Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Il pavimento” di Von Kaspiterina

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Ho pulito questo pavimento così tante volte che non so più se sono io che ho consumato lui o è lui che ha consumato me.
Conosco ogni mattonella, ogni angolo, ogni incrinatura, ogni macchia.
Quante ore ho passato qui, con spazzola e straccio, guardando verso il basso?
Troppe. Ed erano troppe già tanti anni fa.
Eppure sono qui, sono ancora qui, sono sempre qui, sono impotentemente qui, e non sono da nessun’altra parte.
Dove vorrei essere? A volte mi pare di saperlo, ma se ci penso bene tutto mi spaventa, cambiare mi spaventa, la novità di altri luoghi mi spaventa.
E allora va bene essere qui, a misurare le mie ore contando le mattonelle.

Quando ho cominciato mi ero detta che sarebbe stato solo per un po’. Giusto il tempo di trovare un altro lavoro.
Invece un altro lavoro non l’ho trovato. Forse non l’ho cercato bene o lui non ha trovato me.
E così, giorno dopo giorno, io e questo pavimento abbiamo iniziato a frequentarci, abbiamo imparato a conoscerci.
Lui si lascia calpestare da tutti, anche se ne farebbe volentieri a meno, perché sa che alla fine arriverò io a pulirlo, a rinfrescarlo, a profumarlo, come se fosse un figlio che torna dai giardini sporco di fango.
Certo, gli piacerebbe rimanere pulito come al mattino e passare le giornate a seguire la luce del sole che entra dalle vetrate, ma anche lui ha un destino, come me, e lo ha accettato. Più di quanto non abbia fatto io, mi sembra.
La mattina, quando arrivo, lo trovo addormentato, con un sorriso ebete sulla superficie, ancora profumato come la sera prima. Tutta l’aria profuma del suo odore. Non so, è come se l’atmosfera avesse un che di magico, quell’atmosfera che sa un po’ di attesa, prima di ogni inizio, quando ci si chiede cosa ci porterà questa giornata.

Poi succede tutto all’improvviso, arrivano i clienti, le voci si sovrappongono, i rumori e le parole si intrecciano e pervadono tutto.
Io e il pavimento ci dobbiamo separare, ognuno al suo lavoro, non abbiamo più il tempo di stare a fare riflessioni. Solo un commento, buttato lì ogni tanto, quando mi chino a raccogliere qualcosa che è caduto.

Durante la giornata qualche volta mi fermo, per riprendere fiato, e vado nel piccolo magazzino che c’è di fianco al bancone. Mi appoggio alla porta facendo aderire tutta la colonna vertebrale al legno e chiudo gli occhi per qualche minuto.
Faccio finta di essere leggera, invisibile e di fluttuare nell’aria, vicino al soffitto del bar. Tutto si svolge con lentezza e nel silenzio più assoluto. I clienti sono lì, sotto di me, che parlano, bevono, pagano, entrano ed escono, ma non si sente nulla. Mi soffermo a guardarli come non ho mai fatto, come non potrei mentre lavoro, e li osservo da vicino, li guardo davanti, da sopra, da dietro.
Mi accorgo che anche loro, nonostante ridano, abbiano lo sguardo concentrato o stiano bevendo, anche loro fanno i conti con qualcosa e me ne accorgo perché hanno una piega triste ad un angolo della bocca o un piccolo tic, un dolore al petto, un’ombra dietro agli occhi.
Forse anche loro volevano partire, come me, ma hanno avuto paura, e sono rimasti. Forse qualcuno invece è andato via davvero, ma è tornato, e non ne vuole parlare.

E poi c’è lui. Lui c’è sempre. Anche quando galleggio nell’aria del bar, prima ancora di vederlo avverto un tremito e faccio fatica ad avvicinarlo, a guardarlo.
Lui che non mi guarda quasi mai, se non distrattamente, lui che viene qui da anni, sempre solo, senza parlare, senza lasciare tracce di sé.
Ogni tanto mi chiedo perché venga e finisco quasi sempre per rispondermi che lo fa per me, perché anche lui è come me, e lo sa e questo è il nostro modo di amarci. Poi mi dò della stupida e cerco invece di pensare al giorno che non verrà più, all’improvviso, e io non gli ho mai detto nulla di me, di noi. Al giorno in cui entrerà sottobraccio ad una donna, e allora desidererò morire, oppure troverò finalmente la forza di partire.

Chissà se anche lui ha un pavimento con cui parlare, quando torna a casa. No, non ce lo vedo chino sul pavimento, lui ha lo sguardo alto. Forse sta sdraiato sul letto tutto il tempo, e parla con il soffitto.
I soffitti non sono come i pavimenti, i soffitti ti guardano dall’alto, ti giudicano, incombono. I soffitti sono severi. Io non rivelerei mai i miei pensieri ad un soffitto.

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10 commenti »

  1. Bello. Mi è piaciuto

  2. …racconto, fresco, originale e…romantico. L’ho gustato! Complimenti e auguri!

  3. Vi ringrazio per i commenti positivi. Mi fanno un grande piacere. E mi incoraggiano a continuare!

  4. Racconto veramente originale, narrato con uno stile chiaro e preciso. Bella la fine. Bello anche il tuo nick. Complimenti.

  5. Bello! Ho letto con piacere. Il finale : ” I soffitti non sono come i pavimenti, i soffitti ti guardano dall’alto, ti giudicano, incombono. I soffitti sono severi. Io non rivelerei mai i miei pensieri ad un soffitto.” è geniale! E’ veramente un modo originale per sintetizzare, e un po’ analizzare, due modi e necessità differenti di confidarsi, squisitamente umani.

  6. Bello e originale questo tuo racconto. E’ stato un piacere leggerlo, complimenti!

  7. Ben fatto. Malinconico ed efficace

  8. molto carino.

  9. Grazie di cuore anche a chi ha postato i nuovi commenti. Se con la scrittura ho suscitato qualche emozione allora non ho bisogno di altro.

  10. Che posso dire? Molto, molto bello … Complimenti e in bocca al lupo per il concorso!

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