Premio Racconti nella Rete 2012 “Aurore boreali” di Eleonora Branchesi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Una straripante risata inondò la stanza. La grassa signora seduta su una provata sedia di vimini non seppe trattenere l’improvviso moto d’ilarità e la sua laringe iniziò a scuotersi ripetutamente, provocando il maremoto della sua pappagorgia.
Per il giovane prete che stava intrattenendo con lei una conversazione, fu impossibile mettersi al riparo: in un istante venne scaraventato in faccia alla folla dei presenti ed i suoi pezzi in frantumi finirono dritti nei loro sguardi interrogativi, nei quali il prete tentò di immergere il suo nell’estremo tentativo di recuperare l’integrità. Invano. L’espressione attonita che assunse guardando negli occhi gli astanti per provare la sua innocenza circa il cataclismatico evento, dovette apparire buffa e poco convincente. Di fatto non fece che amplificarne la portata, coinvolgendo anche le distinte signore che fino ad allora non si erano scomposte e diffondendo fino agli angoli più remoti della stanza il dubbio di chissà quale amenità da lui pronunciata. Allarmanti movimenti tettonici cominciarono a scuotere la pingue donna mentre l’onda della sua risata continuava a salirle dalla profondità delle viscere. La sedia, intanto, scricchiolando provava ad esprimere il livello insostenibile raggiunto dalla sua sofferenza .
Il prete, per rendere più evidente la sua estraneità ai fatti, iniziò con indifferente cautela ad allontanarsi dalla sua imbarazzante postazione, attento a non inciampare in qualche sguardo troppo insistente. Se c’era qualcosa che proprio non sopportava, Dio lo perdoni, era quella di essere giudicato ingiustamente! Era questa la ragione profonda per cui si era messo a servizio della massima autorità in fatto di giudizi, profonda al punto che non la sospettava neppure.
Si ritrovò esattamente al centro della stanza quando ormai la situazione era quasi tornata alla normalità: il chiacchiericcio delle conversazioni aveva gradualmente ripreso i consueti livelli di decibel ed era sovrastato solo a tratti da sempre più flebili sghignazzi di assestamento della signora. Ma di lì a poco, ahimè, la sedia spirò, fracassando sul pavimento insieme a lei. Immediatamente la donna fu soccorsa da coloro che le si trovavano vicino. Gli altri, come mossi da inconsce leggi di geometria psichica, con minimi spostamenti rispetto alle loro postazioni, si ritrovarono a formare cerchi perfettamente concentrici attorno al prete, fissandolo. Fu solo un istante: l’improbabile configurazione geometrica si scompose immediatamente. Nessuno ebbe neppure il tempo di farci caso. Nessuno, tranne il prete, il quale ebbe il dubbio di aver avuto un’allucinazione e che
in quell’istante infinito, in cui il tempo gli sembrò essersi fermato, scorse caleidoscopici frammenti della sua esistenza nella moltitudine di occhi che lo fissavano.
-E’ tutta colpa tua!- I compagni di classe lo avevano inseguito lungo il polveroso sentiero del ritorno verso casa. Il primo anno di scuola media era quasi terminato e dopo una piovosa primavera, l’estate alle porte infuocava l’aria e forse anche gli animi degli studenti ormai stanchi della scuola, anche se per qualcuno la stanchezza era arrivata fin dal secondo giorno… Ultimo compito in classe di epica, per alcuni: ultima possibilità di prendere almeno un sei per recuperare. Una notte passata a copiare le gesta di Achille su foglietti microscopici. Non da Mario, che aveva studiato tutto l’anno e che quella mattina, a scuola, non aveva trovato giusto che gli altri copiassero senza che il professore se ne accorgesse. Perciò aveva “fatto la spia” ed il compito era stato annullato. Per questo, dopo averlo inseguito fin quasi sotto casa, i compagni lo avevano accerchiato. Inutile ricordare come era andata a finire. E a che pro? Ci aveva messo tutti gli anni delle medie per dimenticarlo…
“Don Mario, lei che ne pensa? Don Mario… Don Mario!” Un’elegante signora in abito lungo, comprato apposta per l’occasione a cui presenziava insieme agli altri invitati, gli rivolse parola.
“Si?” rispose Don Mario.
