Racconti nella Rete 2009 “Il gioco della vita” di Roberta Selan
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Aspettavo Giulia già da un po’ e di lei ancora nessuna traccia: non che la cosa mi preoccupasse più di tanto, di solito era in ritardo d’abitudine, ma quel giorno subito dopo la nostra consueta bevuta di caffè del Martedì pomeriggio avevo un impegno di lavoro e mi dispiaceva poter stare così poco con lei. Eravamo amiche fin dai tempi della scuola media, quando lei mi aiutava con la matematica e io le davo una mano in italiano; da allora il nostro rapporto era andato via via cementandosi, non passava giorno che non ci vedessimo o almeno non scambiassimo quattro chiacchiere al telefono, non c’erano segreti tra noi, almeno da parte mia: le volevo bene, era la mia migliore amica, la mia confidente, la mia valvola di sfogo, forse la sorella che non ho mai avuto. Anche dopo i rispettivi matrimoni nulla era cambiato: trovavamo il tempo sia per noi che per la casa e la famiglia, due vite equilibrate che continuavano a completarsi, a cercarsi giorno dopo giorno, e tutto sembrava andare a gonfie vele.
“Scusa il ritardo Roby, ho avuto un intoppo a casa…Il solito macchiato caldo?”. “Per me va bene,grazie”. Era accaldata, rossa in volto, visibilmente agitata per qualcosa, e soprattutto nel salutarmi non mi aveva guardata in faccia: era chiaro che c’era un problema, avrei voluto saperne di più, ma dal momento che non se l’era sentita di parlarmene spontaneamente, non mi sembrò il caso di invadere la sua privacy. Scambiammo qualche parola, il tempo era poco, ma ciò sicuramente non giustificava il fatto che Giulia fosse così distratta e sfuggente; rimasi male perchè in quel momento scelse evidentemente di non confidarsi con me, io l’avrei fatto, ma mandai giù il rospo e feci finta di niente. Di solito ci davamo il turno per pagare, una volta lei, una volta io, tanto non erano mai cifre impossibili, due caffè, due succhi, al massimo due paste o due gelati: quel pomeriggio però si ripetè la stessa scena per l’ennesima volta consecutiva e, se prima non ci avevo voluto far caso, ora la cosa cominciava a darmi da pensare. “…Scusa Roby, ho dimenticato il portafogli in macchina, ti dispiace offrire? Ma la prossima è mia, okay?”. Già, ma quale prossima?
Qualche tempo dopo, per il suo trentesimo compleanno le regalai un bellissimo orologio a pendolo, cosa che desiderava da tempo per una parete del suo salotto; l’avevo trovato ad un mercatino dell’antiquariato, era un modello piuttosto originale, forse unico nel suo genere, con un piccolissimo difetto da un lato ma sicuramente elegante: l’avevo pagato forse troppo, ma ero sicura ne fosse valsa la pena, visto il meraviglioso sorriso che mi aveva fatto quando gliel’avevo donato. Dopo un paio di settimane però, un giorno andai a prenderla a casa sua e non lo vidi più appeso alla parete: lei mi disse che si era fermato e che l’aveva subito portato a riparare, ma lo fece ancora una volta a testa bassa, senza guardarmi negli occhi, ed ebbi di nuovo la spiacevole sensazione che si trattasse di una bugia. Forse fu una specie di sesto senso che da allora mi fece aprire gli occhi su tutto ciò che poteva riguardarla: in poco tempo, giorno dopo giorno, vidi sparire misteriosamente dal suo salotto l’impianto stereofonico, la collezione di dischi a cui era particolarmente affezionata, un paio di quadri d’autore sostituiti con delle stampe, perfino un tappeto persiano di ottima fattura. Non curava più il suo aspetto come prima, era stato un cambiamento lento, ma a me non era certo sfuggito; prima amava vestirsi coi capi firmati, cambiava scarpe ogni giorno, andava dalla parrucchiera minimo una volta alla settimana: ora vestiva quasi sempre con i soliti jeans e lo stesso scialbo maglioncino, non sembrava più interessata allo shopping, e i capelli se li faceva da sola, quattro colpi di spazzola e via. Preoccupata non tanto da questo suo cambiamento esteriore, quanto dalla progressiva tristezza che leggevo ogni giorno un po’ più presente nel suo sguardo, avevo finalmente deciso di smettere di farmi i fatti miei e di chiederle una volta per tutte una spiegazione plausibile a tutto ciò, a costo di incrinare il nostro rapporto, quando una sera piombò inattesa a casa mia, ansimante e con gli occhi colmi di lacrime vere.
