Premio Racconti nella Rete 2013 “Acqua e Olio” di Mario Menditto
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Esistono dei momenti di vita che lasciano un segno più indelebile di una cicatrice sulla pelle. E quelli che mi ha lasciato lei li ricordo ancora con una nitidezza che mi lascia sgomento.
Ero emozionato. No, ero agitato.
Eppure quella sera non avrei voluto neanche uscire.
E invece alla fine mi ero lasciato convincere. Una cena tra amici e vari conoscenti, una breve sosta lungo il percorso di consapevole e serena solitudine che mi ero ripromesso di seguire, almeno per il momento; una condizione, in fondo, accogliente, che riduceva il rischio di incorrere, prima o poi, in qualche situazione che potesse rivitalizzare sensazioni e ambizioni di spirito e di cuore che non avevo nessuna voglia di rimettere in moto.
Per la pigrizia di dover inventare la solita scusa, stavolta avevo accettato l’invito.
L’intenzione era quella di arrivare, incollarmi sul viso un bel sorriso di circostanza, fare il minimo indispensabile per non rendere evidente il vero motivo della mia presenza lì e ritornarmene, auspicabilmente prima di mezzanotte, al mio rifugio, senza subire interferenze di sorta.
E invece, come spesso accade quando si concede anche solo uno spiraglio al vento, la finestra che avevo con tanta cura e ostinazione tenuta chiusa, quella sera si spalancò con forza.
Ebbi solo il tempo di intuirlo; ma tra l’intuizione, nel momento in cui si accese e lo sguardo, purtroppo per me, fu più veloce il secondo e ciò vanificò l’avvertimento del primo: la vidi scendere le scale, ci presentammo, lei si sedette al tavolo, al posto alla mia sinistra. Ero ancora al sicuro fino a quel momento, sembravo non correre rischi. Poi mi girai verso di lei, non ricordo neanche per dirle cosa. E lei mi sorrise.
Avevo imprudentemente concesso allo spiraglio di passare e quello si portò dietro la tempesta.
Quel sorriso mi si stampò in mente e lì rimase, come la luce intensa di un flash, che impressiona la retina e lascia un alone che tarda a sparire e che rende ciechi per un pò.
Non capii subito, allora, a cosa stavo andando incontro. Eppure ora lo so, mi si era già accesa una scintilla, una miccia, solo che i miei sensi non erano ancora in grado di percepirla. E ancora mi ricordo lì, paralizzato, non sapendo bene cosa fare…
Ci pensò lei, Anita, a scuotermi dalla paresi, durante la pausa tra il primo e il secondo. “Com’è che ti chiami, che non ricordo?”
“Mi chiamo Walter”, risposi.
“Ah già, è vero. Senti Walter, io mi vado a fumare una sigaretta fuori al balcone. Vieni a farmi compagnia?”.
“Veramente io non fumo”, obiettai.
“Dai vieni, accompagnami”, incalzò lei alzandosi, dandomi l’impressione di non aver neanche ascoltato la mia risposta.
In quel momento ebbi modo di guardarla un pò più attentamente, cosa che non avevo avuto il tempo di fare quando i miei occhi erano distratti dal suo viso, mentre era scesa dalle scale mezz’ora prima.
Sembrava avesse scelto i vestiti in base al criterio della massima distanza sulla scala cromatica: indossava una camicetta verde bottiglia a pois viola, fuori da un paio di pantaloni di velluto a costine fini di color arancione, che le strizzavano i fianchi, obiettivamente in maniera che valutai subito molto sensuale.
Le zampe di elefante dei pantaloni le nascondevano quasi del tutto le scarpe: un paio di stivaletti bicolore di cui si intuiva solo la punta squadrata, artificialmente lisa. Intorno al collo una collana di pietre variamente colorate che le arrivava all’altezza dell’ombelico.
Mi alzai e ci avviammo insieme verso il balcone, lei avanti e io subito dietro.
Ciò mi consentì, tra l’altro, di trovare immediata conferma che la sensualità suscitata dai suoi fianchi, fasciati dai pantaloni color “arancio evidenziatore”, era ben giustificata dal resto delle forme.