“Lei che ne pensa? Parlavamo dell’Iliade… L’avvocato dice che Achille si è comportato da vero eroe. A me invece Achille non è simpatico, con quel suo risentimento esagerato. Che diamine! Vedere i suoi compagni decimati e non intervenire per puro orgoglio! Un po’ di solidarietà…” Già: la solidarietà. Erano tutti lì apposta: una serata di beneficenza in cui erano messi all’asta i quadri di Don Mario, che prima di diventare prete era stato un pittore. Il ricavato sarebbe andato per una missione in Africa.
“ Vogliate scusarmi…” Gli girava la testa, a Don Mario. O forse era la stanza che aveva preso a girare attorno al perno della sua esistenza ? Notò che si trovava ancora perfettamente al centro dell’’ambiente , circondato da persone che lo fissavano, in quell’istante in cui il tempo, fermandosi, sembrava aver collassato in un buco nero in cui presente e passato non si distinguevano più.
“Non si sente bene?” domandò l’avvocato Martinetti e, trattenendolo per un braccio come se dovesse sostenerlo da un eventuale svenimento, continuò : “L’increscioso incidente di prima deve averla molto turbata… La signora Matilde è sempre eccessiva, non le badi… E’ ossessionata dal suo problema di peso e questo credo le crei degli scompensi… Ma di che cosa parlavate… prima?” Prima?
-Di che cosa avete parlato ? Insomma! Me lo vuoi dire?- La presa al braccio divenne una morsa. -Se non me lo dici giuro che ti ammazzo! Che cosa le hai detto?
Suo fratello, di un anno più grande, era molto più forte di lui. E molto più bello. Era una cosa evidente a tutti, anche a sua madre, che non perdeva occasione per farglielo notare.
-Dovresti fare un po’ di ginnastica! Guarda che spalle che ha tuo fratello! – era solita dirgli.
A 19 anni Mario aveva iniziato a perdere già i primi capelli, subito dopo la morte del padre, un uomo mite e pio. – Dovresti fare qualcosa per quei capelli, guarda che bella chioma ha Sandro!
Ci era abituato, ormai. Era stato così fin da bambino. Peggio di Sandro in tutto. Ma, evidentemente, con maggiori responsabilità: se qualcosa era stato fatto male o non era stato fatto, la colpa alla fine era sempre la sua. Quando i due fratellini litigavano, sicuramente aveva iniziato lui. Sandro sapeva come guardare la mamma per convincerla che la colpa non era la sua. Lui no. Forse sarebbero stati necessari gli stessi occhi azzurri di Sandro, di un azzurro intenso come il mare, unici : nessun altro in famiglia li aveva così, neppure un lontano parente…
-Allora! Dimmi dove siete stati! Che vi siete detti?- Il mare dei suoi occhi era in tempesta. La sua ragazza era uscita con suo fratello, Mario, e pochi giorni dopo lei lo aveva lasciato. Lei… così bella! Quando rideva, poi, era bellissima. La sua risata scoppiettante era una miccia che arrivava diretta al cuore e cominciava a farlo ardere. Involontariamente, senza intenzione.
-Hai fatto un casino! E’ tutta colpa tua!-continuava a gridare Sandro, fuori di sé.
-Io non ho fatto niente!
– E allora perché cazzo mi ha lasciato?
-Che cazzo ne so, io?
Alla fine confessò: si erano incontrati per caso ma poi avevano deciso di andare in spiaggia. Non era successo niente. Avevano soltanto parlato. Delle aurore boreali. E alla fine avevano aspettato l’alba. In silenzio.
Per Sandro era l’ultimo anno di liceo. Dopo l’estate sarebbe dovuto andare a studiare medicina, come avrebbe voluto suo padre, anche se in realtà non sopportava la vista del sangue. Fu un’estate triste. La madre, dopo la morte del marito, era caduta in una grave depressione, forse anche perché vedeva che i suoi figli non si parlavano più… Nessuno dei due rivide più la ragazza.
L’autunno iniziò tragicamente. All’università Sandro non ci andò mai. A settembre si suicidò.
“Don Mario?… Ho capito: preferisce non parlarne… In ogni caso le ripeto: non faccia caso alle strane reazioni della signora Matilde. Lo sa? Pare che un tempo fosse davvero una bella donna… Poi, da quando il marito l’ha lasciata, ha iniziato ad ingrassare a dismisura! Dicono che l’abbia lasciata per una storia di gelosia… una lettera anonima… ma lei giura che erano tutte bugie. Il marito però non le ha creduto. Secondo me perché non l’amava… L’avrebbe lasciata comunque, per un motivo o per l’altro! Dico bene, cara Anna?”
