Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2009 “Il palazzo del diavolo” di Raffaele Giannetti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009

Stavo esponendo al caro Timothy i risultati delle mie ricerche intorno all’apparizione del diavolo, o meglio delle sue corna, nella toponomastica. Non so se voi ne sapete nulla; se, al proposito, avete letto qualcosa. Comunque sia, si tratta di questo: quando il diavolo, si fa per dire, appare a un bivio o dà il nome a un edificio, come una torre, una casa, un molino o che so io, lo fa in maniera simbolica, quasi poetica, molto molto discreta. In fondo, appare solo una forca, cioè una biforcazione. In altre parole, è la strada che si divide «in due viottole, a foggia d’un ipsilon», tanto per dirla con un anonimo famoso.

– E tutte quelle storie terribili e paurose?

Solo ingenuità, tentativi ingenui di rendere plausibile il nome del luogo. Con somma soddisfazione del diavolo!

Ma qui Timothy mi interruppe, per raccontarmi, con quella lingua troppo o troppo poco corretta di uno straniero, un’amena storiella.

– È proprio come dici! Rimembro molto bene di un avvenimento a Ponterocco, durante la festa paesana, che tutta la gente andavano dietro il parroco e il sacrestano, e cantavano tutti chirieleisonne…

 

Quanto a me, devo dire che m’immagino subito la scena: la voce rauca di un microfono che facilmente si spande nel buio costellato di lampadine, finestre e lampioni. Aria vociante di festa.

Orapronobis orapronobis!

La processione avanza lenta e sinuosa. Il microfono gracchia; a volte fischia. Ma la voce penetra bene nella sera, più fresca del giorno.

Orapronòbis bisorapronò pronobisòra!

Pronobisòrapronòbis.

Pronobishòdie pronobisòdie

Qualche sibilo incrina quella pace rumorosa. Credo, dalla descrizione che ne faceva il mio amico, che lo sbisoriante corteo assumesse, in certi luoghi del percorso, la forma del suo nemico, il diabolico serpente, come se lo evocasse, forse per vederne la fine. O forse perché non c’è vittoria senza lotta.

In fondo alla fila, la banda. Eccola che attacca: Punf punf, punf ripunf…

E così la sera si consumava fra i salmi, gli inni e i ritmi di marcia:

 

Tum bum tum bum tum bum ciaf!

Ponf riponf ponf riponf ponf riponf!

Taratà taratattattà taratà taratattattà!

Firulì firulà firulè (sic) firulà!

Perepè poppì (sic) perepeppeppeppè!

 

Orapronòbis

Oremus

Pronobisòra

L’ora della nostra

Nobisòra

 

– Ma perché mi racconti tutto questo?

– Un po’ di pazienza! Insomma, a un certo punto, dopo un orapronòbis un po’ troppo lungo, il direttore della banda, a cui il parroco aveva tagliato l’ultimo accordo del pezzo, perse la pazienza ed attaccò furiosamente: Punf ripunf… Il parroco, a sua volta, cominciò a urlare le sue litanìe dentro il microfono. E allora:

 

Ora…

perepè!

pro…

taratà!

nobis…

punf ripunf!

 

Le case del paese lungo la via – mi sembrava di esserci – rimandavano l’eco della musica, mentre la voce del parroco si replicava nella scia sonora e ronzante dei fedeli:

 

Punf ripunf! Punf ripunf!

Ora… Ora…

Perepè! Perepè!

pro… pro… pro… pro…

Taratà! Pro…Taratà!

nobis… punf… ora perepè pro…

 

Fu il caos, questa volta.

 

Arrivati al Palazzo del diavolo, dove appunto la strada si biforca «a foggia d’un ipsilon» – così mi raccontava, con più o meno particolari, Timothy –, il direttore della banda svoltò improvvisamente a sinistra, giù per la discesa, e condusse musicisti, amici e parenti davanti alla sede del Municipio e della banda, nella piazza comunale. Il parroco, per parte sua, svoltò a destra, come la serata prevedeva, e ritornò verso la chiesa, la cura.

– Impossibile a credersi: il paese si era diviso in due partiti! Non ho mai riso tanto in tutta la vita mia. Certo, prima un po’ di maraviglia, tutti un po’ stupiti…

– Ma tu, dimmi, da quale parte sei andato?

– Io ho seguito la musica. Non ho mai riso tanto in tutta la mia vita, davvero. Ah, ah, ah.

 

E qui il mio amico mi stupì davvero, come se le sue parole nascessero dalla precisione del ricordo, o chissà da dove. Va da sé che gli episodi divertenti si raccontano sempre due volte:

– Pensa alla scena: in primis lo smarrimento e poi la partecipazione, accanita, faziosa. In fondo, ognuno doveva giustificare la sua scelta di campo. Ti ripeto, non ci credevamo. Ti immagini il parroco che, primo della fila, devia il corso della processione, piegando verso la chiesa… in un trabocco di fede, in un tripudio, in un fervore di santità mai visto prima, e tutto per negare la Sacra Vicenda alla piazza del potere laico, al Municipio e, soprattutto, alla banda e a quell’empio del suo direttore?!

– Ma tu, da quale parte sei andato?

– Te l’ho già detto! Ho seguito il parroco! Che altro avrei potuto fare?

 

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