“Roby, Elio se n’è andato, mi ha lasciata e ha detto che non tornerà mai più!”. Sapevo che ultimamente fra Giulia e il marito non erano rose e fiori, ma non pensavo fossero già al limite della rottura; mi ci volle un bel po’ per calmarla, alla fine ci riuscii, ma non fui capace di scucirle niente su cosa davvero le stesse accadendo. L’indomani pensai di portarla con me ai grandi magazzini, dovevo comprarmi una tuta nuova per la palestra ed ero sicura che un po’ di shopping le avrebbe fatto bene e l’avrebbe distratta dai suoi problemi. Quando la vidi nascondere sotto la giacca un completino intimo in pizzo nero di grande valore, approfittando della momentanea distrazione di una commessa, non credetti ai miei occhi. “Giulia, sei pazza? Qui è pieno di telecamere, vuoi finire dentro? Se sei senza soldi te lo compro io, ma ti prego, rimettilo subito giù…”. Arrossì di vergogna: rimise il completino al suo posto e uscì in tutta fretta dal negozio lasciandomi lì, allibita, piena di mille “perchè” a cui davvero non riuscivo a dare risposta. Perchè “rubare” anzichè “comprare”? E poi perchè proprio un completino intimo?
Dopo un paio di giorni si rifece viva da sola, con un sorriso smagliante, senza minimamente preoccuparsi di spiegarmi cosa le era preso, come se nulla fosse; a quel punto però ero io che non potevo più far finta di niente, volevo delle spiegazioni e se non le avessi avute non l’avrei lasciata andar via. “Che ti sta succedendo Giulia? Fai scappare tuo marito, mi racconti un mucchio di balle, ti metti a rubare nei negozi, un attimo sei euforica e il momento dopo sembri la pubblicità degli antidepressivi… Vuoi dirmi cosa c’è che non va?”. Giulia, occhi bassi come sempre negli ultimi tempi, abbozzò una spiegazione che al momento mi sembrò abbastanza credibile. “Mi sono fidata di un collega d’ufficio e ho investito tutti i miei risparmi in un’operazione finanziaria che sembrava sicura al cento per cento, solo che è andato tutto a rotoli e io ho perso tutto. Questa cosa mi ha mandata in depressione, non è facile ricominciare tutto daccapo, penso che non lo sia per nessuno… Quanto ad Elio, forse non ha saputo prendere per il verso giusto i miei scatti di rabbia o i miei pianti improvvisi, e comunque sono quasi certa che vedesse già un’altra donna…”. Ascoltai le sue parole e decisi di accettare la sua spiegazione, anche se non mi convinceva del tutto e, comunque, non avrei potuto verifiicarla; non le offrii un prestito nè lei me lo chiese: non nuotavo certo nell’oro col mio stipendio d’insegnante part-time, e comunque sapevo con sicurezza che il suo mensile d’impiegata nello studio di due professionisti superava di gran lunga il mio. Con un po’ di pazienza e senza tanti sprechi presto si sarebbe risollevata, in tutti i sensi.
Una mattina andammo insieme al mercato; la giornata era bella e calda, ci divertivamo a camminare fra le bancarelle, a chiedere i prezzi e a provare le cose, più che a comprare: quando però trovai un golfino di mio gradimento e feci per prendere dalla borsetta i soldi per pagare, mi accorsi che il portafogli non c’era più: “Maledizione, me l’hanno fregato!”, sbottai nel rendermi conto che la lampo della borsa ora era aperta. “Sei sicura che non l’hai lasciato a casa o in auto?”, chiese premurosa Giulia: “Ma no, non ti ricordi? Prima sono anche passata al Bancomat per un prelievo…Accidenti, avevo tutti i documenti dentro!”. Passai in questura a sporgere denuncia: sapevo che di borseggiamenti al mercato se n’erano già verificati parecchi, sapevo anche che i soldi non li avrei più rivisti, speravo solo che il ladro avesse il buonsenso di restituirmi i documenti. E così fortunatamente fu: mi arrivarono tutti qualche giorno dopo per posta.