“Sarà pure come dici tu, ma quello che io proprio non capisco è perché certa gente non si fa gli affari suoi… Come è possibile mandare lettere anonime? Si abbia il coraggio di metterci almeno la faccia! Si dichiari apertamente la verità, se davvero è tale! Altrimenti è molto meglio mettersi da parte! Per come la vedo io, mai mettersi in mezzo ad una coppia! A meno che non si abbiano davvero delle ragioni importanti, ma in quel caso, non ci si può nascondere… Lei, Don Mario… ma dove è andato?”
In nessun posto. Al centro della stanza. Ovunque.
-E dove sta adesso?- All’uscita della messa, il signor Stefano, uomo sulla sessantina, si ferma a parlare con una sua vecchia conoscenza del quartiere. Don Mario, dalla sua postazione metafisica, li sente parlare. Forse li immagina.
-Mah! Potrebbero averlo mandato ovunque… Si ricorda la serata di beneficenza? La sera in cui quella signora è caduta dalla sedia? Credo che già allora Don Mario sapesse che lo avrebbero trasferito…”
-Per questo era così strano quella sera…
-L’ha notato anche lei, allora! Comunque credo che ora si trovi in qualche sperduta parrocchia di periferia.
-Ma per quale motivo?
-Come? Non l’ha saputo? Al campo estivo, l’anno scorso… Qualche ragazzo è stato beccato mentre si fumava uno di quei cosi…gli spinelli… All’inizio la cosa è stata tenuta in sordina, ma poi le mamme sono andate a lamentarsi ed è scoppiato un putiferio. Nessuna mandava più i figli al catechismo, neppure a messa! Si ricorda quelle domeniche in cui la chiesa era vuota? Io non sospettavo neppure lontanamente una cosa del genere, i miei figli ormai sono grandi… Non volevo crederci, ma… ha visto? Ora che Don Mario è andato via, la chiesa ha ripreso a riempirsi… Ho sentito delle voci dire addirittura che potrebbe aver lasciato il sacerdozio!
-Possibile? Ma cosa c’entrava Don Mario? Una così brava persona…”
-Già!
Lui non c’entrava assolutamente niente con tutta quella storia. Lo aveva detto anche al vescovo. Il vescovo si era mostrato molto comprensivo, durante il lungo colloquio. Don Mario fu sincero con lui: gli parlò dei suoi turbolenti trascorsi e spiegò bene come ne fosse uscito fuori già parecchi anni prima di diventare prete e che, anzi, con la sua esperienza, avrebbe potuto aiutare quei ragazzi. Ma alla fine il vescovo decise: anche se non era colpa sua , doveva andarsene. E poi Dio vede e provvede. Le mamme avevano giurato che avrebbero diffuso la notizia nelle scuole e che non si sarebbero fermate se non fossero stati presi dei provvedimenti : cosa altro poteva fare? Non poteva certo mandar via il vecchio parroco!
La sua brutta esperienza… Era l’ultimo anno di liceo artistico. Fino a quell’anno si era tenuto alla larga dai bagni del terzo piano, che all’ora di ricreazione si trasformavano in vere fumerie d’hashish. Le classi quinte ogni anno venivano trasferite al terzo piano. Mario era a pezzi all’inizio della scuola. Non gli parve vero, quando provò la prima volta, di riuscire a ridere e scherzare come se nulla fosse. Ci si mise d’impegno. In meno di un mese sapeva dove comprare il fumo, come rollare perfettamente una canna e soprattutto che se non voleva che lo assalissero i pensieri, non doveva mai essere del tutto lucido. Al terzo mese sapeva anche come venderlo e che quello era il sistema migliore per non rimanerne mai senza. Tutto sommato era facile e le cose sembravano prendere il verso giusto. Nuovi amici e un sacco di gente che conosceva a malapena che veniva a trovarlo a casa, gente simpatica, amici di amici, con cui fumare insieme senza pensare, fino a tarda sera. La madre non si accorgeva di niente: dopo la morte di Sandro sembrava non essersi accorta neppure del fatto che il mondo avesse continuato ad esistere.
