Premio Racconti nella Rete 2013 “Clara” di Emanuela Fagnani
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013E’ stato un lungo viaggio durato ore interminabili ma costretto in poco tempo, una sola giornata per andare, lasciarla e rientrare.
Rientrare, senza di lei.
Solo sedici anni, e già due di sostanze, a bruciarle oltre alle vene la vita.
La mattina alle sei, abbiamo suonato il campanello, eravamo d’accordo che per quell’ora saremmo passati e che doveva farsi trovare pronta, in piedi con la valigia chiusa.
Suoniamo, niente, suoniamo ancora.
Al citofono si sente uno scricchiolio e poi qualcuno che parla, è la sorella, che parla piano piano, come se la sua voce potesse svegliare il palazzo, e come per evitare, forse, che il palazzo, a quell’ora, la vedesse andar via con noi, e capisse tutto.
Come se non avessero capito!
Non era un mistero.
Lo sapevano tutti, dentro e fuori il palazzo, che Clara, a soli sedici anni, erano già ben due anni che si disfaceva con sostanze pesanti e che, disfaceva il suo corpo, concedendolo al miglior offerente, e che, con il denaro messo insieme disfacendosi, correva a pagare la roba, al tizio che arrivava sotto casa col motorino nero pece opaco perché ritinto più volte, rubato più volte.
La sorella è più grande di tre anni ed ha già un figlio, di due anni, che vive con lei.
Anche lei si è fatta un po’ di comunità, però poi ha interrotto, lei dice di aver concluso il programma, ma invece ha interrotto, ed è cosa ben diversa.
Il rientro, il ritorno, il reinserimento, è un altro.
Il suo infatti non sta andando troppo bene, anzi si dice che abbia ripreso quasi esattamente da dove aveva lasciato, e poi adesso, c’è anche il bambino, e per il bambino c’è il tribunale, per i minori.
Lei al citofono ci dice di salire.
Sentiamo il portone a vetri aprirsi, entriamo e cerchiamo la scala, non vediamo l’ascensore, è ancora buio e non troviamo neppure la luce e così saliamo a piedi.
Non ci ha detto a quale piano abitano, lo ha dimenticato, anzi non conosce certe buone maniere, ma nemmeno buone, direi basilari.
Non si capisce da che piano arriva il rumore della porta che si apre piano, quella dell’appartamento dove vivono, dove vive Clara.
Gli educatori sono soliti tendere l’orecchio per capire meglio le cose, per cui, non dovrà costituire certamente un problema questo.
Continuiamo a salire i piani e sono tanti, a tentoni, ma poi dal pianerottolo del quinto intravediamo una figura esile in pigiama e scalza ai piedi, con un bambino in braccio, quasi più grande di lei.
E’ la sorella di Clara, con l’aria assonnata e molto imbarazzata.
Ci fa segno con la mano che muove nervosa di entrare, e rientra velocemente in casa, senza aspettare che si arrivi alla porta.
Entriamo e lei è già sparita dalla visuale, ma ci lasciamo guidare dalla luce che invece compare accesa e che conduce alla cucina, ed arriviamo in cucina, una stanza grande dove spiccano le piastrelle grandi montate a scacchi bianche e rosse, come quelle che si trovano in genere nelle macellerie.
Lei, la sorella, con il bambino ancora in braccio, sta trafficando ad una vecchia macchinetta da caffè ed arriviamo quando sbatte il filtro sul bordo dell’acquaio di ceramica bianca, per fare uscire il tappo di polvere odorosa e scura, già esaurita, e ricaricare la macchinetta con nuova polvere scura e più odorosa, per fare altro caffè.
Sostituita la polvere avvita i due pezzi della macchinetta, che posa sulla fiamma del fornello acceso e a quel punto si volta, ci guarda e ci saluta, ed il bambino spalanca la bocca e perde il ciuccio e sgambettando ci fa un gran sonoro sorriso, e lei lo strizza e gli dice con tono ilare ed affettuoso di non scherzare troppo con i signori che non conosce, ma si vede che lo dice tanto per dire qualcosa, si vede che non lo pensa affatto e che è anche quello fa parte del suo modo di darci accoglienza, nonostante non ci abbia atteso sulla porta di casa, rientrando fugace come un topo, che rientra nel suo nascondiglio.
La macchinetta è anche per noi, prende tre tazzine, noi le diciamo di non disturbarsi.