Poi si fermò improvvisamente e, girandosi verso di me, non prima di avermi lanciato uno sguardo a metà tra l’ironico ed il curioso, mi interrogò: “Ma sei venuto qui direttamente dall’ufficio?”.
“Veramente no, perchè me lo chiedi?”. E ricordo ancora che il suo viso assunse l’espressione che si addice a colei che trova conferma a qualcosa che già sospettava: “No, così…”, mi rispose, fissando insistentemente il mio gilet blu di maglia sulla camicia azzurra.
Si girò, continuammo verso il balcone e, arrivati, uscimmo fuori.
Iniziammo a raccontarci un pò del lavoro, mentre lei armeggiava distrattamente nella sua borsetta verde militare, dalla quale penzolava, attaccata al manico con una catenella, un minuscolo teschio rosso, tirandone fuori infine un pacchetto di sigarette ed un accendino.
Poi si accese una sigaretta e, aspirata una prima boccata, sentenziò inaspettatamente: “Mio Dio, mio nonno ha un gilet uguale al tuo!”, sbottando a ridere fragorosamente.
Ma io non mi feci trovare impreparato: “Ma se sembra che tu sia sopravvissuta ad un’esplosione di una fabbrica di vernici!”.
La conversazione, da quel momento in poi, proseguì molto più rilassata mentre cresceva in ognuno la voglia di conoscere di più l’uno dell’altro, incuriositi dalle nostre reciproche differenze, dalle evidenti diversità di gusti, vedute, abitudini. Fu chiaro presto ad entrambi che ci saremmo rincontrati presto.
“Che fai domani?”, le chiesi infine.
Mi fissò negli occhi e aspirò lentamente un’altra boccata di fumo dalla sigaretta. Quel gesto, pur cosi semplice, diede una piega particolare alle sue splendide labbra, mettendone ancora più in risalto la carnosità. Una piega di cui ancora ricordo l’estrema sensualità.
Fianchi e labbra: i tratti che noto di più in una donna. E lei li aveva entrambi da dieci, almeno secondo la mia scala di valori: credo che la decisione di far rimanere in letargo le mie velleità amorose cadde in quel preciso momento.
Poi disse ciò che allora valutai come un pareggio in una ipotetica partita di calcio: “Domani non lo so, ho un mezzo impegno. Facciamo così: mi lasci il tuo numero di cellulare e domattina eventualmente ti chiamo”.
“Un mezzo impegno? Ma che roba è un mezzo impegno?”- Pensai in quel momento, nascondendo la delusione per il pareggio appena incassato. – “Diamine, se hai un impegno dimmelo subito, lo capirei. Un impegno equivale ad un impegno. Mezzo impegno equivale ad una scusa. Lo sanno pure i bambini!” – Rimuginai tra me e me.
Le lasciai il numero di telefono, che lei memorizzò sul suo cellulare avvolto da una copertina rossa che raffigurava tante piccole facce del Che Guevara con il sigaro in bocca e rientrammo in casa.
“Pronto, allora che si fa?”.
Erano le 9.30 di una domenica di inizio gennaio ed evidentemente il mezzo impegno fu ulteriormente declassato ad un non impegno.
E dunque Anita e i piccoli Che rossi che fumavano il sigaro avevano rispolverato il mio numero per accordarsi sul da farsi.
Bofonchiai qualcosa, preso alla sprovvista.
“Ok, senti, c’è una retrospettiva sul cinema norvegese alla Casa del Cinema a Villa Borghese. Andiamo in Villa, ci portiamo due panini e mangiamo lì sul prato. Poi nel pomeriggio ci spariamo la rassegna su Bent Hamer dalle tre in poi. E’ in norvegese, ma ci sono i sottotitoli. Ti va?”. – Mi propose, non senza manifestare un certo entusiasmo che allora giudicai, pur con tutta la buona volontà, ampiamente ingiustificato.
Abbozzai: “Veramente avevo pensato di andare a fare una gita al mare. Prenoto un ristorante che conosco, dove si mangia del buon pesce e facciamo una passeggiata. Che ne dici?”.
Accettò.
