Premio Racconti nella Rete 2013 “Tra latte e tabacco” di Gianmarco Cellini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Anche oggi, seduto su questo divano – credo di averci fatto un buco: tre comodi posti, ma io sto sempre qui, da questa parte.
Giorno dopo giorno, mi sembra che il tempo non passi mai, che le cose che ho intorno invecchino al posto mio, che le notti siano il giorno e il giorno le notti, se non fosse che la notte, quella che va dalla mezzanotte alle cinque, è silenziosa.
Domani compio cinquant’anni o, come avrebbe detto mia nonna, li finisco. Quello degli anni che finiscono e non si compiono, anche se l’etimologia delle parole ne denuncia una estrema fratellanza, è una cosa che non ho mai digerito. “Hai finito 13 anni, ora entri nei quattordici”: in questo modo non sembrava di avere un’età, ma di subire il tempo che scorreva addosso. Pensavo di poter dire, per tutto l’anno a venire, di aver compiuto 13 anni, di avere 13 anni; invece mi si diceva che i 13 erano ormai finiti e che stavo già vivendo i 14.
Ma c’era una cosa che mi teneva stretto ai miei anni: Donatella.
Era in classe con me alle medie. Già: a quei tempi l’età si misurava anche con il livello di conoscenze che si aveva e che era scandito dal nome della scuola che in quel momento si frequentava. Età della semplicità, della conoscenza di base: allora eravamo alle scuole elementari; età in cui non sei né carne né pesce, quando ai maschietti la voce non ha più identità e le femminucce scoprono di essere “signorine”: scuole medie; età in cui si crede di spaccare il mondo, ci sentiamo forti come mai lo siamo stati (e il più delle volte non lo saremo mai): scuole superiori.
Donatella, alle medie, era la più bella della classe: alta, pelle chiarissima e vellutata, capelli biondi e lunghi, occhi verdi, labbra carnose, seno piccolo come fianchi e sedere. I genitori si erano separati quando lei aveva solo sei anni e da allora viveva solo con la madre; del padre non aveva più avuto notizia. Donatella non si applicava molto nello studio ma la sua intelligenza fotografica le permetteva di superare interrogazioni e compiti a sorpresa sempre con quella sufficienza che l’accompagnò fino all’esame di maturità che superò, seppi poi, con un significativo 36.
Però si divertiva molto. Mai con le ragazze (non aveva un buon rapporto con le compagne), ma con i ragazzi, che faceva letteralmente impazzire e che giostrava a suo piacimento come farebbe un vecchio mago di strada.
La volta in cui anch’io entrai nella sua voluttuosa ragnatela e dalla quale mai più sarei riuscito a staccarmi, era un giorno in cui a scuola c’era sciopero dei docenti, due ore a metà mattina, per cui fummo costretti a rimanere in classe in completo abbandono e anarchia.
Donatella stava scrivendo qualcosa sul suo diario, mentre due compagni le stavano dietro in silenzio, aspettando che lei li facesse suoi. Mi soffermai sulla scena perché notai una cosa strana: i due ragazzi, Andrea e Massimiliano, erano i bulli della classe, i più scalmanati e, non da poco, i più robusti. Ma vederli lì, fermi come ipnotizzati, immobili come due statue, mi faceva pensare che sarebbe successo qualcosa di sensazionale. Accadde infatti che Donatella finalmente si voltò verso di loro ma con aria annoiata: “Ancora?!…”
“Sì dài, ancora una volta”, pregarono Andrea e Massimiliano.
Donatella si mise a sedere sul suo banco e contemporaneamente Andrea e Massimiliano si misero a sedere a terra davanti a lei. Lei, come la maggior parte delle volte, indossava un vestito che le copriva spalle e scollatura e che le arrivava appena sotto le ginocchia. Guardandoli con aria annoiata, Donatella si carezzò i capelli che le coprivano quasi completamente il petto, proseguì incrociando le mani sul ventre per riordinarle poi sulle cosce. Le dita, che fino a quel momento erano rimaste tese, si contrassero a pugno, palmi sulle ginocchia, portandosi con sé il tessuto del vestito che le scoprì le cosce maliziosamente socchiuse. I due ragazzi non avevano notato il viaggio delle mani, dalla testa fino a lì perché lì erano rimasti i loro occhi per tutto il tragitto.
Cominciavo a immaginarmi quello che sarebbe successo e sentii dentro di me un calore che in poco tempo si concentrò tutto sulle mie guance.
Donatella iniziò ad allargare le gambe: si sistemò meglio sul banco finché l’orlo del vestito, che era rimasto tra le sue ginocchia, cominciava a tendersi come la fune tra i due tiratori. Probabilmente Andrea e Massimiliano facevano ombra sullo spettacolo perché si spostarono entrambi all’unisono con un brusco movimento laterale: il tempo di notare che le loro palpebre avevano raggiunto ma massima espansione che Donatella scese improvvisamente dal banco senza dire una parola rimettendosi a sedere per continuare a scrivere qualcosa sul suo diario con un atteggiamento liberatorio.