Lei ci dice che non è disturbo, ma casomai intrattenimento, perché è una lunga attesa quella che ci sarà.
Sorride.
Il bambino subito dopo di lei.
Clara non sarà pronta in poco tempo, aggiunge quasi sospirando, con aria di chi la conosce e la prevede con troppa certezza.
Si farà aspettare, ci ripete con fermezza, e lo farà un po’, perché in effetti adesso dorme ancora, e un po’, perché un po’lo farà a dispetto.
Ci versa il caffè nelle tazze, e il suo bambino sta aggrappato a lei come una scimmia, e sembra che si sia assopito sulla sua spalla sinistra dove tiene appoggiata la testa colma di capelli neri e spettinati.
Una piccola ciocca è più corta rispetto alle altre, deve essere l’esito di una forbiciata fai da te.
Ci porge la zuccheriera dove non ha pensato di mettere un cucchiaino e prendiamo lo zucchero, ringraziando, con i nostri cucchiaini, ma ne beviamo solo un sorso di quel caffè bruciato, anche se poi ci riproviamo a buttarne giù un altro poco alla volta, perché non berlo, risulterebbe chiaramente svalutante ed offensivo.
Noi non vogliamo esserlo.
Ci lascia da soli, con in mano le tazzine di caffè bruciato, e con la sua scimmietta addormentata sulla spalla, a forte rischio di caduta libera, si allontana.
Avvia l’alzata dell’avvolgibile, che sentiamo rullare nella stanza che deduciamo essere, dall’imprecazione che immediatamente lo commenta, la camera da letto di Clara o dove dorme Clara.
Inizia un battibecco di parole concitate dove si capiscono solo le parolacce di Clara, perché urlate malamente e scandite benissimo, quasi divise in sillabe e ripetute due o tre volte di seguito.
Voce più alta e meno alta , ad andamento intermittente, è il cuscino con cui si soffoca il capo un po’ si e un po’ no, alzando e abbassandolo con le braccia che lo tengono stretto ai lati e poi lo lasciano cadere giù, mentre i pugni chiusi battono ripetuti e ravvicinati, colpi cupi sul materasso, come colpi sordi di tamburo.
Poi momento di tregua, e nel silenzio però, ci colpiscono dei singhiozzi, e la voce roca di chi ha fumato tutta la notte sigarette, che ricomincia, per dire che non vuole andare da nessuna parte, e che dobbiamo piuttosto andarcene noi tutti a fare in culo, maledetti noi!
Cuscino, voce rotta e roca, singhiozzi, parolacce, pugni che sbattono arrabbiati sul materasso, piedi che accompagnano i pugni e il rullare aumenta, sempre di più.
La sorella le parla.
Si è seduta sul suo letto, la sentiamo da come le parla, dal tono che usa.
Le è vicina.
Non capiamo cosa le dica, cosa si dicono.
Sentiamo altri singhiozzi ma le parolacce sono finite e anche il cuscino sta fermo e i pugni e i piedi non battono.
Non sentiamo cosa si dicono ma anche Clara tra i singhiozzi sta parlando vicina alla sorella e lo fa mentre piange e noi sentiamo la sofferenza e rimaniamo fermi immobili perché è tanta e ci ferma impietriti, a disagio, un grande dispiacere ci invade, poichè non ci si abitua mai, a toccare anche la sofferenza così da vicino.
La sorella continua ad usare un tono di voce molto sommesso e ci pare che sia la voce giusta, quella che lei conosce come giusta, per consolare sua sorella, per convincerla a smettere di fare le cazzate, per dirle che noi siamo di là ad aspettarla e che lei deve sbrigarsi ad andare, perché è cosa giusta, come la sua voce.
Sbrigarsi ad andare finchè è in tempo.
Questa frase gliela ripete varie volte.
La sentiamo bene.
Clara si soffia il naso.
Parlotta ancora.
Clara non ha più i genitori, la nonna nemmeno, ha solo la sorella.
Aveva un cognato, il padre del bambino, suo nipote, ma se ne è andato, però almeno di lui, è stato meglio così.
Il padre e la madre sono morti quando Clara aveva sette anni, e con la sorella sono state affidate alla nonna, che le ha cresciute come è riuscita a fare, e che è deceduta un anno e mezzo fa, era appena nato il bambino.
La casa dove vivono è la casa della nonna, è una casa popolare e loro avevano la residenza e così hanno potuto avere l’assegnazione e rimanerci.