Nessuna sufficienza al primo quadrimestre, tranne in materie pittoriche. Ma questo non gli importava.
Il problema era la notte. Si addormentava sereno, poco dopo l’ultimo tiro, ma poi annegava negli occhi del fratello. Si svegliava sudato, con la tachicardia, mille paranoie. Solo. Senza poter più riuscire a riaddormentarsi. Con il pensiero di lei. Allora iniziava a dipingere. Aveva provato a fumare anche di notte, ma l’effetto era stato disastroso. I suoi pensieri, già neri, con la stanchezza ,il fumo, la solitudine, diventavano dei mostri che non era in grado di controllare, creature deformi che lo schiacciavano sul letto. Soltanto i colori riuscivano a calmarlo. Si metteva alla ricerca dell’equilibrio del rosso e del blu e, se gli riusciva di trovarlo, il suo ritmo cardiaco tornava normale. Ma era pur sempre un equilibrio precario. Bastavano una piccola sfumatura dominante o una macchia insignificante, a farlo ripiombare in uno stato di cupa agitazione. Spesso mescolava il blu con il giallo per ottenere delicate gradazioni di verde, perché gli sembrava che questo colore avesse il potere di rigenerarlo ma se il verde tendeva troppo verso il giallo si spaventava come un bambino, senza sapere il perché. Le pennellate inseguivano i suoi stati d’animo sopra le tele, tentando di cancellare ogni moto dell’animo che lo riportasse a lei. Dipingere divenne un sostituto notturno dell’hashish, un modo per non affrontare direttamente il suo senso di colpa, ma almeno così alleviava il dolore e alla fine riusciva a riaddormentarsi. Con il tempo però le sue crisi d’ansia presero ad assalirlo anche durante il giorno. Provò a chiedere aiuto ai suoi amici, ma non ne trovò uno in grado di farlo, o forse, più semplicemente non ne trovò uno e basta. Un giorno, che era venuto un tizio insieme ad altra gente, che gli aveva fatto provare “roba forte”, all’improvviso “sbroccò” e cacciò via tutti perché doveva assolutamente mettersi a fare un quadro. E’ vero: anche dipingere era una scappatoia, ma, grazie a Dio, c’era almeno una scappatoia! All’epoca non poteva immaginare che quella via di fuga l’avrebbe portato al centro di una stanza.
“Eccola! Finalmente l’ho trovata! La stiamo cercando tutti, sa? Dove si era cacciato?”
“Veramente non mi sono mosso da qui…” Non conosceva la donna che gli stava parlando.
“Non importa… C’è così tanta gente … un’iniziativa davvero riuscita! Tra poco inizieremo. Sarebbe bello se lei prima dell’asta volesse esporci il significato dei suoi quadri… Piuttosto, ma dove li teneva? Nessuno era al corrente del suo talento…”
“Erano rimasti in casa di mia madre. Ora che è venuta a mancare…”
“Già! Ho saputo. Sono davvero addolorata per la sua perdita… mi scusi se sono stato indiscreta. Sono davvero molto belli, sa? Un’esplosione di colori! Sembrano… delle aurore boreali! Ma sì, certo! Sono delle aurore boreali! Non è così? “
Don Mario trasalì. “No!” rispose con un fremito. No! Non aveva mai pensato di aver dipinto aurore boreali. Le aurore boreali non esistevano nella sua vita, così come non esisteva più quella ragazza della quale aveva persino dimenticato il nome.
“Davvero? Ero pronta a giurare il contrario… Comunque, mi scusi se non mi sono presentata. Ho tanto sentito parlare di lei… ma in realtà non ci conosciamo. Piacere- disse porgendo la mano- io sono Gloria.”
“Non è possibile!!” Si lasciò sfuggire Don Mario.
“Prego? Cosa non è possibile?“
-Non è possibile che non avete fatto niente tutta la notte!
-Ti giuro che abbiamo soltanto parlato!
-Non ci credo! Cosa c’è da dire per tutta una notte delle aurore boreali? Tu neanche ne hai mai vista una!
Gloria invece l’aveva vista. In vacanza, con i suoi genitori. Diceva che secondo lei non c’era niente di più bello al mondo. Era uno spettacolo eccitante, magico. Vedere l’energia scatenarsi in quel modo, con tutti quei colori!
