Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Il regalo” di Samuele Montalbano

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Finalmente a casa da solo. Sono usciti tutti e mi sto godendo il silenzio che torna padrone dell’appartamento. Prendo un libro, un bel poliziesco svedese nel quale vorrei addentrarmi, sistemo i cuscini del divano e mi sdraio beat….

Driiiin! Driiiiiiiin! Driiiiiiiiiiiiiiiin!

Non ci credo. Suonano alla porta.

Alzo gli occhi al cielo e con due improperi fra i denti vado a vedere chi è.

– Sì? Chi è?

– Sono io, la Luisa!

È la signora del piano terreno, curiosona e un po’ svitata ma assolutamente innocua. Le apro.

Appena la vedo vengo colpito dal sorriso ebete che ha sulla faccia. C’è qualcosa di strano.

Inclino la testa di lato per studiarla meglio, cercando di capire cos’è che non mi convince. Poi sento l’indice della sua mano destra ticchettare su qualcosa di duro sotto i nostri sguardi. I suoi occhi si fanno grandi e complici, inarca le sopracciglia, guarda in basso e strizzandomi un occhio mi dice:

– Guarda cosa ti ho portato! Bello vero? Io un nome ancora non glielo’ho dato, se no poi mi affeziono.

Mi affeziono a cosa? Sono talmente inebetito dal suo sguardo che ancora non ho abbassato gli occhi.

Lo faccio. E lo vedo.

Mi dico che non può essere. Guardo ancora. Lo tocco. Non c’è niente da fare: esiste. Un alano di ceramica bianca, alto un metro, accucciato sulle zampe posteriori, con un grosso buco rotondo dietro il collo.

Sgrano gli occhi interrogativo e per non sembrare proprio rincoglionito comincio a buttare fuori parole a caso:

– Lu – Luisa, eh, cosa, cosa, cos’è sto’… sì insomma il ca-cane d-da dove salta fuo… l’hai portato in ascensore?

– Dai mo’, su, facci entrare, che te lo presento, che è proprio quello che ti ci vuole. Dà un tocco, come dire, un tocco più imponente all’ingresso sai? E poi non sporca mica, eh? Eh eh!

Mi faccio di lato e seguo la Luisa che imbocca sicura il corridoio di casa mia mentre trascina di lato l’alano tenendogli la testa tra le mani.

Entra nello studio, si siede sul divano e si mette la bestia accanto, come se fosse vera.

– Guarda – mi fa – guardalo qui alla luce che bell’esemplare! Vero? E poi ai bimbi ci piacerebbe un sacco, non è divertente?

 

Prendo la sedia girevole della scrivania e mi accomodo davanti ai due inattesi ospiti contemplando la scena. Accavallo le gambe, congiungo le punte delle mani sotto il naso e guardo alternativamente il cane e la Luisa. Per un po’ non dico nulla, quasi indeciso a chi rivolgermi. Poi trovo le parole:

– Quindi, fammi capire Luisa, tu avresti pensato di, ehm, di prestarci questo cane per un po’?

– Mo’ quale prestare! Ve-lo-re-ga-lo! Eh? Allora?

– Ah! È un regalo! Ma tu pensa, mi-mi cogli un po’ così, sai? Non me lo aspettavo, …non so proprio come, come … scusa, ma a che serve?

Luisa strizza gli occhi come se stessimo barando a briscola, poi assume un’aria esperto-tecnica-cospirativa  e mi fa:

– Guarda qui! Qui dietro, vedi?

Mi indica il grosso buco dietro le orecchie del cagnone.

– È un portaombrelli! No dico, lo avresti detto? Un por-ta om-brel-li! Pratico no? Chissà quante volte sei tornato a casa con l’ombrello fradicio e non sapevi dove metterlo! E se lo lasci sul pianerottolo si lamentano, e se lo porti in casa fai tutta la stradina di acqua fino al bagno, e se te lo dimentichi vicino all’ingresso la mattina dopo trovi una pozza ancora da asciugare! Insomma, uno l’ombrello non sa mai dove metterlo. Invece così risolvi e ti cavi via un pensiero, no?