I due spettatori si alzarono con un balzo felino, guardandosi con un’espressione da vincitori stupefatti e si avviarono al loro posto senza prima non aver dato allo sventurato di passaggio uno scappellotto magistrale e senza motivo.
Riportando lo sguardo verso Donatella mi pietrificai, perché vidi che mi stava fissando: avrei voluto voltarmi, ma un po’ per la vergogna e un po’ per la paura, sostenni il suo sguardo. Non so cosa capì della mia situazione, ma mi lanciò un sorriso mefistofelico.
Da quel momento fu l’oblio fino al ricordo abbagliante delle sue gambe che si aprivano davanti ai miei occhi: non avevo mai visto un vero pube femminile e per un bel po’ di tempo non seppi dare un nome a quello che Donatella mi faceva provare. Non appena ce ne fosse stato tempo e modo, Donatella mi mostrava la sua intimità e ogni volta c’era sempre qualcosa in più a disposizione delle mie fantasie per i momenti di masturbazione diventati ormai sempre più frequenti.
Un giorno accadde che uno di quegli spettacoli solo per me non sfuggirono allo sguardo allibito di Andrea e Massimiliano i quali, ormai caduti in disgrazia con Donatella ma senza conoscerne il motivo, ebbero le loro risposte.
Adesso – tra qualche ora finisco cinquant’anni – sono qui solo e solo con il mio bastone, compagno di una vita, della mia seconda vita. Non ho più visto Donatella, non ho più visto il suo sesso: non ho che pensato a quelle gambe, alla freschezza del corpo di una tredicenne.
Andrea e Massimiliano mi aspettarono fuori dalla scuola, erano grossi e indossavano un giubbotto di pelle che, a quei tempi, era segno di trasgressione. Mi fissarono finché non gli fui a pochi metri. Ero talmente ipnotizzato che non tentai neppure di cambiare strada, anche se capii subito che non sarebbe stato un bel momento: sapevo, come scritto sulla mia pelle col mio stesso sangue, che sarebbe stato un episodio che mi sarei ricordato per molto tempo: ma solo poche ore dopo avrei constatato che sarebbe stato per tutta la vita.
“Ragazzi, lasciamo perdere. A me non interessa: è lei che mi cerca”, tentai di svicolare.
“Ah, pure vigliacco!”. Era vero, non sapevo come uscirne. “Ma a noi non interessano i tuoi avanzi, abbiamo già le nostre donne. E sono anche grandi!” esplosero in una fragorosa risata.
“Bene, allora buon per voi. Io devo andare.”
“Fermo bamboccio!”, mi bloccarono per un braccio, con una presa che era tutto un programma.
“Ma se lei non vi interessa, cosa volete da me?”, chiesi cercando senza successo di liberarmi.
“Fammi pensare…” ormai nei miei ricordi Andrea e Massimiliano sono un’unica entità e non saprei distinguere né ricordare chi fosse a parlare. “Sai cosa dicono? Che Donatella avrebbe scelto te perché ce l’hai più grosso… Allora guarda qui!”, si calarono i pantaloni per mettere in evidenza i loro sessi di una dimensione effettivamente esagerata. “Questi sì che sono grossi e duri!”.
Mi lasciarono il braccio ma iniziarono a spogliarmi. Nonostante mi dimenassi come un serpente e urlassi come una sirena, non riuscii a impedirgli di togliermi pantaloni e mutande. La paura aveva ridotto il mio membro a un oggetto quasi impercettibile, che fu chiaramente oggetto del loro dileggio.
Rantolante a terra, vidi con la coda degli occhi Donatella che si avvicinava con aria impaurita ma determinata a dire qualcosa ai due.
“Cosa cazzo state facendo!”, urlò ai due bulli, ma appena le furono a tiro subì un pugno che la scaraventò a terra.
“Zitta puttana!” urlarono Andrea e Massimiliano rabbiosi come cani, “vai a farti fottere da un’altra parte, ci fai schifo! Sai cosa ha detto il poverino? Che lo importuni! Povero scemo…”
Donatella non insistette, mi guardò con compassione mista a disgusto e se ne andò.
Andrea e Massimiliano continuarono ad accanirsi su di me. Probabilmente, se anche allora avessi avuto tra le mani questo bastone, così duro e nerboruto, le cose sarebbero andate diversamente. Ormai il compagno fedele della mia esistenza, non potrei farne a meno: ha sostituito con onore la diffidenza e la falsità delle persone che mi hanno orbitato intorno: unico amore indissolubile, certezza inossidabile.
