Premio Racconti nella Rete 2013 “Licantropi” di Enrico Bagnato
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Agli inizi della mia carriera di scrittore per dedicarmi alla scrittura al riparo da frivole distrazioni e da futili incombenze quotidiane soggiornavo per lunghi periodi dell’anno insieme a mia moglie in una casetta posta in prossimità di un fitto bosco. Sul lato opposto della strada, ad una cinquantina di metri, si apriva il viale d’accesso alla fattoria del signor Lucas. Trascorrevo le giornate intento a scrivere, mentre mia moglie andava per i campi raccogliendo fiori e verdure selvatiche o si addentrava nel bosco per riempirsi il cestino di fragole, mirtilli e funghi. Ogni sera, immancabilmente, Sara si recava alla vicina fattoria per tornarsene a casa con una brocca di latte appena munto.
Il signor Lucas, un bell’uomo sui quarant’anni, alto, magro con intensi occhi color marrone di una inquietante luminosità, non era sposato. Con la collaborazione di alcuni salariati conduceva un allevamento di mucche e di pecore che in estate pascolavano liberamente in campi di erba medica recintati, e d’inverno venivano ricoverati in ampie stalle per difesa dai lupi che infestavano la zona. Con il mio vicino avevo radi contatti; il signor Lucas al pari di me era un appassionato cacciatore e spesso, nel tardo autunno, combinavamo battute mettendoci insieme sulle tracce di un branco o di un lupo isolato che, durante la notte, aveva sgozzato una pecora o un vitello; o, senza un immediato motivo di ritorsione, per il puro piacere della caccia, battevamo il bosco per stanare e abbattere qualche predatore. Qualcosa mi aveva colpito nella condotta di caccia del vicino: benché sempre manifestasse impazienza di raggiungere la fiera, quando poi gli veniva a tiro, sembrava che esitasse a colpirla e lasciasse a me il compito di abbatterla. Dopodiché egli mi precedeva e, chino sul lupo stecchito, amorevolmente ne saggiava con le dita il pelame tuffandovi e smuovendovi dentro le dita con in viso un espressione che ero in dubbio se definire di ebrezza o di pietà.
Negli ultimi tempi mia moglie trascorreva più tempo alla fattoria, tardava a far ritorno con la consueta brocca di latte e riferiva di essersi fermata per assistere alla nascita di un vitello o di un agnello, o alla schiusa delle uova di una chioccia, o per una gatta che aveva figliato, insomma mi dava questa sorta di spiegazioni.
Quella notte rientrai tardi dalla città dove, nel circolo cittadino, era stato presentato l’ultimo romanzo di un narratore mio amico, con il quale poi avevo cenato in uno dei migliori ristoranti.
La notte era serena, una luna piena splendeva nel cielo di un azzurro profondo. Parcheggiai l’auto davanti all’ingresso di casa e mossi alcuni passi, girando intorno lo sguardo e inalando l’effluvio di erbe e fiori che giungeva dai campi e dal bosco. Quando, improvviso, si levò uno stridulo ululato che mi fece sobbalzare. Un lupo era a poca distanza, calcolai che si trovasse dietro la fattoria del vicino. L’ululato si ripetè intenso, prolungato e, questa volta, su un diverso tono echeggiò un lungo, vibrante ululo in risposta che mi raggelò poiché proveniva dal retro della mia abitazione. Frettolosamente aprii la porta, corsi alla rastrelliera, afferrai la carabina che tenevo sempre pronta con un colpo in canna e mi precipitai fuori mentre gli ululati si intrecciavano a mo’ di duetto, segnalando che le due fiere erano in reciproco avvicinamento. Di lì a poco, al limpido lume del chiardiluna scorsi sullo spiazzo dinanzi alla fattoria del signor Lucas due grossi lupi che caracollando si correvano incontro e che, giunti a contatto, presero a farsi festa scodinzolando e saltandosi addosso al modo dei cani. Mi colpì la selvaggia tenerezza di quel loro esagitato ruzzare: senza smettere di ululare si sfregavano l’uno contro l’altro dandosi musate come si scambiassero baci. Prima che potessi avvicinarmi a una distanza che consentisse di prendere la mira, i lupi filarono via tuffandosi come ombre nella tenebra del bosco. A quel punto volsi i passi e andai a bussare al portone della fattoria per invitare il vicino a dare loro la caccia . Dopo che ebbi ripetutamente bussato, mi aprì un assonnato domestico che riferì che il signor Lucas era uscito sull’imbrunire e ancora non era rientrato. Decisi di spingermi da solo nel bosco, fidando nell’esperienza e nell’ottima arma che avevo in mano.Mi inoltrai tra gli alberi procedendo cautamente guidato dagli ululati, che ora si alternavano con ebbri uggiolii confermando che la coppia amoreggiava.Trascorse un’ora buona da che ero sulle loro tracce. Quando, improvvisamente, ai margini di una radura che i raggi della luna piena colmavano di una luce azzurrina, al riparo dietro un grosso tronco d’albero, scorsi i due lupi avvinghiati nella tipica postura dell’accoppiamento: il maschio montava la femmina bloccandone il corpo con le zampe anteriori in un selvaggio abbraccio e le inferiva colpi a martello affondando le balenanti zanne nella collottola con spasmodica presa; dalle fauci gli schizzavano spruzzi di bava che mi immaginai ustionanti; entrambi parossisticamente ululavano e uggiolavano con convulsi sussulti dei corpi saldati.
Con emozione, ma imponendomi la calma, puntai l’arma, presi la mira e sparai. Alla fiammata e al fragore seguì un fumineo balzo del maschio, che si librò in alto disegnando una tenebrosa esse, e ricadde torcendosi al suolo per pochi istanti d’agonia, e si irrigidì. La femmina, quasi avesse le ali, s’involò e sparve nel folto prima che potessi spararle.
Cautamente mi accostai alla fiera stecchita, le girai intorno, quindi mi chinai fissando il muso digrignato con le lunghe zanne snudate simili a pugnali d’argento; ma più mi sgomentò l’implacabile ferocia del vitreo sguardo dei grandi occhi marroni che sembravano fissarmi e che oscuramente mi ricordavano gli occhi di qualcuno.
Sollevai la pesante preda tra le braccia e la portai, in circa un’ora di cammino, fino a casa. Entrai, deposi il lupo sopra un mucchio di ciocchi impilati accanto al camino, riposi la carabina sulla rastrelliera e andai in bagno a lavarmi.Senza far rumore per non destare mia moglie entrai in camera da letto. Sara dormiva profondamente a pancia in giù, la guancia destra posata sul cuscino, i lunghi capelli castani, legati in fascio con un nastro viola, ricadevano come una lucente coda sulla guancia sinistra e sul collo d’avorio.
Pensai che non fosse il caso di svegliarla, le avrei raccontato della caccia al mattino durante la colazione. In quel punto scorsi sul suo collo un rivolo di sangue seminascosto da una ciocca. Mi accostai, smossi la coda di capelli e – signore Iddio! –agghiacciando riconobbi, in quattro sanguinanti fori impressi nel collo, le inconfondibili impronte delle zanne di un lupo.
Enrico Bagnato