccepiva saggiamente il mio compagno, scuotendo la testa. Ma io volevo che nostro figlio crescesse in un posto pieno di sole, dove fosse bello stare. Un posto da chiamare casa, anche se con la c aspirata. E andai avanti. Vendemmo tutto, perfino i mobili, e ci trasferimmo. Poi, quando nostro figlio compì un anno, il mio compagno se ne tornò in città.

– Non ci riesco a fare il contadino. – aveva detto.

Ma io, che dalla finestra vedo un bambino ridere mentre rincorre il cane tra gli alberi, e un prato dove nelle sere di maggio si accendono così tante lucciole da far pensare a un festival di addobbi natalizi, continuo a credere di aver fatto la cosa giusta. E poi lo so che anche lui, suo padre, un giorno o l’altro scenderà dalla macchina e aprirà il cancelletto con un gran sorriso, perché in fondo anche per lui è questo il posto dove tornare.

(L’autore fa presente che il racconto è frutto di fantasia e ogni riferimento a luoghi, fatti o persone reali è del tutto casuale.)

 

Loading

19 commenti »

  1. Racconto scritto molto bene, con tocco leggero ed emozionante. Pare proprio di vedere questa casetta in collina e il mare all’orizzonte!!

  2. Scritto bene sicuramente ma molto molto scontato…….al termine della lettura mi sono chiesta cosa mi aveva rilasciato e la risposta è stata…..nulla

  3. Ringrazio Giovanna per l’apprezzamento, e Caterina per le critiche.
    Certo è un racconto “stile diario” che quindi non ricerca l’effetto, ma la quotidianità, la linearità se vuoi della trama.
    L’intenzione è proprio quella di parlare di vita vissuta, senza ricercare ecclatanti colpi di scena. E quello che mi dice Caterina mi fa piacere, visto che conferma la riuscita delle mie intenzioni: parlare del semplice quotidiano.

  4. Mi scuso se sono stata un pochino dura ,Laura, il problema qui non è scrivere solo con semplicità di fatti e situazioni del quotidiano, il problema è che si distinguono, tra gli altri racconti, quelli che,oltre a trattare di problemi della vita di tutti i giorni, come la scelta e l’acquisto di una casa, “dicono” in più qualcosa di nuovo e di diverso. Ma, ripeto, il tuo racconto è comunque scritto bene.

  5. mi ricorda quei cartoni animati come “Milly un giorno dopo l’altro”, quante piccole saggezze in quelle puntate da 23 minuti..

  6. Qui si potrebbe aprire un bel dibattito da forum!!!
    E’ più letteratura ciò che parla del quotidiano, del non ecclatante, o lo è di più quella dalle tinte fosche e dalle grandi emozioni?
    In un mondo come il nostro c’è fin troppa ricerca di emozione, che, vi dirò, a lungo andare tende a diventare ripetitiva. Io adoro i romanzi di avventura, ma ultimamente mi sembrano tutti uguali …
    Ci sono però tanti autori contemporanei che parlano della vita quotidiana. Basta pensare ad Alice Munro, a Elena Ferrante, o a uno splendido romanzo come “Stoner” di J. E. Williams, che fa di una vita che più banale non si può un vero capolavoro. Con ciò non voglio certo paragonarmi a questi grandi scrittori, ma solo dire che a mio parere l’ecclatante che va tanto di moda spesso, gratta gratta, non ti lascia proprio nulla …

  7. su ciò che hai commentato sull’eclatanza di moda che non lascia nulla credo che non sia possibile farne una regola (a parte le cafonate tipo eplosioni e sparatorie tra superfichi); per me ad esempio è eclatante se in un racconto un personaggio mette in un panino tonno e formaggio e nessuno gli dice nulla. Uno spaccato di vita, quello che hai scritto, che assomiglia più ad un colore che ad un racconto propriamente detto, se fosse musica sarebbe un’ambient music, tipo -Music for airports- di B. Eno.

  8. Grazie Marco! Concordo pienamente su quanto dici del panino tonno e formaggio!! 🙁
    Bella l’idea del colore …. A pensarci bene è vero: volevo creare un’emozione, dare un’idea. D’altra parte in 5 cartelle non è facile fare più di così …
    Per inciso, adoro Brian Eno!!! 🙂

  9. La protagonista mi sembra una donna egoista nel senso che lei può avere tutte le ragioni che percepisce nel cercare questa casa campagnola, però il marito fa la figura di quello che viene trascinato in questo crinale della casa country ad ogni costo. Poi lui comincia a fare il risoluto oltre il tempo limite e deve pagare il prezzo di allontanarsi dal bambino di un anno.
    La protagonista rimane li speranzosa a guardare il bambino che ancora non avverte la mancanza di una figura maschile. Una commedia degli equivoci questo racconto che entra nelle tenebre di una coppia senza dialogo.