Osservo e ascolto rapito, mi sembra di stare tra il pubblico di una di quelle televendite con le testimonianze pseudo-autentiche che si vedono la mattina sulle tv private, solo che è in casa mia che sta succedendo tutto questo.

– E poi guarda, guarda qui!

Con una mossa abilissima la Luisa afferra l’alano, lo gira sotto sopra, sfila un tappino di plastica rossa vicino alla coda e poi, quasi compiaciuta, comincia a fare su e giù con il mignolo nell’ano del colosso di ceramica.

– Visto? C’ha un tappino per l’evacuazione dell’acqua! Così ogni tanto lo puoi svuotare!

 

Esterrefatto, indeciso se presentare denuncia a qualche associazione animalista, cerco di ricompormi e di reagire.

Da un lato penso che sono finalmente alle soglie della soluzione di uno dei più grandi problemi dell’umanità (dove lasciare l’ombrello bagnato una volta giunti a casa) dall’altro mi dico che devo riprendere in mano la situazione e trovare un espediente per evitare il peggio: sarà anche utile ma ho una reputazione da difendere, io. Quel coso in casa mia non deve entrare. O lui, o me.

Mi gioco la carta dell’eccesso di gratitudine.

– Luisa, Luisa, ma tu sei troppo generosa, io ti ringrazio ma davvero, non…, noi non possiamo accettare, lo dico anche a nome di mia moglie sai – tiro in ballo l’autorità femminile – è un regalo prezioso e poi così, senza motivo, non vorrei che tu te ne privassi, sai che la nostra casa è sempre un po’ un accampamento, il cos.. il cane non sarebbe a suo agio. Sono certo che a casa tua completerebbe bene l’insieme!

La guardo negli con un’aria tipo “grazie, sono commosso, ma non potrei mai” certo di essere riuscito a rimandare al mittente il regalo. La Luisa però è un panzer e mi sferra il colpo basso, un inatteso colpo che mi lascia immobile e senza respiro.

– Ma io ne ho due! Per questo uno te lo voglio regalare!

Ho un mancamento. Il gomito del braccio che mi sorreggeva il mento scivola dal ginocchio e metà di me ha un improvviso movimento franoso sulla destra. Con un colpo di reni riesco a stabilizzarmi di nuovo sulla sedia. Se ci fosse un arbitro chiederei il time-out.

 

Devo mettere in campo un diversivo. Le offro una vodka. Lei rifiuta, però vorrebbe un thé.

Va bene lo stesso, questa mossa mi permette di alzarmi e di andare in cucina, a ricomporre le idee.

Mentre preparo tento di inventarmi la scusa del secolo, ma la mia mente frulla a vuoto, non trova appigli. Penso alle situazioni più improbabili, invento intolleranze alla ceramica, un certificato redatto da luminari che attesta una mia paura atavica dei cani, l’incompatibilità del cagnone con il gatto di legno in cui tengo le chiavi all’ingresso, oppure “Non te lo avevo mai detto? Io l’ombrello non lo uso”.

 

Verso il thé nella tazza, la metto sul piattino e  mi giro per tornare nello studio. Appena mi volto mi trovo davanti la Luisa sorridente che fa pat pat sulla testa dell’alano. Dallo spavento butto la tazza e il piattino in aria. Sento il rumore di piatti rotti alle mie spalle, il thé rovente mi trapassa la maglietta e mi cola lungo la schiena. Urlo sguaiatamente cercando di togliermela.

– Cazzo! Cazzo! Cazzo! Brucia! Ahia!

La Luisa si spaventa e tenta di calmarmi. Fa un passo verso di me ma inciampa nel cane, vola in avanti in una specie di abbraccio a tuffo e mi scaraventa contro il mobile del lavandino.