Arrivammo ad Anzio verso le 12.45. Avevo prenotato per le 13.00 in un ottimo ristorantino al porto. Il tragitto in auto fu abbastanza tranquillo. Il clou del viaggio, però, fu all’inizio, quando lei salì in auto.
“Oddio, ma quelli sono rombi??” – Esclamò, con un piede dentro l’auto ed uno di fuori.
“Cosa? Dove?”. “Quelli”. – Mi disse, indicando il maglioncino grigio a varietà di rombi che indossavo. Erano oggettivamente e inconfutabilmente rombi.
“Beh, si, a meno che non vogliamo definirli dei rettangoli sbilenchi. Magari ti farebbero meno impressione, ma geometricamente sarebbe una definizione scorretta”. – Sorrisi.
Sorrire anche lei, non dopo un doveroso “Oddio!”, entrando in auto- vincendo il proprio ribrezzo per il mix di rombi-, lei, i suoi pantaloni viola, la sua camicetta viola e la sua sciarpa viola; aveva inforcato gli occhiali da sole con montatura viola ed eravamo partiti per il mare.
Era una giornata fredda, ma con un cielo limpido e terso, di un azzurro pastello che riesce a vedersi solo nelle giornate invernali.
“Allora, dove si va?”, mi chiese Anita.
“Ho prenotato in un ristorante al porto. Ho fatto una ricerca su internet e ha ottime recensioni, soprattutto da chi ci è già stato”.
“Ah”, emise perplessa. “Ma ogni volta che vai da qualche parte ti informi prima?”.
“Di solito si. Non mi piace sbagliare e preferisco organizzarmi perchè ciò non accada. In genere mi va bene”.
“Mah, io invece improvviso. Scelgo come capita, mi piace provare, sperimentare”. Contestò lei.
“Anche a me piace sperimentare. Ma se riesco anche a non farmi fregare sono più contento”.
Mi guardò perplessa, come una che sembrasse annotare una voce in un elenco di cose nella propria mente e proseguimmo camminando lungo la banchina.
Arrivati al ristorante ci accomodmmo al tavolo.
Consumammo un ottimo pranzo a base di spaghetti cozze e pecorino e pesce al forno, innaffiati da una fresca falanghina dei campi flegrei, che lasciammo a metà.
“Dai, andiamo a farci una passeggiata in spiaggia. Prendi il vino”. Mi disse, alzandosi. E continuò: “Ci portiamo la bottiglia, che ce n’è ancora un bel pò”.
Uscimmo, avviandoci verso la spiaggia a levante, a pochi metri dal ristorante.
Giunti alla spiaggia Anita si fermò a guardare il mare, incredibilmente fermo e rilucente ai raggi del sole calante: “certo, tutto perfetto, proprio un quadretto da romaticismo spinto..”, sussurrò.
Notai di nuovo sul suo viso quella strana smorfia di perplessità, come se dentro di lei ci fosse in corso una discussione tra due Anite in disaccordo, sicuramente entrambe vestite di viola, ma comunque in disaccordo.
Si tolse le scarpe, si arrotolò gli orli dei pantaloni e scese sulla sabbia.
La seguii con tutte le scarpe e la bottiglia.
Camminammo fianco a fianco per qualche metro, bevendo qualche sorso a testa. E più camminavamo più mancavano le parole e subentravano i pensieri.
Ci fermammo quasi sulla riva, lei a piedi nudi, io con le scarpe ricoperte di sabbia. Tornare all’auto con un nulla di fatto oramai era fuori discussione.
Ma sembrava che entrambi stessimo lottando contro qualcosa. Io sicuramente, ricordo, con la sabbia dentro le scarpe.
Fu allora che mi prese le mani, si girò e, dopo qualche secondo in cui sembrò che stesse per tuffarsi verso qualcosa di sconosciuto e che la impauriva, mi baciò.
Si, eravamo diversi, molto diversi e lo capimmo nei mesi a venire.
E sapevamo entrambi, già da quel pomeriggio su quella spiaggia, che il nostro rapporto, nato in quel momento, aveva già scritta la parola “fine” sul proprio percorso.