  10. Quando ho scritto questo racconto non ci ho pensato, ma è indubbiamente un modo di vedere la storia. Non ricordo chi l’ha detto, ma ciò che si trasmette in un’opera di narrativa non è tanto quello che lo scrittore si prefigge a priori, quanto ciò che alla fine arriva a chi legge. Ben venga se a te ha dato questa impressione! Confesso che ho dovuto fare i salti mortali per rientrare nei 9.000 caratteri previsti dal regolamento, e questo mi ha posto davanti ad una scelta: Ridurre all’osso la trama o tagliare l’ambientazione? Ho preferito la prima soluzione, che mi ha portato a una sorta di “minimalismo ambient” che però non mi sembra un cattivo risultato.

  11. minimalismo ambient? CEMF

  12. In effetti è una definizione un po’ buffa, ma volevo ricollegarmi a quanto detto da Marco sul colore e sulla musica di Brian Eno.

  13. Io lo trovo un racconto scritto davvero bene..e no, non lo trovo banale. Si dovrebbe sdoganare questa convinzione che si scrive perché si ha qualcosa da dire, non è affatto vero. Si scrive. Perché se ne sente il bisogno. Ho letto racconti di grandi maestri in cui non accadeva assolutamente nulla. Certo, che sia più o meno adatto poi a un concorso letterario è un altro paio di maniche. Forse non troppo, forse hai ragione nel definirlo più una pagina di diario. Però è una pagina di diario scritta davvero bene 🙂

  14. Ciao Laura, del tuo racconto ho apprezzato la capacità di risolvere in poche righe problemi che nella vita hanno una durata di anni (perdere un lavoro, portare avanti una relazione). Dal racconto di una vicenda privata, emergono problemi importanti (il precariato, i rapporti commerciali).
    Quello che forse mi convince meno è l’uso di espressioni un po’ usurate, come “robusto maestrale”, “bambina alla quale è sfuggito il palloncino”.
    Grazie per il tuo commento!
    -Tommaso

  15. Ciao Tommaso!
    L’uso di frasi fatte è sempre stato il mio problema. Ho imparato a controllarmi, ma qualche volta mi sfuggono ancora. Grazie per avermi dato la tua opinione.
    In bocca al lupo!

  16. Bel racconto, scritto molto bene, tanto che al lettore pare quasi di partecipare pure lui alla ricerca della casa.
    Me la sono vista davanti agli occhi anche io: con la maestosa buganvillea che con i rami fioriti copre il pergolato del giardino e l’uliveto che scende per quasi per un ettaro.
    Molto suggestiva l’immagine finale: la donna che alla finestra vede il suo bambino ridere mentre rincorre il cane tra gli alberi.
    Chi non ha desiderato vivere in un posto così, almeno per una parte della sua vita!
    Mi sento di criticare soltanto la decisione del padre del bambino, che decide di andarsene. Ma anche a me, come lettore, è rimasta la convinzione che un giorno o l’altro ritornerà, perché anche per lui quello è il posto dove tornare.
    Se l’altro tuo racconto aveva le tinte forti di un tema difficile, impegnativo e scottante, questo assomiglia di più a un quadro con colori pastello.
    Ma lo stile narrativo è sempre lo stesso: coinvolgente, pulito e incisivo.
    Brava.

  17. L’avevo già letto e devo dire che è originale. Gran parte del testo, scritto molto bene, riguarda la ricerca di una casa e i particolari architettonici. Nel finale si gioca tutto: trasferimento, vita contadina, lui abbandona lei e il figlio, la speranza di un suo ritorno. Il problema viene dal taglio delle battute, non si poteva evitare. Pur restando un buon testo avrei dilatato il finale e non perchè non sia chiaro, è chiarissimo, ma per lasciare maggiore rilevanza a emozioni e sentimenti del narratore.

  18. E’ vero Amaso, il finale poteva essere approfondito di più. Ma avrei superato il limite consigliato dal regolamento, e non ho voluto farlo.
    E’ stata quasi una sfida: “riuscirò a fare qualcosa di buono anche restando nelle 9.000 battute?”.
    Grazie per averlo letto e commentato.

  19. Il “bi-sogno”della casa che si sente propria e che fa rivivere sensazioni e ricordi è comune a tanti (non a tutti…). Trovare qualcuno con cui condividere il progetto ed avere percezioni simili è importante, non saprei dire se fondamentale, ma aiuta a far finire meglio il racconto. Però chissà, magari poi lui ci ripensa e ritorna davvero. Intanto lasciamo almeno che il bambino corra tra gli alberi. Lui è contento. E anche io, dopo la lettura della tua storia.

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.