Racconti nella Rete 2009 “Conchita, Ada, Monica, Irina” di Massimo Ubertone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009
Conchita Fuentes de la Roca libera la fronte da un ricciolo ribelle con un gesto nervoso della mano, come se proprio in quel ricciolo si nascondesse un pensiero molesto. Dalla finestra, attraverso le tende pesanti, si intravede in lontananza la carrozza del conte che risale il vialetto sollevando una gran polvere bianca. Lei fa un respiro profondo per darsi coraggio, e, assurdamente, si aggiusta il vestito, dando un’occhiata in giro al salone per vedere se tutto è in ordine.
“Che stupida, lo sto facendo di nuovo – mormora tra sé – mi sto ancora comportando come la mamma”.
E davvero tutti a Mendoza pensano che Conchita sia destinata a fare la fine di sua madre, povera donna, invecchiata in silenzio per quarant’anni servendo un uomo che non amava. Anche per lei si prepara una vita nella stessa prigione dorata: un matrimonio di convenienza che tanto la famiglia Fuentes che la famiglia Gutierrez, entrambe discendenti dai primi conquistadores, hanno fortemente voluto per soddisfare le rispettive ambizioni.
Ma il destino le ha fatto incontrare Ramon Guerrero e le ha aperto uno squarcio verso il futuro.
Ramon le ha proposto una fuga in piena regola: loro due, soli, in segreto, verso l’Europa o gli Stati Uniti. Conchita però è convinta che il conte, sebbene si sia sempre dimostrato meschino, autoritario e vendicativo, abbia diritto ad una spiegazione a viso aperto.
Stasera lo affronterà, e gli dirà che ama un altro.
Ada ha ottantaquattro anni, e da mesi non lascia il letto. Il suo cuore è molto malandato ma ancora ben vivo, e non sopporta le ingiustizie.
Ada è dalla parte di Conchita al cento per cento. Pensa che una donna così bella, e con quel temperamento, non può sprecare la vita con un uomo che non ama. Sa che solo Ramon (il bel Ramon) potrà renderla felice, e spera tanto che lei trovi la forza di ribellarsi.
Ora che la carrozza si avvicina, anche lei, come Conchita, aspetta col fiato sospeso l’arrivo del conte.
Finalmente la porta si apre, e con il solito passo deciso da padrone il conte Manuel Gutierrez fa il suo ingresso nella sala.
In quel momento, all’improvviso, tutto cambia.
Monica è alta, ha i capelli color rame, e ora la si vede di spalle, splendida nel suo accappatoio bianco, proprio là dove un attimo prima era apparsa la figura massiccia del conte Gutierrez.
Dove prima era la penombra di Villa Fuentes adesso si spalanca una grande veranda piena di luce, davanti a un mare scintillante, e a una fila di ombrelloni.
Poi il cielo si oscura con un brontolio di tuono, e, fuori campo, si sente una voce severa e profonda, come quella del Padreterno.
“MONICA, TI SENTI PRONTA PER LA PROVA BIKINI?” dice la voce.
Tutto sembra sospeso quando lentamente, in crescendo, parte una musica trionfale.
Il sole torna a brillare e Monica lascia cadere l’accappatoio svelando un corpo stupendo. Si avvicina un bel ragazzo in calzoncini e maglietta bianca, con in mano un flacone di plastica opaca; svita il tappo, e con due dita raccoglie un fluido verdastro; appoggia il flacone sul davanzale, con la marca bene in vista, e comincia a massaggiare ritmicamente le spalle e la schiena di Monica. Si comporta come se la preparasse ad una sfida sportiva, ma il suo sguardo lascia intuire anche altri programmi.
Ada ha due cuscini dietro la schiena e il dito indice sempre appoggiato sul tasto del telecomando, quel tasto che ha una freccetta verso l’alto e una verso il basso, e che serve a variare lo scenario delle sue giornate.
Don Giuliano, che è venuto a confessarla venerdì, le parlava del libero arbitrio, e a lei veniva in mente solo quello. Il telecomando. Una freccetta giù, e una freccetta su.
Ora vorrebbe cambiare canale. Le piacciono le belle storie d’amore, e le interruzioni pubblicitarie la disturbano, soprattutto queste immagini spinte di donne mezze nude.
Ma qualcuno ha deciso che il suo tempo è scaduto e non le consentirà quel minimo, estremo esercizio del libero arbitrio.
Il suo cuore malandato i cui battiti, all’arrivo del malvagio conte Gutierrez, erano aumentati all’unisono con quelli del cuore di Conchita, all’improvviso si ferma.
E così, mentre Monica continua a sorridere dallo schermo, lasciandosi spalmare la pelle di crema idratante, è il corpo di Ada che si spegne con un breve sussulto, come attraversato da un’onda invisibile, e spegne la memoria delle sue tante storie, compresa quella, ormai sbiadita, in cui forse lei, Ada, era l’eroina.
Per lei, possiamo sperare, comincia una storia nuova, da un’altra parte.
Monica, scampata al telecomando, con la pelle sempre più idratata e splendente, potrà assaporare fino all’ultimo i trenta secondi di esistenza radiosa che sin dall’inizio le sono stati concessi (in una delle sue frammentarie, innumerevoli, identiche vite) per la maggior gloria della Società Lancome di Parigi.
Irina è nell’altra stanza a lavare le calze. Entra in camera da letto per abbassare il volume della televisione, che Ada tiene sempre altissimo, ma che quando passa la pubblicità è ancora più forte.
Le toglie di mano il telecomando e capisce che Ada non è addormentata.
Irina non si agita, non piange. E’ solo un po’ triste. Non è una situazione nuova, ci è passata ancora: deve telefonare al 118, e ai nipoti di Milano, che poi sono quelli che la pagano, e che si occuperanno di tutte le formalità.
Ha trentotto anni e due figli adolescenti che abitano a Kiev con la nonna, e in questo momento si chiede quanti altri avanzi delle vite altrui dovrà ancora condividere, in questo paese che le è estraneo, prima di potersi permettere il lusso di vivere la propria.
Domani, con calma, chiamerà Tanaskovic che le troverà il prossimo lavoro.
Irina sta telefonando in soggiorno, e in camera da letto il televisore è rimasto acceso. Si sente solo la voce di Conchita. Poco più di un filo di voce, per la verità, perché lei ha molta soggezione del conte. Ma è anche determinata:
”… Perdonatemi, se potete, oppure disprezzatemi, non mi importa più… ma il mio cuore non è vostro. Non temete, non avanzerò pretese sulle vostre proprietà, né porterò via con me i gioielli che mi avete donato.
Non chiederò la restituzione del podere di San Vicente e dei titoli della Ferrovia che vi ho portato in dote. Solo una cosa che mi appartiene pretendo che mi restituiate. Si chiama Conchita Fuentes. E’ l’unico bene prezioso che possiedo, e non lo consegnerò più nelle mani di nessuno, nemmeno in quelle di Ramon, il mio unico grande amore!…”
Né Ada , né Monica , né Irina sono lì ad ascoltarla. Nella stanza da letto, che sa di chiuso e di medicine, Conchita, sola, continua a parlare, aspettando la reazione del malvagio conte Gutierrez .