-Sai come succede?- gli aveva chiesto Gloria.
-No.
-Allora te lo spiego: il vento solare, cioè l’energia del sole, si mette a fare un viaggio interplanetario per raggiungere la terra, come se dovesse raggiungere la sua amata! Non si ferma davanti a niente: neppure davanti alla magnetosfera, che è una specie di scudo che protegge la terra. A quel punto scivola addosso a quello scudo fino ai poli, per un effetto magnetico…
-Insomma- disse lui- è come se il sole incominciasse ad accarezzare la terra…- iniziava a sentire lo stesso effetto magnetico: moriva dalla voglia di accarezzare il suo viso, le sue braccia candide -E cosa succede dopo?
Succedeva che il plasma del vento solare, dai poli, penetrava fino alla ionosfera e alla fine di tutto, dopo eccitamenti di atomi dell’atmosfera e deposito di infinità di protoni ed elettroni del plasma solare sulla ionosfera, si manifestava l’aurora boreale.
Per Mario, sebbene seguisse con molta attenzione, fu difficile concentrarsi senza pensare ad altro.
-Vedessi! All’inizio era tutto calmo, poi i colori hanno cominciato a muoversi, a torcersi…
Ad un certo punto lei aveva detto: -Lo sai che anche noi possediamo un’energia? Però non si vede…
Lui invece la vedeva. Forse era un effetto del riflesso dello luna, ma lei gli appariva risplendente di luce. Le parole che le disse guardandola in quell’istante gli uscirono da sole.
-Se io fossi il sole e tu la terra, anch’io verrei a cercarti.
–Sono già qui! Non c’è bisogno che tu mi venga a cercare…
-E’ vero, Gloria. Sei qui.
Il grande momento era arrivato. L’asta stava per incominciare. La signora Gloria, che imputò l’improvvisa esclamazione di Don Mario alla sua recente perdita (“Non si preoccupi- aveva detto- anch’io quando ho perso mia madre iniziavo a piangere senza accorgermene”), insistette ancora affinché egli facesse una breve esposizione delle sue opere. Approfittando dell’incapacità del prete di opporre un pronto e netto rifiuto, immediatamente richiamò l’attenzione dei presenti, e per essere certa che tutti potessero ascoltare il discorso, pregò coloro che si trovavano nelle sue immediate vicinanze di diffondere anche tra gli altri l’invito a fare un momento di silenzio. Ciò facendo, compì un giro completo attorno a Don Mario, rimasto immobile, il quale ebbe la chiara percezione di essere stato incardinato, suo malgrado, al centro del surreale universo copernicano di quella stanza.
Le persone, abbandonando conversazioni e bicchieri, cominciarono ad avvicinarsi a Don Mario come un cosmo in movimento che, da un lato, riproduceva quello che stava avvenendo dentro di lui, nella stanza di un io dimenticato, in cui ricordi, emozioni , desideri , speranze, illusioni e disillusioni passate, si affacciavano al suo io presente, chiamandolo in causa e aspettando da questi una parola che giustificasse la loro convocazione; dall’altro alludeva ad un ordine cosmico superiore di cui tutti erano pedine inconsapevoli, compreso Don Mario, il quale, sul senso del suo farne parte, al pari degli altri, attendeva delucidazioni da che aveva avuto il lume della ragione. O forse, ciò che sarebbe stato più logico, non c’era nessuna relazione tra i moti celesti e quelli del suo spirito né tanto meno tra questi e i movimenti delle persone presenti nella stanza ed era un errore supporre di ravvisare un senso a ciò che avviene e nulla più. Del resto, che senso avevano le sue opere? Quale spiegazione avrebbe potuto darne a quanti stavano attendendo che cominciasse a parlare? Quei colori erano scivolati sulle tele seguendo le sue emozioni . E poi era accaduto che apparissero come delle composizioni. Nulla più.
