Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “La sfida” di Giovanni Fiorina

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

È ancora una di quelle giornate di giugno insopportabili, con Milano immobile sotto una coperta di sole, quando Luca arriva al parco di via Tabacchi per il suo allenamento quotidiano.

Già sudato ancor prima di cominciare, si toglie il casco e lega il motorino al palo della luce, guardandosi intorno. Al campo da basket c’è solo un ragazzino che tira a canestro, a torso nudo e con un paio di all star basse ai piedi. Sul muretto lì dietro, all’ombra dei pioppi, è seduto un gruppo di maghrebini, un cilum che passa di mano in mano. Il parco giochi per i bambini è vuoto, così come le panchine dove di solito si siedono gli anziani: via Tabacchi oggi è deserta come non succede quasi mai a quest’ora.

Luca beve un sorso d’acqua alla fontanella, poi si allaccia le sue And1 nere e si sistema la maglietta numero uno dei Chicago Bulls sulle spalle, pronto per entrare in campo.

Inizia a correre piano nella metà campo libera, appoggiando ogni tanto la palla al tabellone e osservando il ragazzino dall’altra parte del campo. Sembra anche lui maghrebino, le braccia e le gambe lunghe attaccate a un corpo magro, tirato, i capelli lucidi e neri. Non è male: ha un bel tiro, morbido e preciso, e quando improvvisa qualche azione contro avversari invisibili, usa finte e palleggi tra le gambe senza perdere mai la palla. Qualcuno da sotto l’albero gli urla Sahid! mostrandogli il cilum, ma lui continua a tirare, dopo aver mosso appena la testa come risposta.

Luca si ferma per fare un po’ di stretching – l’ombra del tabellone sul cemento usata come riparo dal sole –, e pensa se proporre subito una partita al ragazzino. Certo, con questo caldo sarebbe meglio un cinque contro cinque, o al limite un tre contro tre, ma non c’è nessun altro, e dopo un po’ sa che si annoierà a tirare da solo a canestro. Così palleggia verso il centro del campo.

– Ti va una partita? – chiede.

Sahid fa sì con la testa, avvicinandosi. Luca si accorge di essere più basso di lui di almeno cinque centimetri.

– Si arriva all’undici, chi segna tiene la palla, da due vale un punto e da tre due punti, ok?

L’altro alza le spalle, poi si mette di fronte a Luca, pronto per incominciare.

Luca palleggia lungo l’arco dei tre punti, calmo. L’adora, questa sensazione: la prima azione di una partita, la libertà dell’inizio, il suo avversario che non lo conosce e non sa cosa aspettarsi, se un tiro o una penetrazione, un attacco con la mano destra oppure con la sinistra, una finta o un’azione decisa. Il suo allenatore lo dice sempre: in campo il playmaker è come Dio, è lui che sceglie ogni azione che tipo di azione sarà. A Luca piace, sentirsi Dio: soprattutto su un campetto dove non deve pensare a schemi e compagni da mettere in ritmo o alle urla dalla panchina se sbaglia qualcosa. Qui può fare tutto ciò che vuole, solo lui e la sua testa.

Osserva il suo avversario: è più alto di lui, ma non è piegato sulle gambe, così lo attacca con un palleggio deciso, seguito da una virata di destro e da un appoggio al tabellone per l’uno a zero, la retina che si muove appena. Tutto perfetto.

E, quindi, troppo semplice. Questa è la parte complicata dell’essere Dio, per Luca: a volte non resiste e sceglie l’azione più difficile, anche se lo sa, che è la più difficile. Ma gli sembra di dimostrare qualcosa, così, come di essere più bravo.

Per questo l’azione successiva, anche se dovrebbe insistere sulla velocità per prendere un buon vantaggio, la mette sul fisico. Spalla contro petto, cerca di portarsi sotto canestro per poi tirare in semigancio. Ma Sahid non si sposta di un centimetro, le gambe ben piantate per terra, le braccia che coprono il canestro. Luca prova un tiro cadendo all’indietro, ma la palla picchia contro il ferro ed esce dal campo.