Ma ciò non ci impedì di intrecciare per un momento delle nostre vite le nostre anime, prima che ognuna riprendesse il cammino disgiunto verso ciò che la nostra natura ci aveva riservato.
Tra acqua e olio c’è una differenza chimica che, qualsiasi sforzo essi facciano per “mescolarsi”, non permette loro di amalgamarsi completamente e, alla lunga, essi tendono, naturalmente, a separarsi. Tuttavia, quando ciò avviene, nell’olio rimane ancora un pò d’acqua e nell’acqua ancora un pò d’olio.
Non saprei dire chi di noi due fosse l’acqua e chi l’olio, ma nonostante siano passati quasi dieci anni da quando io e Anita ci mescolammo e poi, inevitabilmente, ci separammo e ci perdemmo di vista, ora capisco che per me, forse per noi, è stato esattamente così.
Una bella storia raccontata con semplicità, perchè forse così è la nostra vita… basata su semplici regole che, per quanto ci sforziamo di modificare, alla fine hanno la meglio su di noi. E guai a chi, conscio di ciò, si sieda ad aspettare che gli eventi si sviluppino in base a un progetto già scritto… perchè si priverà delle gioie, dei dolori e dei brividi che ci danno i nostri sensi quando la chimica che ci governa allenta le sue maglie si lascia dominare, seppur per poco, dalla nostra sana pazzia.
Racconto scritto molto bene, con la verve già evidenziata nell’altro racconto ferroviario. Mi sarei aspettata, però, una fine un po’ più mordace.
In effetti il racconto descrive un inizio più che una fine. E anche un concetto, più che una trama. Comunque grazie del commento 🙂
Una storia che inizia pensando già alla fine, ma è comunque una bella storia, che ha lasciato dei ricordi probabilmente belli. Opposti che si attraggono, almeno per un po’. E poi scritto con l’ironia che ci vuole. Complimenti.
…quando qualcosa sfugge alla regola! riflessione finale che lascia spazio a molti eploghi.
Ciao Mario ci ritroviamo anche qui 🙂
Di questo racconto sai già cosa ne penso…un saluto
serrenett 😉
Grazie Sara! Di là quelli della banda sfigati sono già al 4° episodio 🙂
Corro a leggere 🙂
fine più mordace…diversi epiloghi…purtroppo è andata a finire così e la realtà non si può cambiare
…complimenti per la vincita Mario…purtroppo non tutti i “colpi di fulmine” vanno a buon fine! Qui l’acqua e l’olio hanno portato alla vittoria!
Ho riletto ancora questo tuo racconto che già in prima battuta mi era molto piaciuto per come è stata rappresentata questa improbabile e non impossibile ma per i tuoi protagonisti improrogabile storia.
Molto bello.
Torno a dirlo volentieri.
Un grazie sentito anche ad Eleonora ed Emanuela per i loro graditi commenti. A presto!
Rispondo sul tuo per ringraziarti , grazie veramente per il commento così benevolo e sincero.
Il tuo racconto sai che l’ho letto più di una volta, perchè ci porta una storia molto sottile e tanto fragile, ma come proprio tu hai inteso fare, da rimettere in evidenza per l’evidenza che ne resta ….
Grazie e di nuovo complimenti a te
Molto bello, dalla scelta del titolo all’epilogo, lettura molto piacevole
Bello e scritto molto bene a mio modestissimo parere! Ho letto anche l’altro tuo racconto e l’ho trovato davvero godibile e spassoso, se ho capito bene, però, è stato premiato in un altro concorso e quindi i miei complimenti valgono doppio! Di questo ho apprezzato molto la citazione per così dire chimica, che ho trovato perfetta! Penso che ci sia occasione di vederci alla premiazione a questo punto! Complimenti ancora!
Bravissimo Mario. Un racconto che ti arriva dritto al cuore. Non so se c’è uno spunto autobiografico ma è scritto come se fosse un ricordo senza nessuna paura di nascondere i propri sentimenti e le proprie emozioni. Walter si mette a nudo perchè è sincero e convinto. Acqua e olio non si mescolano ma l’acqua ha bisogno dell’olio per continuare ad essere acqua e l’olio ha bisogno dell’acqua per continuare ad essere olio. Complimenti