Intanto era sceso il silenzio e Don Mario non accennava a proferire parola. La signora Gloria, sentendosi responsabile per l’imbarazzante situazione, decise di intervenire ed iniziò a descrivere i quadri. Parlò delle tenui sfumature del giallo che mai si condensava in toni carichi e accesi come ad evitare la piena consapevolezza ed espressione di sé e che era commovente per la sua delicatezza, sconfinante quasi nella fragilità; del rosso che, ove appariva intenso e vibrante, indice di una equivalente passione, trovava poi la necessità di essere controbilanciato dal blu affinché quest’ultimo, con la sua calma meditativa, potesse contenerne l’azione a volte pericolosamente dirompente, e di come questi due colori in alcuni punti si mescolassero fino a sublimarsi in ascetici toni porpora e viola, i quali, se da un’osservazione superficiale sarebbero potuti apparire di ambigua indeterminatezza, ad una lettura attenta sarebbero risaltati come espressione sofferta di sintesi e rinascita; parlò di quel verde mai troppo stabile, come se mai riuscisse ad appropriarsi totalmente di un’identità sempre in fieri, teso fra un desiderio inesprimibile di giallo e la ricerca della rassicurazione dell’azzurro ed infine parlò della sensibilità con cui i diversi colori, pur nella complessità di contrasti e assonanze, erano stati composti su ogni tela in un insieme armonico, risultato, sicuramente, di una ricerca profonda. Don Mario, che aveva sempre temuto che i suoi quadri sembrassero soltanto una congerie di colori, stette ad ascoltare in silenzio. Quando la signora Gloria ad un certo punto gli domandò se le sue opere rappresentassero qualcosa in particolare egli, preoccupandosi di non rinnovare il dispiacere che sembrava averle procurato quando aveva negato quella che a lei era dovuta apparire come un’evidenza, pensò che acconsentire alla sua interpretazione potesse essere la giusta forma di ringraziamento per aver deciso di toglierlo d’impaccio e per aver trasformato con le sue parole i temuti sguardi inquisitori della folla in sguardi di apprezzamento. Positivo o negativo non aveva importanza: sottigliezze, al centro di una stanza dove non solo lo spazio e il tempo, ma ogni categoria sembrava essere stata sconvolta. Lì, ciò che altrove sarebbe stato sicuramente antitetico, poteva anche non esserlo. Lì, sentire di essere gli altri era normale, lì era possibile essere il sole senza averne colpa né merito. Perciò, quando finalmente parlò e disse che le sue opere rappresentavano delle aurore boreali, non sapeva se stesse mentendo o meno, o se ciò significasse ammettere a sé stesso di aver perpetrato, fuggendone il ricordo, la sua notte d’amore passata in riva al mare. Il fatto è che nel momento in cui lo disse, provò una sensazione di inspiegabile, quanto impercettibile eppure assoluta felicità. Un lungo applauso, partito dalla signora Gloria e subito condiviso da tutti , sancì definitivamente la verità della sua affermazione. L’incantesimo fu spezzato. L’istante infinito al centro della stanza terminò. La folla si sparpagliò e Don Mario fu libero di muoversi dovunque volesse.
Bella e commovente la storia di questo Don Mario che dopo tanti anni deve ancora fare i conti con i suoi sensi di colpa e i fantasmi del suo passato. Racconto ben scritto in uno stile scorrevole e piacevole. Brava Eleonora!
Grazie Franca! In realtà non ero molto convinta della conclusione della storia e così ho liberato Don Mario da quella specie di incantesimo che lo costringeva a rimanere al centro di una stanza. Se avrai occasione di leggere di nuovo il racconto con le modifiche che ho fatto e ti andasse di farmi sapere se ti piace ancora ne sarei contenta.
p. s. Se non dovesse piacerti sarei un po’ meno contenta, ma fammi sapere lo stesso… Grazie ancora!
Una bella storia che meriterebbe sicuramente lo spazio di un romanzo. Un’infanzia e ancor più un’adolescenza difficile, triste, con un peso terribile, in un ambiente di assoluta incomprensione e incomunicabilità. Poi il rifugio dal mondo attraverso il sacerdozio. Ma il passato ritorna e il protagonista sente il bisogno di liberarsii dai fantasmi che lo hanno popolato. La fine sembra promettere proprio questa via di uscita. E’ scritto molto bene, Brava Eleonora.
un racconto a doppio binario che convince. il personaggio di don mario, una vera concentrazione di sfighe ambulante, alla fine riesce a liberarsi, la sensazione però è che anche questa volta lui non sia del tutto “responsabile” della cosa, un po’ come il don più famoso, quello che era come un vaso di terracotta tra altri ben più solidi, e sbatacchiato pericolosamente qua e la, aggiungerei