Sahid la raccoglie e torna a centrocampo. Non appena Luca gli è davanti, parte con tre palleggi diretti a canestro per l’uno a uno, con Luca che non prova nemmeno a fermarlo, sorpreso dalla decisione di quel terzo tempo.

Subito dopo, stessa azione: Luca questa volta indietreggia con Sahid verso il canestro, gli dà anche una manata sul braccio mentre sta per tirare, ma quello segna lo stesso il due a uno, schiacciando.

Luca non riesce a schiacciare, e vedere Sahid andare su così facilmente, con quelle scarpe e senza allenamento, gli fa venire un gran nervoso. Lo guarda aspettandosi uno sguardo di sfida com’è abituato in via Tabacchi, ma Sahid ha sempre la stessa espressione, dove non si vede né arroganza, né gioia, né concentrazione: sembra piuttosto sicurezza, ma una sicurezza che non c’entra con la pallacanestro, una sicurezza che Luca non conosce e che lo mette in soggezione, come se il suo avversario sapesse qualcosa che lui, invece, ignora. Scaccia quel pensiero piegandosi sulle gambe, pronto per difendere: vuole quel pallone.

Sahid ricomincia a palleggiare, questa volta più tranquillo, quasi rifiatando. Poi, tira da tre punti.

Ferro, ferro, canestro.

Luca mormora un ‘Fanculo e va a recuperare il pallone vicino al gruppo di maghrebini. Uno di loro, vestito con una vecchia maglia del Milan, gli chiede se vuole della cocaina. Luca non gli risponde: è sotto quattro a uno e come al solito ha sottovalutato il mondo. Dal muretto gli urlano Hashish! Amico! Hashish! ma lui ha già passato il pallone al suo avversario, deciso a riprenderselo al più presto.

Le gambe piegate e gli occhi fissi sulla palla, sta addosso a Sahid palleggio dopo palleggio, fino a farlo tirare dalla lunetta con la sua mano davanti agli occhi. Ferro e rimbalzo che finisce a tre metri dal canestro, verso Luca.

Ora deve per forza segnare. Decide così di andare sul sicuro con la sua azione preferita: due palleggi forti con la mano destra e arresto e tiro dalla lunetta. Quattro a due.

Sahid non riesce a tenerlo, o forse non gli importa molto di difendere: comunque sia, Luca ripete la stessa identica azione a sinistra. Quattro a tre. Potrebbe continuare con il suo arresto e tiro per tutta la partita, invece tira da tre punti, sbagliando.

Sahid recupera il rimbalzo e tenta un’altra entrata con la sua mano forte. Luca, però, lo chiude bene, anticipandolo, ma Sahid con un palleggio incrociato va a sinistra, appoggiando al tabellone il cinque a tre, con Luca che lo guarda stupito per la naturalezza di quel palleggio, prima di ripetersi a bassa voce che deve difendere forte.

È mentre è piegato sulle gambe, mentre si accorge che lo sguardo di quel ragazzino di fronte a lui è uguale a quello di alcuni giocatori professionisti a fine carriera, giocatori che hanno vinto molto e perso altrettanto, occhi sicuri perché esperti, come di chi sa sempre cosa sta per accadere, che sente un grido alle sue spalle. Si gira e vede il gruppo di maghrebini disintegrarsi in un attimo, ognuno lanciato verso una direzione diversa. Dietro di loro, da via Gianbologna, arrivano correndo quattro poliziotti, un quinto fermo in macchina con il motore e i lampeggianti accesi. Il ragazzo con la maglia del Milan scappa in mezzo al campo, un poliziotto lo insegue urlando Vieni! Vieni! a quello in macchina. Altri due maghrebini scappano verso via Tabacchi. Il quarto, invece, è già per terra vicino alle panchine, bloccato.