Ci sono ancora le foto appese al muro dell’ingresso, della mamma vestita a festa per la prima comunione, e alcune foto del matrimonio con il loro padre, appoggiate con le cornici di peltro che ormai si è annerito, sul comò di noce della nonna, dove teneva la biancheria buona, dentro a tre grandi cassetti pieni di naftalina.
La mamma ed il babbo sono morti per della roba tagliata male.
Sono stati ritrovati nell’appartamento di un tizio,che se l’è data a gambe e che si è reso latitante, e non ha chiamato soccorsi.
La mamma, aveva chiamato poco prima Clara, per salutarla e dirle che sarebbe andata a prenderla dalla nonna il mattino seguente, e le avrebbe portato le sfoglie alla mela della pasticceria, le sue preferite, poi le aveva detto di fare la brava e di non dare troppi calci alla nonna mentre dormiva.
La mattina seguente Clara ha aspettato alla finestra di cucina della nonna , impaziente e felice, che arrivasse la mamma, perché le era mancata, le mancava sempre, e perché le aveva promesso le sfoglie alla mela e aveva l’acquolina in bocca solo a pensarci.
Non ha più smesso di aspettare la sua mamma.
Dalla stessa finestra ha aspettato tante volte che arrivasse il motorino nero ritinto e rubato, con la roba.
La casa della nonna poi è stata la sua casa.
La casa che lei e sua sorella hanno devastato come hanno devastato le loro vite, salvando le foto e la biancheria buona del comò, pieno di naftalina.
Clara ha messo in valigia, alla rinfusa, anche un po’ di quella biancheria, per andare in comunità.
La sorella è tornata da noi e ci ha pregati di avere un altro po’ di pazienza, che quasi c’eravamo, che di lì a poco sarebbe stata pronta, e ci ha chiesto se il caffè andava bene.
Noi abbiamo annuito e l’abbiamo ringraziata.
Clara dopo mezz’ora è salita in auto con noi, per raggiungere la stazione ferroviaria.
La valigia emanava odore di naftalina.
Entro le quindici a Salerno.
Noi, lei, e lei per restare.
Noi entro le ventitrè di nuovo al parcheggio della stazione dove si era lasciata l’auto al mattino.
Clara a Salerno.
Con la biancheria buona che sa di naftalina e insieme di buon proposito.
Da mattina a sera.
Treno ad alta velocità.
Clara ha scritto tutto il tempo sul suo diario, ed una lettera alla sorella, che ci ha pregato di portare indietro con noi, e di consegnargliela appena possibile.
Ci ha abbracciati e ci ha chiesto di salutare suo nipote, di fargli avere un bacio, grande, da parte sua.
Il giorno seguente abbiamo recapitato un bacio grande e una lunghissima lettera.
Chilometri di parole scritte in stampatello.
Clara per un po’starà lontana da casa.
è molto bello e scritto bene,senza dubbio lavoro di una brava autrice.
Complimenti:)
” che parla piano piano” non ” che piano piano”….una parola è rimasta nella mia mente! Ottava riga! Che male c’è!
Certe parole non si dimenticano, un racconto nasce cosi’, come la vita, pieno di spontaneita’. E’ perfetto com’e’.
Sembra una storia scritta di getto, come se ci fosse il bisogno personale di raccontarla. E cattura, si legge bene, mi è’ piaciuta.
cattura. si legge bene. tamarri, cazzo!!!! CEMF
Si? Mi spiace per l’autrice del racconto, ma spero comprenda che sia necessaria una risposta al commentatore precedente che mi ha chiamato in causa…. A me piace molto leggere e leggo molto. Scrivo consapevole dei miei mezzi, ma entusiasta di farlo perché mi piace. Un vero scrittore probabilmente deve essere uno strumento che porta conoscenza… E infatti non mi sento scrittrice. Lettrice si, e se mi piace qualcosa lo dico. E se non mi piace lo dico con difficolta’, in questo hai sicuramente ragione. Comunque, come già’ detto, seguo con interesse i tuoi sproloqui (detto non in senso dispregiativo, bada bene)… Attendo il prossimo!