Andrea e Massimiliano, mentre ero ancora a terra, iniziarono a calciarmi: percepivo con dolore immane la punta dei loro stivali che si insinuava con forza tra le mie natiche, andandomi a colpire lo sfintere inducendomi una estrema voglia di defecare. E così fu: uno schizzo diarroico che per un pelo non li investì, lasciò Andrea e Massimiliano impietriti e allibiti. Dopo un momento di smarrimento, cambiarono l’obbiettivo dei loro calci: prima lo stomaco, poi la schiena ed infine il volto.
“No, fermo! Lo ammazziamo…”
“Macché… questo lurido vigliacco deve vivere e raccontare questa storia!”
Dopo quei due ultimi calci, svenni.
Non ebbi più notizie di Donatella: sperai, desiderai, pregai che venisse a trovarmi in ospedale, ma non accadde. I miei genitori denunciarono Andrea e Massimiliano e le loro famiglie dalla vergogna – allora esisteva ancora – si trasferirono in non so quale città al nord; e neppure loro vidi mai più.
Domani entro nei cinquantuno, ho finito mezzo secolo di vita e cosa ho fatto? Ho sparso ovunque con egoismo e voluttà il mio seme senza per questo ricevere mai niente in cambio, se non altro seme inerme.
Invece Donatella mi aveva invaso, si era impossessata della mia volontà: dopo di lei ogni volta che ho posseduto una donna, ho sempre immaginato il suo viso candido e pulito, anche se gli occhi tradivano la sua impudicizia. I suoi seni piccoli e rosa; i capezzoli non ancora completamente maturi, con la corona piccola e solo leggermente più scusa della pelle; la sua peluria, appena accennata e morbida; le cosce lunghe, snelle e apparentemente fragili; i glutei tondi e sodi che a toccarli rimanevano i segni delle dita. Il profumo della sua pelle: un melange tra latte e tabacco. Ogni donna, dopo di lei, per me non era tale se non emetteva gridolini infantili, se non mi implorava di smettere perché provava dolore ogni volta che la possedevo. Non importava che fossero giovani o mature: era importante che non tradissero il mio desiderio di avere tra le mani una fanciulla. E non poteva essere altrimenti: non c’era modo di cancellare quei ricordi, né sostituirli: mi aggrappavo a quelle immagini come l’unico modo per sentirmi ancora vivo. Anno, dopo anno, dopo anno e dopo anno, i miei sensi si sono fatti sempre più pigri e la denuncia della giovinezza perduta diventa un nemico da combattere solo con il mio bastone.
Era il 2 maggio del 1973, l’ultima volta che ho visto Donatella. Quel giorno, come domani, era il mio compleanno – il tredicesimo – e lei aveva scelto di farmi il più bel regalo.
Prima che Andrea e Massimiliano si accorgessero della nostra relazione e sfogassero tutto il loro orgoglio sul mio corpo, avevo davanti a me l’esperienza che più di ogni altra pensavo mi avrebbe segnato e che avrebbe preso una parte importante dei miei ricordi del futuro. Oltretutto, a manipolare i miei ormoni e neuroni, si era messa anche la potenza invisibile delle sue parole: “Oggi pomeriggio i miei sono fuori. Vieni da me che voglio fare l’amore. E poi ho appena finito le mie cose… mi hanno detto che è impossibile che possa rimanere incinta. Quindi puoi venirmi dentro”. Avrei mescolato il sangue del suo dolore con il piacere del mio seme: era il massimo per un ragazzino di tredici anni. Sarebbe stato il motivo di orgoglio da raccontare per un bel po’ di tempo.
Era il 2 maggio del 1973, l’ultima volta che ho visto Donatella, ma anche l’ultima volta che ho visto.
Un monologo molto triste che racconta un storia di dolore fisico ed emotivo. Chi racconta sta per compiere 50 anni, o meglio, come si dice anche in Toscana, finisce i 50 anni. Il verbo “finire” non è usato a caso, perchè sembra che si voglia chiedere una fine ad una vita trascorsa in una ricerca senza esito. L’episodio raccontato potrebbe essere il ricordo tenero delle prime scoperte sul sesso, invece non c’è niente di tenero, ma si sente piuttosto una solitudine adolescenziale priva di affetti. Solitudine nella ragazzina che ha confuso la ricerca di affetto con l’offerta del proprio corpo, esibito con la malizia di una donna più grande. Solitudine nei due bulli che non trovano di meglio che utilizzare la violenza per riscattarsi. Solitudine nel protagonista trascinato dagli eventi. E in lontananza figure di adulti che hanno solo funzioni di servizio (la casa libera della ragazzina; la denuncia per le violenze; la fuga in una città del nord – per la vergogna).
La storia mi piace, scorre bene, anche se mi sembra ci sia qualcosa nella punteggiatura che non va (ma va detto che non sono il miglior pulpito per parlare di corretta punteggiatura). Bravo.
Sinceramente a me la storia non è piaciuta, a partire dal cinquantenne il quale sembra un ultra centenario. Troppe esagerazioni, con la povera ragzza al centro delle fantasie libidinose di un gruppo di ragazzini.