Premio Racconti nella Rete 2013 “La scelta di Zeno” di Enrico Losso
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Zeno odia i confessionali.
Gli ricordano gli anni in cui doveva infilarcisi dentro: gli mancava l’aria. Quando ha chiesto a don Claudio di fare due chiacchiere, ha temuto che lo facesse inginocchiare su uno di quelli. Invece il prete ha sorriso e gli ha detto: mi accompagni a dare da mangiare ai gatti.
Sulla panchina del piccolo parco dietro la chiesa si sta bene. Per un po’ si può dimenticare di avere ancora poco tempo da vivere, riflette Zeno. Don Claudio non fa domande. Aspetta, e dà qualche avanzo di salsiccia a tre randagi.
Zeno non sa cosa lo abbia spinto a volere così vicino a sé una tonaca: sono decenni che se ne tiene alla larga. Appena alzato ha sentito il bisogno di chiudere il cerchio.
Era necessario arrivare a novantadue anni, sorride fra sé.
Quando anche il gatto grigio ha finito il suo pezzetto, le parole escono con naturalezza.
“Sono stato anch’io un prete, tanti anni fa.”
Don Claudio ha un sorriso che invita a proseguire.
Quello che vide in quel seminterrato squallido fuori delle mura andava ben oltre gli spettacoli atroci che la guerra continuava a dispensare da troppi anni.
Don Zeno vomitò.
Non gli era mai capitato, neanche quando era stato fra i primi ad entrare nella scuola bruciata per rappresaglia. Tossì con rabbia, piegato in due, strizzando gli occhi. Non avrebbe più voluto aprirli. Rimase in ginocchio.
“Prete! Ti ho fatto una domanda!”
Cercò di ancorarsi al Padre Nostro, lo avrebbe salvato anche questa volta. Non lo avrebbe fatto affogare nel dolore. Sputò le prime parole, ma dopo il sia santificato le altre non si lasciarono ricordare e lo abbandonarono.
Delle mani robuste, da contadino, gli afferrarono i capelli, sulla nuca, e lo strappo lo costrinse a alzare la testa.
La voce gli si avvicinò all’orecchio, più cattiva.
“Non lo riconosci il tuo amico?”
Don Zeno pregò di essersi sbagliato. Che sotto il sangue che aveva visto non ci fosse lui. Che l’immagine orrenda sbattutagli negli occhi fosse solo un incubo della notte, uno di quelli che evaporano al risveglio.
Lo schiaffo arrivò secco. E con quello le lacrime, e subito dopo l’istinto di alzare le palpebre.
Un unico occhio lo stava fissando. Un oblò azzurro che spuntava fra tutto quel sangue. E dietro il sangue c’era Andreas, non potevano esserci dubbi.
Don Zeno aprì la bocca a riprendere fiato. Troppa vista lo stava soffocando.
Andreas era bloccato su una sedia, con i polsi legati dietro la schiena. La divisa della Wermacht era strappata sul petto, per lasciare lavorare meglio il coltello.
Gli avevano cavato l’occhio destro.
Don Claudio ascolta attento. Quasi trasalisce quando Zeno si interrompe per passarsi la mano sulla guancia ispida.
“Ho compiuto tanti peccati nella mia vita. Avevo una relazione con il soldato tedesco. Doveva essere un nemico, ma per me era solo il mio Andreas.”
“Chi erano quelli che la portarono là?”
“I partigiani di Corsaro. Erano venuti a sapere che me la facevo con un tedesco. Ci spiarono. Studiarono le nostre mosse, poi lo catturarono. E presero anche me.”
“Quanto possono essere cattivi gli uomini.”
Un gigante di almeno due metri si frappose fra i due, dando le spalle al soldato tedesco.
Don Zeno non fece in tempo ad accorgersi degli stivali enormi e sporchi che gli si erano parati davanti che un’altra mano lo afferrò, questa volta dal petto. Fece presa sul tessuto della tonaca. Lo rimise in piedi.
Si trovò di fronte un viso largo, irsuto. Una benda nera gli copriva l’orbita destra.