L’umore alterno di Giulia, sempre sospeso a metà fra un’inspiegabile momentanea euforia e una visibile tristezza di fondo, non sembrava migliorare; era spesso nervosa, chiaramente stanca, si dimenticava nomi e appuntamenti, e negli ultimi tempi faceva pure uso di farmaci: scoprii ficcanasando qua e là che si trattava di calmanti, ma non ero affatto sicura che le facessero bene. Un pomeriggio, rincasando dal lavoro a piedi, vidi in lontananza Elio e lo rincorsi: erano passati ormai mesi dalla loro separazione, avevo sentito in proposito sempre e solo la campana di Giulia, così pensai che finalmente avrei avuto modo di sentire anche la sua versione e di metterle a confronto. Avrebbe potuto liquidarmi in fretta, dicendomi che non erano affari miei, e invece Elio fu molto gentile con me, e davanti ad una tazza di caffè si liberò in uno sfogo chiarificatore.
“…Quella donna in pochi mesi ha rovinato da sola le nostre vite: eppure ti giuro che io l’amavo e avrei fatto qualsiasi cosa per aiutarla, se solo me l’avesse permesso. Non ti sei accorta che in poco tempo da casa nostra è sparito tutto, dallo stereo ai quadri che i miei ci avevano regalato per le nozze, dal tuo orologio a pendolo alla sua fede nuziale? Mi aveva detto che l’aveva portata ad allargare perchè le stringeva il dito, e invece se l’era venduta per pochi euro, come tutto il resto…”. Vidi gli occhi lucidi di Elio e quasi mi mancò il coraggio per andare fino in fondo; ormai però eravamo così vicini alla verità che volli farmi spiegare tutto, fino all’ultima bugia. “Perchè Giulia ha tutto questo bisogno di soldi? Forse beve, o magari si droga? E sì che non mi sono accorta di niente!”. “Peggio Roby, molto peggio, in quel caso te ne saresti accorta, e anch’io me ne sarei accorto in tempo per salvare lei e il nostro rapporto… Giulia gioca d’azzardo, gioca ai videopoker e non riesce più a fermarsi. Ha cominciato per scherzo in un bar, con il resto del caffè, e in poco tempo è arrivata a fare puntate tali da perdere anche migliaia di euro in un solo giorno. E’ arrivata a rubarmi i soldi dalle tasche, a prosciugarmi il conto in banca, a rubarmi il portafogli, a vendersi scarpe e vestiti: ormai le resta da vendere solo se stessa, e non sono affatto sicuro che non lo stia già facendo…”.
Un brivido raggelante mi percorse la schiena: dunque era stata lei a rubarmi il portafogli al mercato! Non potevo crederci: la mania del videopoker aveva trasformato la mia migliore amica, che credevo di conoscere più di me stessa, in un ladro, in una fonte inesauribile di bugie e falsità. All’improvviso mi tornò in mente l’episodio del tentato furto al grande magazzino, e fui assalita da un dubbio spaventoso: ecco a cosa serviva il completino di pizzo che aveva cercato di rubare quel giorno! Speravo proprio di sbagliarmi, lo speravo con tutto il cuore.
Quella sera mi feci coraggio e, dopo una certa ora, andai a fare un giro in macchina ai giardini della stazione, dove lucciole e viados da anni ormai mercanteggiano il proprio corpo; quando la vidi là, in mezzo a loro, con minigonna mozzafiato in pelle, calze rosse a rete e un body trasparente che certo non lasciava molto spazio all’immaginazione, mi sentii male, il respiro mi mancò all’improvviso e per un attimo vidi tutto nero: poi, ripresami dallo choc, mi avvicinai a lei lentamente con l’auto, come un cliente che vuole rimorchiare. “Quanto vuoi per venire con me?”, le chiesi a mezza voce, con un incredibile nodo in gola. Quando lei si affacciò al finestrino e si rese conto che ero io, divenne bianca in volto, cominciò a scuotere la testa e ad indietreggiare. “Oh mio Dio, mio Dio…”, continuavano a pronunciare le sue rosse labbra rese carnose dal trucco, mentre il rimmel cominciava a sciogliersi alle prime inarrestabili lacrime. “Fermati Giulia, è finito il tempo delle bugie, io e te dobbiamo parlare…”, le gridai mentre lei scappava lontano da me, correndo verso il ponte sul fiume. Non potevo lasciarla andare, non potevo abbandonarla anch’io a se stessa e allo sciocco destino che si era scelta: parcheggiai l’auto in gran fretta e le corsi dietro, d’impulso, senza pensarci. Quando la raggiunsi, era seduta a cavallo del parapetto in pietra del ponte, con le calze rotte, il volto pieno di lacrime e lo sguardo rivolto alle acque buie e vorticose che scorrevano sotto di noi. In quel preciso istante capii che quel dannato volo lei, nella sua mente, l’aveva già fatto almeno un milione di volte.
