Premio Racconti nella Rete 2013 “La lettera intagliata” di Alessandro Maffei
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013È una R intagliata, quella che ha sul comodino. Se la prendesse in mano, per sentirci qualcosa di lei, affiorerebbe un’altra R nella polvere. Raddoppiare il dolore non è il caso, allora si limita a osservarla. È una R di legno d’olivo con un anellino di ferro in testa che suggerisce di appendersela al collo. Gliel’aveva regalata quel giovane che, in comunità, le modellava per riempirsi quel buco in cui scoprì la sua rovina. La terapia degli oggetti per ricostruire il loro futuro. Sono seguiti da educatrici e operatori sociali che li istruiscono a tappare quella falla da dove, sennò, volerebbe via la loro vita. Una falla che si sono aperti da soli, per solleticarsi l’anima inquieta, con iniezioni di eroina.
Ma dove sarà ora Rosita, pensa lui, ancora nel letto.
Il giovane intagliatore ricostruì tutto l’alfabeto nell’intento di riaprire, gli spiegò in ufficio, un dibattito con se stesso. Arrivò ad accumulare una scatola da scarpe piena di lettere intagliate nel legno d’olivo. Tutte rigorosamente con l’anellino di ferro in testa che suggerisce di appenderle a tanti colli adeguati a quelle iniziali. Mentre le modella, il giovane si sente in pace.
Allora lui gli prescrisse che andava bene quel lavoro artigianale, e che al prossimo colloquio il giovane avrebbe dovuto portare una parola intera, con cui avrebbe iniziato la seduta di rinnovamento.
Con Rosita, pensa lui, ci sono stato insieme dieci anni e mi ha abbandonato così, senza parole. Anzi: lasciandomi una sola lettera sul mio comodino, ribadisce. Si alza dal letto per nutrirsi della nuova alba che da qualche giorno, per lui, non fa differenza col tramonto. L’aria fresca non chiede neanche il permesso per introdursi in fretta in camera sua a intiepidirsi. Così lui stringe le spalle rivalutando di tornare sottocoperta.
Spalanca la finestra, apre le persiane, chiude gli occhi per abituarsi, e stasa le orecchie dal brutto sogno che l’ha impantanato nel letto.
Fischi di dialoghi misteriosi in volo riempiono il cielo di quel mattino che oggettivamente appare sereno. Ma sirene lontane corrono a soccorrere chi rischia di non vedere più un’alba come questa. Che peccato, pensa lui.
La mano a visiera gli permette di guardare lontano, ma non è abbastanza per rinvenire Rosita.
Deve scollarsi di dosso il pigiama non più consono per questa stagione. Deve farsi una doccia per scrollarsi via anche la miseria in cui è sprofondato. Non è più richiesto in comunità, ormai. Deve colazionare con il pane raffermo, che scalda nel sole, per tirare a campare. Ma ripensando a tutti questi doveri e al troppo tempo che ora ha per compierli, torna sottocoperta lasciando la finestra aperta.
La volta successiva, quel giovane, si presentò con una sola lettera: la M. Lui gli ricordò che erano rimasti d’accordo che doveva presentarsi, al colloquio terapeutico, con una parola, non con una sola lettera come aveva fatto la volta precedente. Il giovane rimase in silenzio. Lui continuò a spiegargli che avrebbero dovuto affrontare un’evoluzione nel loro ciclo di sedute, non doveva perdere tempo. Il giovane rimase in silenzio. – Che cosa significa oggi la M per te? – gli chiese lui, allora.
Intanto, sottocoperta, si riaddormenta mentre l’alba si trasforma in mattino, elevando i suoi rumori suburbani.
– Significa Manicomio – rispose il giovane.
E lui di botto: – Perché invece non: Mattino? –
E il giovane, sempre giù: – Perché quella roba mi ha fatto diventare matto-
– Ecco – disse lui – quella M significa anche Matto; potevi dirmi Matto, allora. Perché non me lo hai detto? –
Il giovane rimase in silenzio.
I clacson lo risvegliano. L’aria si fa più tiepida. Le coperte lo appesantiscono, non riesce ad alzarsi, ma più di tutti non vuole.
Lui rispose per il giovane: – Te lo spiego io perché: perché ti vergogni della tua condizione. – Il giovane rimaneva a testa bassa.
– Vuoi apparire orgoglioso imputando alla struttura le tue colpe – il giovane guardava le mani che sulla scrivania volteggiavano sui gomiti la propria eloquenza – Devi avere il coraggio di dire che un po’ l’hai voluto anche tu. Diciamo tanto, non un po’. Così, almeno, ti responsabilizzi -.
Non ce la fa ad alzarsi, ma crede che debba vivere. Una frenata ringhiosa e un fracasso di lamiere lo stimolano a quella faticosa incombenza.