“Hai visto, prete, cosa succede ai tedeschi? Si dice occhio per occhio, no? Io ho restituito il favore.”
Don Zeno iniziò a singhiozzare.
“Piangi? Non hai visto ancora niente.”
Corsaro mollò la presa e Don Zeno crollò a terra, come se tutta la forza avesse abbandonato il suo corpo esile.
“Fai schifo, prete. Te la fai con un tedesco, e adesso tremi come un ragazzino. Ti avremmo già dovuto ammazzare cento volte, in cento modi diversi.”
Corsaro sferrò un calcio al fianco di Don Zeno.
“Ma oggi è un giorno speciale. I compagni di Roma hanno ammazzato trentatré maiali nazisti in via Rasella. Oggi ci sentiamo generosi.”
Don Zeno udì un gemito uscire dalla bocca di Andreas.
“Scegli, prete. O tu o lui.”
Gli altri quattro partigiani rimasero impassibili. Don Zeno ne vedeva solo le gambe, immobili.
“Se decidi di salvargli la vita, finisci al suo posto. Altrimenti puoi andartene e noi continuiamo a divertirci con lui.”
Zeno sospira. È un sospiro fragilissimo. Don Claudio osserva i suoi occhi che sono velati. Non saprebbe dire se siano lacrime o soltanto vecchiaia. Zeno ha la schiena diritta anche quando sta seduto, non dimostra tutti gli anni che ha.
Dice in un filo di voce: “Sono stato un vigliacco. Non ho avuto il coraggio di salvargli la vita. L’ho tradito.” Le tre frasi che pronuncia sembrano pietre tombali.
Don Claudio si accorge di avere le mani fredde.
I partigiani lasciarono i due prigionieri da soli. Un ultimo gesto di perfidia, più che di pietà.
Don Zeno si trascinò verso la sedia da cui quell’unico occhio continuava a fissarlo. Singhiozzava, mentre Andreas non aveva detto ancora nessuna parola.
“Andreas.”
Il corpo del tedesco ebbe un fremito.
“Dammi la forza, Andreas. Ti prego, dammi la forza. Voglio vivere.”
“Sono già morto, Zeno.”
Pronunciò una zeta dura che galleggiò fra le parole impassibili.
“Non ho il coraggio, Andreas, ho paura, ho paura, ho paura…”
“Mi hai detto che mi amavi.”
Zeno accarezza con entrambe le mani il manico del bastone. Don Claudio ha lasciato cadere a terra il sacchetto di carta con gli avanzi. Un altro gatto si avventa su tanta grazia.
“Ho avuto molto tempo per pensarci. Ogni anno mi sono detto che non avrei mai trovato, in nessun angolo di me, la forza per salvarlo. Ma me lo sono detto troppe volte.”
Don Claudio fruga, ma non trova nessuna parola che gli sembri adatta.
“Lo vidi il giorno dopo, impiccato al ciliegio dietro la canonica.”
Zeno sente che non ha più altro da aggiungere. Che raccontare gli ha fatto bene.
Se ne va con passo incerto, mentre don Claudio rimane a osservare i gatti.
Il racconto è scritto bene, non c’è che dire, però la storia d’amore non mi convince molto. Mi sembra una forzatura.
E’ un racconto molto coinvolgente.
La storia d’amore narrata forse è improbabile, però non impossibile.
Ma io ci ho letto soprattutto una storia di guerra e mi piace come l’hai raccontata: senza buonismo, senza retorica, evidenziando come a volte l’odio per il nemico riesca a cancellare ogni traccia di umanità, senza distinzione di parte. Perchè la guerra è proprio così: un mostro che deforma ogni cosa e si divora pure la pietà.
Ottimo racconto.
Vi ringrazio per i complimenti:-)
Bel racconto sì, davvero…è raro trovare poche righe che arrivino dritte al cuore
Grazie del bellissimo commento, Alessandro.
Un bel racconto, costruito su tematiche profonde e immagini forti. Mi è piaciuto.
Grazie, Sara Maria!