Racconti nella Rete 2009 “La Baby sitter” di Cleonice Polveroni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009“Faccia la valigia e se ne vada!”
“Certo, subito!” risposi imperterrita di fronte a tanta isteria.
Ero appena rientrata e la signora Albani mi accoglieva con questo secco imperativo. Era alle prese con la pappa che,secondo i suoi piani, avrei dovuto dare io al piccolo Fabio, suo figlio di pochi mesi. Io, la sua tata alla pari, rientrata dal pomeriggio libero evidentemente in ritardo sul programma serale della signora Albani!
“Io e mio marito dobbiamo uscire a cena e siamo in ritardo per colpa sua!” Rincarò la dose ,con la sua erre moscia sibilata fra i denti.
Girai sui tacchi con calma serafica e andai in camera mia a preparare la valigia, decisa a non mollare di fronte a quella pazza : erano le otto di sera di una giornata invernale e mi sbattevano fuori di casa.
Mi preparavo mentalmente all’idea di prendere l’autobus a quell’ora , oppure di chiamare un taxi per piombare all’improvviso a casa di amici : mi consolava l’idea di potermi trovare almeno in famiglia. Avevo già ben chiara davanti a me la prossima mossa. Avrei cercato nei giorni seguenti un’altra sistemazione: vent’ anni, studentessa di lingue offresi come au pair.
A questi miei pensieri al galoppo, dettati più dall’istinto di conservazione che dal ragionare equilibrato, diede una brusca frenata il marito della signora Albani. La professione di avvocato lo aveva plasmato alla “conciliazione” dei conflitti e alla consapevolezza delle responsabilità legali alle quali sarebbe andato incontro qualora io avessi denunciato l’accaduto.
Entrò subito in camera mia e scusandosi per l’intemperanza della moglie, mi pregò di riconsiderare l’idea di allontanarmi da casa loro. Evidentemente imbarazzato dalla situazione, si scusò ancora e volle assicurarmi tutta la sua comprensione e ricordarmi che sua moglie era ancora sotto l’effetto dei trattamenti della “clinica del sonno”
“Lo so” risposi indispettita “Ma se le fa questo effetto dovrà tornarci presto! non può trattarmi in questo modo: che ho fatto di così grave? Ho due pomeriggi a settimana per seguire i corsi a scuola e non è dato per scontato che debba essere presente anche per la pappa della sera! Il mio lavoro l’ho svolto stamattina.“
“Si, si , va bene ,si calmi!” riprese lui “ha ragione, gli accordi tra noi erano questi. La prego, metta via la valigia e non ne parliamo più.”
Poi uscendo, aggiunse sotto voce “La scusi ancora, è esaurita!” , come se fosse un segreto tra noi. Incrociai il suo sguardo annuendo in segno di complicità. Chiuse la porta della mia camera e io riposi nell’armadio la valigia che era rimasta aperta sul letto, ancora vuota.
In effetti la signora Albani, dopo la nascita del secondo figlio, era ricorsa alle cure della clinica del sonno: aveva dormito una settimana intera! A suo dire il parto l’aveva “svuotata” non solo in senso materiale ma anche psicologico. Crisi post-parto? Crisi matrimoniale? Crisi d’identità ? La signora era in crisi. Benestante, di origini nobili, sposata all’avvocato De Marchi molto giovane con una figlia di tre anni, Claudia e Fabio, di appena un mese. Le lunghe gambe magre e nervose si muovevano sulla moquette soffice a passo deciso producendo un tonfo secco, lievemente ammortizzato dalla moquette. Già dal passo si intuiva che la signora Albani era tesa come una corda di violino e sempre irritabile come la sua erre moscia. Insoddisfatta e per niente felice, aveva spesso uno sguardo vuoto e assente, dovuto forse al troppo dormire.
Lei e il marito dormivano in camere separate poiché lui russava! Perciò lei dormiva nella camera matrimoniale con il figlio e aveva costretto il marito a rifugiarsi in un’altra stanza, per un lungo periodo “post parto”. A volte la disturbava anche il pianto o addirittura il sonno del figlio e lo chiudeva nella cabina armadio.
Evidentemente considerava “naturali” e “normali” questi suoi atteggiamenti poiché me ne parlava come se tutte le mamme e mogli si comportassero come lei! Mi faceva un po’ pena e cercavo di giustificarla anch’io.