Ci ritroviamo a terra storditi, io a torso nudo, la Luisa avvinghiata a me. Il cane ci guarda con sdegno come se dicesse “Pervertiti!”.

Con un po’ di imbarazzo scollo le dita della Luisa dai miei capezzoli e mi alzo, aiutando anche lei a rimettersi in piedi.

La guardo. Poi scuoto la testa e le dico:

– Ma non è che questa simpatica bestiola porta un po’ sfiga?

– Ma no, cosa dici mai? È solo un coso di ceramica, un portaombrelli, non avrai mica paura di un portaombrelli grande e grosso come sei, vero?

– Di un portaombrelli no, ma di un portaombrelli che porta sfiga un po’ sì.

Lei si fa seria per un attimo, poi allarga un sorrisone e battendomi su un braccio mi dice:

– Sei sempre il solito, eh? Ma lo sai che ci stavo quasi per cascare? A te va sempre di scherzare! Ah, voi giovani… Ma non ti preoccupare, ora qui pulisco tutto io. Tu vai a sistemare l’Ubaldo all’ingresso.

– L’Ubaldo?

– Sì, Ubaldo! Mi è venuto in mente prima. Mi ricorda un mio cugino di terzo grado che stava a Gambettola e che aveva sempre sta’ faccia lunga da cagnone triste, eh eh!

 

Basta. È tutto inutile. Mi sono difeso, ma la Luisa ha vinto. È una forza sovrumana, sicuramente oltre le mie capacità. Getto definitivamente la spugna.

Prendo Ubaldo per le orecchie appuntite e lo trascino fino al pianerottolo. Lo piazzo di fianco alla porta e gli dico:

– Non ti muovere da lì, intesi?

Mi sa che mi sono rincoglionito del tutto.

E a desso chi lo dice a mia moglie?

 

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15 commenti »

  1. Troppo forte la Luisa! mi piace questo racconto, è divertente e ben scritto. Complimenti!

  2. Grazie Silvia, è la prima volta che un mio racconto esce dalla cerchia di amici e parenti. I complimenti sono benzina!

  3. ..bel regalo! ih, ih . Ritmo serrato nel racconto che si legge d’un fiato in attesa del finale. Mi è piaciuto perchè ho sorriso!

  4. Come ha detto Eleonora Marchiori prima di me: un racconto da leggere tutto d’un fiato!
    Divertimento e leggerezza: bravo!

  5. Non mi piace. Di fronte alle grandi esigenze dell’Oggi dell’uomo è una racconto inutile. 🙂 CEMF

  6. un racconto, chiedo scusa ma con la rabbia addosso digito male. CEMF

  7. Racconto scritto molto bene, comico, a tratti al limite della farsa. Mi sono proprio divertita a leggerlo e so di non aver affatto buttato via il mio tempo, anzi. Chi ha detto che ridere è inutile? Ce ne fossero di racconti così! Questo è il secondo racconto tuo che leggo, caro/a Von Kasp…, e non posso che complimentarmi con te.

  8. Un racconto inutile?????? la miniera deve aver ridotto l ‘ossigeno al cervello di qualcuno !!!! Leggero, ironico, scrolla di dosso per qualche minuto i problemi della vita di tutti i giorni pur descrivendo cose che accadono tutti i giorni. Complimenti!

  9. accetto tutti i commenti e a volte quelli più stimolanti sono proprio quelli di chi non ha gradito o non ha trovato nulla in ciò che scrivo.
    penso anche, tuttavia, che tutti noi scriviamo per tanti motivi e raramente ci poniamo il problema dell’utilità come primo assillo. e poi utile a cosa? a chi? personalmente scrivere è utile innanzitutto a me stesso (perché risponde ad una esigenza cui è salutare dare sfogo). in secondo luogo ciò che è stato scritto può essere utile a chi legge perché si immedesima, ride, piange, si arrabbia.
    potremmo aprire un notevole dibattito su questi temi e non sarebbe che la continuazione di un più ampio e secolare dibattito.
    scrivo in modo solitario da molto tempo, con disciplina da molto meno tempo. un paio di anni fa non facevo leggere ciò che scrivevo neanche a mia moglie. piano piano e con circospezione ho accettato di far leggere i miei scritti anche ad altre persone e ho la percezione personale di un percorso di crescita, di autoanalisi, di confronto con ciò che ho dentro (siano fantasmi o spunti divertenti). per me – almeno- tutto questo è stato ed è utile.
    un caro saluto a tutti
    Einrich Von Kaspiterina