Il giovane interloquì a testa bassa: – Volevo portarle una parola, ma non avevo lettere abbastanza per comporla –
Lui fu entusiasta di sentirgli dire ciò.
– Bene e quale parola sarebbe stata? – gli chiese.
Non trova più le ciabatte, allora decide di andarci scalzo alla finestra. Il sole è già alto e non infastidisce più gli occhi.
Che disastro, vede.
“Chiamate i soccorsi, sta morendo!”. Grida uno dalla strada là sotto. Un elefante che schiaccia una formica, pensa. Ha avuto coraggio a immettersi in strada con quella 500. La strada, ormai, è degli autotreni.
Si accorge che ha freddo ai piedi, o sono i brividi della scoperta.
– Allora, quale parola sarebbe stata? – gli domandò, lui, con più dolcezza.
Il giovane rispose la parola cui alludeva: – Amore – .
Si scuote dal torpore ricordandosi che anche Rosita ha una 500. Anche Rosita l’ha color cachi. Anche Rosita deve passare di lì per andare al lavoro. “Ehi, lei. Chiami i soccorsi che questa donna sta morendo!”. Ma lui rimane impassibile alla finestra. “Cazzo! Dico a lei in pigiama! Chiami i soccorsi!”. Ma lui si guarda intorno: è l’unico alla finestra. La città non si può fermare, non si può creare un ingorgo. Lui si riguarda intorno. “Ehi! Ma che, è sordo o è demente! Non ce la faccio più a rivitalizzarla, sta morendo…1…2…3…chiami i soccorsi!…4…”.
– Mancano solo 4 lettere – disse lui – perché non me le hai portate? So che ne hai tante nella scatola –
Il giovane rimase in silenzio.
– È una bella parola la parola Amore. Allora? Non le hai le altre lettere? –
Il giovane alzò l’intenzione guardandolo negli occhi: – Quelle che mancano sono le lettere che fanno parte della parola EROINA, e io l’ho buttate. Ora non le voglio più intagliare –
Si ferma una macchina mentre Rosita sta morendo. Lui, dalla finestra, fa un sorriso beffardo.
Guarda l’orologio e calcola che ormai è troppo tardi per rivitalizzarla. Quello che lo chiamava non ce la fa più a pompare dal petto il cuore, e si accascia a terra. L’altro chiama i soccorsi e poi si mette, anche lui, a pomparle vita.
– Bravo – disse al giovane – hai fatto progressi. Il prossimo scalino sarà di portarmi proprio la parola EROINA, ma poco alla volta. Una lettera per ogni seduta. Quando riuscirai a completarla potrai dire di essere uscito dal tunnel. Bene. Ciao, alla prossima –
E il giovane, la volta che toccò di portargli la R, ne portò due.
– Scusa – gli disse lui – ma eroina si scrive con una R sola –
Il giovane rispose: – Una è per lei, dottore. Gliela regalo per sua moglie. Si chiama Rosita, vero? –
I soccorsi arrivano e non possono che constatarne il decesso. Chiude la finestra. Si scolla il pigiama di dosso. Cambia il letto e nel mentre ritrova le ciabatte.
– Si, grazie. Che bel pensiero! – Esclamò lui con entusiasmo al giovane. – Accetto il regalo –
A questo punto decide di andare a farsi la doccia.
Una bella doccia rivitalizzante, pensa.
Quando torna in camera prende dal comodino la sua R, senza lasciarci l’orma, perché non c’è più polvere in giro, e se la mette al collo come l’iniziale di un dolce Ricordo.
Un bel viaggio nella psiche confusa di un personaggio vissuto. Bello.
Grazie1000, doncamillo2001. Si, lui ha colto nel segno: si entra nella psiche di uno psicologo. Il suo presente è ingrato perché non lavora più nella comunità dove svolgeva la sua professione con diletto, e si nota che i ragazzi gli volevano bene. Quel bene che lui credeva volerglielo anche la sua donna che l’ha abbandonato. Qualcuno potrebbe notare la stortura del racconto quando lui sembra sia contento che la donna che l’ha lasciato a sua volta ha lasciato la vita per un incidente cui, tra l’altro, è presente. Il motivo è sottile e alquanto crudele: fa parte di una vendetta indiretta del protagonista perché è stato lasciato da Rosita quando si è trovato disoccupato. Si deduce, quindi, che lo psicologo ha capito che lei stava con lui solo per interesse economico. È sottile, ma così ho voluto interpretare il non detto.