“Perchè Giulia, dimmi almeno … perchè?”. “Perchè ho cominciato a giocare? Era divertente, era “figo”, era fare qualcosa di trasgressivo e proibito, era sfidare la macchina…Sapessi cosa si prova a stare lì, in attesa della tua combinazione! Non importa se vinci o perdi, è la sfida che è eccitante, è il rumore del gettone che viene inghiottito dalla feritoia, è il suono che ti preannuncia che stanno per uscire i numeri che forse potrebbero cambiare il tuo destino… Non riesco a fermarmi, ci ho provato sai, è più forte di me… Ormai non ho più niente da vendermi, neanche un briciolo di dignità, niente…Ho giocato la mia vita ed ho perso: lasciami andare, non voglio trascinarti con me…”. “Giulia, sei libera di fare ciò che vuoi, non ho alcun diritto di fermarti, ma prima ascoltami perfavore, almeno questo me lo devi. Se io sono qui, vuol dire che hai ancora un gettone da giocarti, l’ultimo: devi solo decidere di puntarlo su di me, sulla nostra amicizia, su ciò che c’è stato e che ancora ci può essere se tu lo vuoi. Ci sono cliniche nate appositamente per risolvere questo genere di problemi, sei malata e hai bisogno di aiuto, qui ci vuole un medico, non un ponte da cui gettarsi…So che sarà dura, dovrai metterci tutta la tua buona volontà e forse qualche volta non ti sembrerà abbastanza, ma non sarai sola, ti starò vicino e ti assicuro che ne verrai fuori. Datti un’altra possibilità: hai trentun anni, il tuo futuro è ancora tutto da scrivere, e non certamente sullo schermo di un videopoker… C’è chi ha ancora bisogno di te, io ho bisogno di te…”. Tesi la mano verso di lei: per la prima volta dopo tanto tempo riuscì a guardarmi dritta negli occhi, e in quello stesso istante sentii, nonostante qualche secondo di titubanza da parte sua, che presto avrebbe afferrato la mia mano, per non lasciarla più.
Sono passati diciotto mesi da quell’indimenticabile sera. Oggi vado a prendere Giulia alla clinica, e non sarò sola; Elio ha deciso di venire con me, e insieme la riporteremo finalmente a casa: per lei sarà l’inizio di una ritrovata importantiissima sfida, quella del “gioco della vita”.
ciao roberta, ti mando il mio modestissimo parere sul tuo racconto che mi aveva incuriosita dal titolo.L’argomento è interesante e pesante da affrontare,tu lo fai bene dal punto di vista della sensibilità,tipicamente femminile,e i tempi della storia sono buoni,si legge in maniera scorrevole,però secondo me soprattutto nella parte iniziale sei portata a spiegare troppo e si intuisce già quello che dirai dopo.Lo so che non è un giallo che richieda suspence ma secondo me il lettore deve andare avanti nella lettura più incuriosito, con qualcosa che lo leghi allo svolgimento nella storia,perciò è come se leggendoti mi mancasse il mordente!Mi piace il messaggio sottinteso che l’amica possa far leva sul sentimento dell’amicizia per aiutarla ad uscire da questa brutta situazione di vizio, ma mi chiedo perchè lei sì e quel povero marito fallisce?che cavolo di rapporto era fra moglie e marito?mi sembra poco credibile che lui parli di una possibile prostituzione di lei senza battere ciglio!!magari dandoci più elementi sulla coppia ci faresti accettare di più la soluzione finale.Inoltre rivedrei l’editing,allegerendo qualche frase e piccoli errori di battitura( martedì maiuscolo,e qualche frase un pò ripetitiva).ti faccio il mio in bocca al lupo per la tua attività di scrittrice e per il concorso, se ti và leggimi e commentami.
francesca giulia marone
La ludopatia, la nuova malattia del nuovo millennio. Non credo abbia molta importanza stabilire se ci sono state delle inesattezze nell’esposizione o come poteva articolarsi in modo differente il racconto. Qua, a mio vedere, il fulcro di tutto e’ far riflettere su un problema che sta diventando sempre piu’ serio. In bocca al lupo!