  10. utilità: fare scendere la Luce. sola utilità spirituale dello scrivere. fondamentale, oggi. chi ha orecchie o orecchini per intendere intenda. CEMF

  11. Ammetto di aver letto prima gli ultimi commenti, poi il brano.
    Mi domando come si possa definire l’utilità dello scrivere e dell’arte in generale, come si possa giudicare non lo stile, le parole, l’andamento di un racconto ma lo spirito e l’emozione che ne sono alla base e quelli che da esso possono scaturirne. Avvicinarsi ad un brano con dei criteri predefiniti da rispettare ne limita la comprensione più profonda, l’unica sulla quale può nascere una reale idea al riguardo, incastrando in canoni e ragioni imposti chissà da chi o da cosa.

    All’autore vorrei dire che mi rispecchio completamente nel suo ultimo commento: la scrittura solitaria, la diffidenza nel farsi leggere, le barriere autoimposte superate con circospezione e il percorso di crescita e di forza che si ricompone attraverso il lavoro, per quanto umile sia. Sorrido pensando che c’è ancora chi affronta la competizione in primo luogo come una sfida con se stessi e non solo con l’intento di vincere.
    In bocca al lupo!

    AM

  12. Ho giurato (Bertino mi è testimone) di apporre solo commenti negativi e così faccio. Il racconto di Von Kaspiterina (Heinrich! Heinrich!! Heinrich!!!lo vorrei chiamare come Margarethe Faust dalla galera) è carino e scritto bene ma abbiamo così detto tutto. La scrittura, signori miei, è pugna per la chiamata della discesa dello Spirito nei cuori e nel mondo (a questo servono in genere l’Arte e la Bellezza, da qui la loro “utilità”). Non facciamo dello scrivere una piccola pugna – non uso altri termini – per conquistare il vago piacere di una lettura gradevole. Ho già detto altrove il colore di inchiostro (orrendo perchè fatto di sangue, seme, linfa e ogni altro liquido organico) che pretendo si usi in una vera scrittura e in questo racconto Von Kaspiterina usa invece un tenuissimo e gradevole color pastello. Ciò detto, abbraccio tutti, ricordandovi che qui si scherza, anche. 🙂 CEMF

  13. caro fairendelli, vedi, il bello di aprirsi e pubblicare ciò che si è scritto, è che poi si incontrano persone come te che hanno giurato di apporre solo commenti negativi e che scrivono in quanto pugna per la chiamata della discesa dello Spirito.
    prendo nota. nel frattempo mi interessa il tuo giudizio negativo sull’altro mio racconto “il pavimento” che è di tutt’altro genere. ricordanoti che io scherzo a partire dallo pseudonimo!
    un caro saluto EVK

  14. “il pavimento” mi piace ancora di meno del cane maledetto. aprirsi e pubblicare non vuole dire niente. certamente una fortuna per te avermi incontrato. :-)))) abbracci. CEMF

  15. bello, un po’ d’aria fresca, secondo me fuziona alla grande,
    questo concorso sa essere una calamita per tromboni e parrucconi, così serioso, pieno di citazioni e muffoso che mi manda in paranoia. tutti impegnati a fare gli impegnati.
    ma si sa non tutti capiscono tutto io per esempio la storia infinita non l’ho capita, non durava nemmeno un’ora e mezza.
    Sì, questa cazzata è sempre nei miei pensieri

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