Premio Racconti nella Rete 2013 “Il canto di Mauve” di Carolina De Santis
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Una notte di luna piena, Kian Mc Lellan stava attraversando il Bosco di Mauve; il posto si chiamava così dal nome della fata che vi abitava, nessuno l’aveva mai vista, anche se alcuni giuravano di avere udito il suo canto.
Lontano dalla cima del monte veniva un ululato lungo e ripetuto, per il resto il bosco era stranamente silenzioso, non si udiva neppure il verso del gufo e Kian avanzava tra gli alberi con un po’ di timore e con le orecchie tese a captare anche il più piccolo rumore.
Non vedeva l’ora di uscire dal folto degli alberi che sembravano chinare i rami minacciosi verso di lui, quasi volessero sbarrargli il cammino; cercava di spronare il suo cavallo ad andare più veloce, ma questo aveva un passo lento e regolare come se stesse aspettando qualcosa e non volesse perdersela.
All’improvviso il silenzio fu rotto da un lungo sibilo, il sangue di Kian si gelò; sopra la sua testa il frullio d’ali di una civetta alzatasi in volo lo fece quasi cadere da cavallo, al sibilo seguì una melodia dolcissima, veniva dal cuore della macchia e come sottofondo si udiva un gorgoglio argentino.
Il cavallo di Kian cambiò direzione e si avviò verso l’origine del suono.
Una piccola radura illuminata dalla luna faceva da cornice a una sorgente cristallina e su un masso ricoperto di muschio sedeva una creatura splendida dai lunghi capelli con riflessi di fuoco.
Kian la guardava senza riuscire a muoversi, anche il suo respiro si fermò, finché il canto si affievolì e, la creatura, avvicinatasi allo specchio d’acqua, sparì lasciando una leggera increspatura sulla superficie argentea del laghetto.
Per un po’ Kian rimase sbalordito a fissare il punto in cui la fata era scomparsa, ma non vide altro che la luna che si specchiava.
Il bosco si rianimò dei suoni della notte, il suo cavallo prese un passo veloce e lo portò fuori dal folto.
Si ritrovò nella sua capanna aldilà della montagna, che era ormai giorno e, stanco, si buttò sul suo giaciglio. Il suo sonno fu agitato, continuava a rivedere la fata e a udire il suono meraviglioso del suo canto.
Al risveglio decise di tornare nel bosco per provare a rivedere la creatura magica.
Stette per tutta la notte nascosto dietro l’abete bianco che lo aveva protetto la sera prima, attendendo di udire un suono: il Suono. Ma la notte era diversa: il bosco aveva le solite voci, il fruscio del vento tra le foglie, lo stridio del pipistrello e lo scorrere veloce dell’acqua del ruscello.
La sua attesa fu vana. Arrivò il mattino annunciato dalle fredde brume e lo trovò infreddolito appoggiato all’albero che gli aveva fatto compagnia durante la notte.
L’abete divenne l’amico delle sue notti nel bosco, passate ad aspettare che la fata facesse sentire di nuovo la sua voce.
Ogni sera, Kian sellava il cavallo, valicava la montagna e riprendeva il suo posto di vedetta nella notte. La foresta gli era diventata famigliare, aveva imparato ad apprezzare la carezza del vento, lo scricchiolio dei rami e il rumore sordo delle pigne che cadevano scosse dagli scoiattoli ritardatari.
Una volta udì vicinissimo il bramito di un cervo che lo sfiorò, passando, senza accorgersi di lui, tanto era diventato parte del bosco.
Finché, una notte, in cui la luna riempiva completamente il cielo punteggiato di stelle, finalmente le note dolcissime del canto mai dimenticato, arrivarono di nuovo al cuore di Kian.
Si riempì gli occhi e l’anima dell’immagine splendida della fata che cantava seduta sul velluto verde del masso, in riva allo stagno. Il canto fluiva dalle sue labbra con un ritmo morbido e delicato che arrivava dritto al cuore e lo sollevava verso il nero del cielo. Kian chiuse gli occhi per godere appieno del momento e quando li riaprì, riuscì a scorgere solo gli ultimi cerchi nell’acqua nel punto dove era sparita la fata.
Tornò nel bosco tante altre volte e nelle notti di luna la fata tornava a cantare quasi lo facesse per lui, o almeno così gli piaceva credere.
La luna piena di dicembre illuminava la bianca coltre che ricopriva il bosco e faceva splendere la sottile lastra di ghiaccio sulla superficie del laghetto, il canto fluiva morbido e setoso, quando Mauve volse il suo sguardo verso l’abete bianco:
-Perché ti nascondi? Pensi che non sappia che vieni a tutte le lune per ascoltare la mia canzone?
Kian si fece avanti confuso e la fanciulla si alzò mostrando il suo viso bellissimo incorniciato dalla folta chioma ramata. I suoi occhi color dello smeraldo lo fissarono e si sentì completamente rapito.
La sua veste con tutti i colori della natura ondeggiava sotto l’alito gelido del vento.
-Mi chiamo Mauve e sono la fata di questa sorgente, sei un uomo fortunato pochi hanno udito il mio canto e nessuno mi aveva mai visto, ma la tua fortuna è la mia condanna. Ora dovrò tornare nello stagno e nessuno sentirà mai più la mia voce.
Dette queste parole si avvicinò alla riva e si tuffò.
Kian d’istinto si spinse in avanti per fermarla, afferrò un lembo della sua veste, questa si strappò e gli restò in mano.
Mauve scomparve sotto il ghiaccio e Kian intravide la sua chioma di fuoco che spariva fluttuando nel verde dell’acqua.
Dopo quella notte tornò molte volte, ma della fata nessuna traccia, a lui restarono il cuore infranto e un pezzo di stoffa.
Complimenti Carolina, davvero un bel racconto. Mi piace molto come hai saputo descrivere il bosco e i suoi abitanti. Molto significativo anche il finale.
Racconto incantato, d’amore e di fate, fatto per un pubblico di giovani lettori.
Si, racconto di atmosfere nordiche incantate … la magia di un sogno ,,,