Attraverso gli occhi degli educatori, ho salito le cinque rampe di scale e, col fiato corto, sono entrata nell’appartamento popolare di Clara. Ho bevuto il caffé e ho frugato nei ricordi dolorosi di questa famiglia disgraziata. Poi però, quando finalmente Clara si è decisa a venir via con noi, non me ne sono neanche accorta. Il personaggio principale, che dà il titolo al racconto, è sgusciato in macchina invisibile come un fantasma. Nessun tratto a delinearla, nessun emozione struggente. E allora mi sono chiesta: scelta dell’autrice carica di significato o semplice stanchezza ? A dir la verità avrei preferito un finale più coinvolgente.
Si, in effetti Giovanna non hai torto, poteva essere descritto il personaggio principale e sarebbe stato dare anche un maggior risalto. Ho lasciato prevalere gli aspetti emotivi ….grazie.
L’impostazione del tuo racconto, col protagonista che appare solo alla fine, mi ha fatto venire in mente “Cuore di tenebra ” di Conrad.
A Bertino non va mai bene una madonna di niente. Ma è possibile che uno conduca una vita di stenti come la mia e ti devi scontrare pure con questo? Già con Veggente e cavallo mi muovo ai limiti del regolamento ed è un soffio che sono out. 🙂 CEMF
io vi ascolto, molto volentieri. Grazie
Di che ti lamenti? “Cuore di tenebra” è un romanzo stupendo! Lo sai, Fairy, che ti sono amica!!
Un racconto intenso che si addentra ben scritto nella voragine esistenziale in cui sono precipitate Clara e la sua sorella maggiore.
Un duro viaggio tra un caffè bruciato da bere per non arrecare ulteriore dispiacere, le mattonelle a scacchi colorate di bianco e di
rosso al pari di una macelleria, il bambino che si aggrappa come una scimmia alla madre, la biancheria nel vecchio comò che sa
di naftalina. Sono alcuni dei tanti passaggi di questo racconto che riescono a creare molta emozione in chi legge.
La ringrazio molto e mi perdoni ma non ho potuto farlo prima di adesso perchè ho avuto un problema al pc.
Un racconto triste con una separazione agghiacciante. Pultroppo sui probblemi e sulle situazioni in cui ci troviamo siamo noi gli unici autori e protagonisti.
Una triste storia raccontata e descritta molto bene: brava, complimenti!
Patrignani a parte che di cose da dire sul racconto della Fagnani ne avrei – costruttive, si intende – tante anche io, la chiamo in causa sul SUO pezzullo. Questa è una palestra letteraria o sono i passi perduti di una riunione dei Lions sulle poesie che so sul tema del cancro al seno o dell’autunno? Svegliamoci! Ammetto di avere visto nel suo pezzullo scintille di creatività (ombrelli e aggettivo, binari e aggettivo, il treno che sfrena) ma quel racconto cosa vuole dire? E’ abbastanza impotabile, lo rilegga, lo ammetta, chini il capo e ne proponga un altro. Lei è un situazionista? Parliamone con franchezza. 🙂 CEMF
si………decisamente il modo in cui è scritto fa venir alla mente più un diario, uno spaccato di dolorosa quotidianità buttato giù di getto, ma proprio per questo sembra proprio d essere presente lì, in quella cucina, tra i rumori delle tazze e tra la tristezza infinita che emana ogni cosa ed ogni persona coinvolta in quel momento.
Se questo è l’inizio, Emanuela, vai avanti perché prometti bene, a mio umile parere.
Chiedo scusa per la “s” minuscola ad inizio commento
Grazie Caterina Silvia, sei cara.
Carissima Emanuela, ho letto il racconto d’un fiato. Mi è piaciuto tantissimo anche se intriso di sofferenza. Questo è il mese che festeggiamo noi stesse e mi è parso adatto proprio questo racconto con un bimbo che rappresenta il futuro, con la ragazza che se ne va con la sua valigia che sa di naftalina e di ricordi dolorosi ma con all’orizzonte la prospettiva di una nuova vita. Complimenti!!
Emanuela, il nipotino!
Et voilà! Mi hai fatto il solito speciale effetto (o effetto speciale?)… ondata di emozioni, tante, differenti, forti… meglio che farsi una seduta dal terapeuta. Ecco, tu sei terapeutica! E pure gratis.
Infiniti auguri, veri e sinceri.
GRAZIE.
Il Grazie è per tutti i TUOI pensieri.