A vent’anni comunque, un sano, egoistico istinto di conservazione mi lasciava impermeabile ai problemi dei “grandi”; pensavo piuttosto ai miei.
Lavoravo e studiavo. Mi mantenevo facendo la baby-sitter alla pari consapevole e convinta che il futuro sarebbe stato diverso e che prima o poi la permanenza in casa d’altri sarebbe finita.
Questa consapevolezza mi dava la forza di sopportare le intemperanze della signora Albani.
Anche suo marito, l’avvocato, si sorbiva le frequenti “scenate” isteriche della moglie come fossero vere e proprie prove di sopravvivenza.
Superato il momento della furia muliebre che tutto sfascia e rompe, lui continuava a parlarle sotto voce e così riusciva a calmarla. Ancora innamorato, nonostante tutto, e sempre pronto ad assecondarla. Uscivano quasi tutte le sere a cena fuori lasciandomi con i bambini. Lei non sapeva cucinare e si preoccupava solo di ordinare dalla rosticceria sotto casa.
Anch’io in cucina non avevo esperienza ma almeno un buon minestrone sapevo prepararlo e lo preparavo a volte per Claudia. Ricordo che ne preparavo una pentola piena che conservavo per tutta la settimana per le sue pappe e poi anche per quelle di Fabio.
“ Che Buono!” mi disse una sera l’avvocato assaggiando un cucchiaio di minestrone al volo, mentre transitava in cucina, “ Perché non lo mangiamo anche noi?”
“Sfido che è buono!”pensai. Soffriggevo prima la cipolla nell’olio con il basilico, come avevo visto fare a mia nonna e poi aggiungevo le verdure e il legumi a pezzi! Era infatti un minestrone per “grandi” non un passato di verdure per bambini! Ma era il solo modo che conoscessi per farlo. Lo preparavo per mia comodità, ai bambini piaceva e questo bastava.
Con una mamma come la signora Albani che preparava tuttalpiù una minestrina in bianco e per non perdere tempo ad imboccare il figlio, la metteva nel biberon dopo aver allargato il foro della tettarella, una baby-sitter, cuoca inesperta come me, avrebbe fatto meno danni.
Un giorno, rientrando in casa all’ora della pappa, trovai la signora Albani alle prese con la minestrina in bianco per il figlio: la stava facendo raffreddare prima di versarla nel biberon. Fabio era collocato sopra il tavolo di cucina dentro la poltroncina di plastica,imbracato con le cinture di sicurezza. Mentre attendeva l’agognata pappa sgambettava; lei non era ancora pronta e lui si spingeva impaziente con le gambette scivolando sempre più indietro, sempre più indietro finché arrivò al bordo e.. cadde dal tavolo! Panico, grida, pianto spaventato del bambino. Per fortuna niente di grave, solo tanta paura. Si era ribaltato ed aveva un bernoccolo che lievitava a vista d’occhio sulla fronte. “Mamma mia! se fosse successo a me! “mormorai piano mentre assistevo alla scenetta tragi-gastro-comica e aiutavo la signora Albani ad alleviare con le coccole il lamento di Fabio.
Con un istinto materno prossimo allo zero ricollocò il seggiolino sul tavolo e piazzò la tettarella in bocca al figlio. Il “bernoccolo” era stato medicato con acqua fredda e garza. La fame superava il dolore e la minestrina a peperini fluiva a fiotti dal biberon alla tettarella,diretta nello stomaco.
Fabio trangugiò anche l’omogeneizzato di frutta velocemente come se avvertisse d’istinto che sua madre aveva fretta di finire e fuggire via. In effetti mi consegnò il bambino per le operazioni di igiene e se ne andò in camera a dormire. Ne sarebbe uscita solo più tardi con gli occhi di una sonnambula, aperti solo a metà, il viso scarno e pallido, la falcata pesante e il sorriso ebete di chi,svegliandosi, si fosse trovato all’improvviso su di un altro pianeta.
Penso di poter dire che in questo racconto di inventato c’è pochissimo…ti invito quindi a leggere il mio, anch’esso preso di peso dalla (mia) vita reale. Ciao e complimenti. Andrea Ercolini