Alla prossima!
un po’ faticoso nella lettura ma, da quel che leggo nel tuo commento – faticoso anch’esso- la difficoltà è voluta. Si tratta della psiche di uno psicologo. Sì, ok, però a me, lettrice, il racconto ha lasciato un po’ interdetta. Forse ho bisogno anch’io di uno psicologo? saluti e auguri
….in effetti , forse, il mio lavoro mi spinge ad una lettura dei temi diversa dal solito. Credo davvero sia sempre utile per la nostra salute psichica congedar si portando in salvo qualcosa. Questo ci aiuta anche nei nuovi legami. Deformazione professionale, mi perdoni!auguri anche a lei è saluti cari
Salve Giovanna, grazie del commento e premetto che tutti abbiamo bisogno di uno psicologo, prima o poi, che non deve essere perforza uno con il diploma sfoggiato alla parete del suo studio: può essere ache un amico. Il mio racconto in effetti è un pò faticoso da leggere la prima volta. Ho voluto sperimentare due momenti clou della vita di questo protagonista (premetto che io non sono psicologo: sono infermiere) che alterno cercando di intersecarli fino ad arrivare ad una risoluzione finale, anch’essa psicologica (forse dovevo fare lo psicologo o magari andasrci io). E’ un racconto sperimentale. l’impaginazione dei periodi non è corretta con il programma di Word press: non si poteva fare di meglio. Comunque questi due momenti si notano dal cambio temporale dei periodi: uno al presente e l’altro al passato (e aggiungiamoci anche un presente-futuro alla fine, dai)… ho chiarito qualcosa?
Ciao alla prossima
Grazie Emanuela 🙂
Mi Sto arrivando! Che forse lei non si rivolgeva a me quindi mi Sto arrivando! Che ho fatto confusione….anche questo non mi stupisce. Buon proseguimento e scusate.
È sto scrivendo da un ipad e non lo so usare e sono uscite altre parole al posto di quelle che volevo scrivere. Vi saluto e vado a sotterrar i un po’ per la vergogna. MAI!!!
Grazie a lei
Le parole giuste erano…..mi sto accorgendo che
Niente di male, Emanuela… ma l’ha letto il mio racconto?
Comunque mafie lei non si stia a preoccupare. Lo psicologo servirebbe a tutti , e quanto bene farebbe!!!
Si l ho letto , ora sono di corsa, mi attende la psicologa, ma stasera lo rileggo.
Ho capito… buona seduta psicoterapeutica, allora.
Grazie mille
È lei i miei.?li ha letti? Fairendelli e bertino mi hanno ben bene maltrattata!
il racconto di maffei non è scritto male ma mi sembra troppo semplice. squarcio interessantissimo, nel contesto dei commenti costruttivi al racconto, la psicologa di fagnani, una autrice del blog cui mi sento già affezionato. la mia (psicologa) ha le seguenti caratteristiche: 1) prende 70 euro a seduta e dò più io a lei che lei a me. sicuramente. 2) ha i denti molto rovinati e quando sorride sembra voglia mordermi 3) ha una madre novantenne che cucina sempre cavolfiori. è il primo ed unico odore che senti entrando in caso e io l’ho associato al processo analitico e, in fondo, alla guarigione. 🙂 CEMF
cara Emanuela, mi dispiace se ti ho ferito con il mio commento. Sono sincera in quello che scrivo ed è solo il mio modesto parere. Sono certa che agli altri utenti del forum il tuo racconto piacerà. Ti faccio perciò tanti auguri.
La scrittura di Fagnani ha enormi margini di miglioramento. Non la conosco ma deve trattarsi di una persona limpida e questo promette bene. La scrittura migliorerà: a questo servono le critiche. Il mio consiglio è cercare di soffrire molto e due bicchierini di brandy prima di iniziare a comporre. Il bertinianesimo (non va mi va mai bene niente, avrei fatto qui avrei fatto là) può essere utile anche in questo caso. 🙂 CEMF
e no, non è sempre così. Spesso scrivo lodi incondizionate. Non esageriamo, prego!
Ok, grazie a tutti. E’ sempre costruttivo condividere le proprie opere che, volenti o nolenti, rimangono propie e gli si vuole bene. Leggerò i racconti di Emanuela… ciao ciao.
Bertino! Nella memoria collettiva resterai per l’indole critica sempre e comunque. Come io per la mia imbecillità goliardica. Lodi incondizionate apponile ai miei racconti e basta, ti raccomando tantissimo. Ti curo. 🙂 CEMF
Cara bertino non mi ha ferita, stia serena, un po’ permalosa lo sono, ma passa subito e tutto torna rosa! I suoi commenti sono preziosi.grazie
grazie e diamoci del tu!
Ok allora da ora in poi del tu! Noi dilettanti siamo un po’ acerbi e talvolta maldestri ma appassionati e questo in fondo e’ un fondamentale requisito.
Comunque consapevoli che non basta……molto consapevoli. Io almeno si. A presto
…per noi intendevo me