Sahid, intanto, palleggia tranquillo, aspettando solo che Luca si giri per ricominciare la partita. E non gli importa molto capire se Luca sia pronto per davvero o se stia solo seguendo il ragazzo con la maglia del Milan che scappa – già fermato ancor prima di uscire dai giardini di via Tabacchi -, perché lo attacca subito, schiacciando a canestro il sei a tre.

Luca quasi non se n’è accorto. È stato tutto così veloce e silenzioso (ecco, è questo ciò che più l’ha impressionato: un grido e il rumore rapido di una corsa, nient’altro se non il palleggio di Sahid di fronte a lui) che sta ancora cercando di capire cos’è successo.

Da via Tabacchi arriva un’altra macchina della polizia con dentro gli ultimi due maghrebini. Luca sta per dire a Sahid di fermarsi perché vuole vedere. Poi, però, gli fa segno di giocare. Ma basta fissarsi un secondo di troppo sulle manette del ragazzo con la maglia del Milan, per lasciarsi scappare il suo avversario un’altra volta e trovarsi sotto sette a tre.

Adesso basta, si dice a bassa voce.

Sahid tira da tre punti per chiudere la partita. Sbaglia, e la palla finisce nelle mani di Luca.

Mentre palleggia, osserva i maghrebini in piedi e ammanettati contro una macchina della polizia, gli sguardi stanchi e sfatti, un poliziotto che parla alla radio mentre gli altri ascoltano. Luca sa cosa deve fare per segnare Tecnica e velocità, tecnica e velocità continua a ripetersi – e si impone di farlo. Parte deciso verso il canestro, all’altezza della lunetta fa una virata di destro per poi appoggiare al tabellone di sinistro: sette a quattro.

Decide poi di provare con il passo e tiro, ma quando si accorge che Sahid non salterà sulla finta – già pronto per stopparlo sull’ultimo passo – trasforma la finta in un tiro vero e proprio, segnando il sette a cinque.

Ora incomincia a vedere tutto chiaro, senza il superfluo addosso. Non appena il suo avversario è pronto, gli spara un tiro da tre punti in faccia, il polso spezzato che rimane in aria mentre la palla entra nel canestro per il sette pari. Luca si gira d’istinto verso la strada, quasi fosse una tribuna, ma i maghrebini sono stati fatti salire in macchina, mentre i poliziotti parlano tra loro senza considerarlo.

Dopo un paio di palleggi prova un tiro dall’angolo, sbagliandolo, ma recupera il rimbalzo. Le macchine della polizia partono veloci con le sirene accese, e per qualche secondo è impossibile continuare tanto è forte il rumore, Luca e Sahid che le osservano fino a che non scompaiono in fondo all’incrocio.

Anche senza sole, l’afa non diminuisce e l’aria sembra incollarsi alla pelle tanto è pesante. Luca inizia a sentire la stanchezza: tenta un tiro da tre punti non molto convinto, con le gambe che non lo seguono più. Lo vede uscire corto e storto, ma va forte a rimbalzo segnando l’otto a sette.

Quando dice il punteggio, Sahid lo guarda con la solita faccia seria e immobile: è impossibile capire se sia stanco anche lui.

Luca finge un’entrata sulla destra, all’altezza della lunetta si arresta e tira dolcemente da circa quattro metri: nove a sette.

Più che stanco, Sahid sembra non avere più voglia: nell’ultima azione non ha proprio difeso. Quando Luca torna a metà campo, è lì con le mani sui fianchi, distratto mentre continua a guardarsi attorno, come se aspettasse qualcuno.

Luca ne ha abbastanza, non sopporta la mancanza d’impegno in una partita: tira da tre punti per la vittoria, e il ciuffo perfetto della retina lo calma all’istante. Undici a sette.

Sahid prende la palla e torna verso il centro del campo, dà un cinque a Luca e va verso la fontanella.

È quando si piega per bere che Luca lo vede togliersi dalla bocca un pezzo di fumo grande come una noce, Milano che lentamente riprende a respirare.

 

 

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1 commento »

  1. racconto di sport e droga, fino al simpatico epilogo. Indubbiamente vincente in un concorso sullo sport.

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