Quante realtà possono sembrare distanti finché il loro disagio e l’infinita tristezza non ci compaiono davanti agli occhi e tu cara Emanuela sei riuscita a farcele vedere molto bene. Termini con un messaggio di speranza e forse di fiducia per una ragazzina rovinata dalla sua stessa vita e dalla dipendenza che l’ha travolta. Mi è piaciuta molto la tua scelta di descrivere tutto questo dal punto di vista di un assistente sociale. Lavoro svolto a volte da incompetenti o in altre fortunatamente da persone estremamente sensibili e rispettose come avviene nel tuo racconto.
Grazie Linda per aver letto e commentato questo racconto ed aver compreso la fiducia. Auguri a te…
Ciao, Emanuela,
mi sono detto, forse sbagliando:” Emanuela ci dà ‘la relazione’ delle assistenti sociali che hanno accompagnato Clara in comunità.” Quello è stato un giorno faticoso per tutti. Ci hai fatto scorrere davanti tutte le immagini, dal citofono al colpo della portiera, chiusa alle ventitre, sul parcheggio della stazione, con tutti i suoni, i sorrisi, gli odori e tutto ciò che appartiene alla quotidianità. E il dramma. Ci presenti un dramma grande, dalla morte dei genitori e della nonna delle ragazze al tunnel della droga. E infine sentiamo l’abbraccio di Clara che deve iniziare il cammino.
Tu ci dai le emozioni delle persone, la loro sofferenza, la rassegnazione e la speranza e ci lasci soli davanti a questi drammi, forse, affinchè possiamo vivere i nostri sentimenti, senza il filtro del tuo pensiero.
Grazie.
Emanuele.
Ciao Emanuele e grazie,
la relazione non posso portarla, mi spiace, perchè non l’hanno portata nemmeno a me….le assistenti sociali l’avranno redatta, sicuramente, aggiornando, di punto in punto , il percorso- progetto di Clara o di chi come lei, sospesa tra vivere e non vivere, strizzata tra passato e presente, azzarda e/o accetta gli azzardi offerti per un futuro, nuovo, rilanciato da tremule e diroccate fondamenta e crollanti e fatiscenti pareti , dove si inseriscono posticci sostegni, stampelle, che dovrebbero per prima cosa sorreggere, e poi consentire a chi ci sta dentro a quelle case disabitate e solitarie, ma che a soffitto aperto lasciano entrare il cielo, di ricostruirsi….
Ho pensato ad un cielo per Clara, per chi come lei, per chi con lei, ad un cielo dove trovare un alito di vento ed un raggio od una stella e dove vedere tutta la forza che può far restare, senza soccombere, attaccati pure a un brandello, ma da lì attaccati alla vita!
In nessuna relazione troveremmo mai scritto questo, in nessuna relazione ci sarà mai la storia vera di una ragazza od un ragazzo o di un bambino o di una bambina o di una famiglia attraversata da troppi dì e troppe notti che non sono andate come dovevano o potevano andare, e in nessuna relazione, nè assistenti sociali, nè educatori, nè specialisti altri, potrebbero scrivere quanto le cose e le persone scrivono per se’.
Loro per se’, loro per noi !
Clara e il suo magnifico cielo esteso, disteso, accogliente sopra di lei…..l’ho pensata così….perchè ho voluto pensare che potesse andare lontano e uscire dalla morsa in cui il suo passato ed il presente stavano lì a sbarrarle il suo futuro!
Avanti!
Il cielo!
Le notti si ma le notti più belle.
I giorni si ma i giorni meno vuoti!
Alito di vento come un soffio di aria profumata e un’aroma buonissimo che invade e fa respirare!
Raggi che scaldano e non bruciano!
Freddo che se ne va!
Stelle?
Stelle si ! Tante!
E questo era il mio pensiero per Clara……grazie!
E pure i vostri sono stati tutti davvero molto cari.
Ciao Emanuela! Pensa quanto sono distratto…mi ero perso questo tuo bellissimo racconto! Quanti ricordi mi hai fatto risalire dal profondo dell’anima! Quanti ragazzi e ragazze ho visto consumati dalla droga! La narrazione è molto verosimile, manca solo, secondo me, un’analisi dei sentimenti…ma forse era troppo in un contesto simile. Comunque bello, coinvolgente e ben scritto! Complimenti e un grandissimo in bocca al lupo!
Come puoi notare, non sono distratto…sono peggio! Tu hai già vinto ed io non lo sapevo! Beh…adesso mi metto un’oretta dietro la lavagna con la faccia al muro per punizione. Però i complimenti restano ed anzi aumentano, come restano gli auguri più belli…non più per il premio, ma per tutto ciò che puoi desiderare nella vita.