Premio Racconti nella Rete 2012 “L’Orologio Verde” di Luciana Longobardi (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Era davvero un bell’orologio. Sul quadrante nero, lucido spiccavano le lancette verdi e il contorno, verde anch’esso, circondava come un sicuro fortino la minuta, misteriosa plancia di comando. Nello scrigno segreto della cassa ingranaggi perfetti e instancabili lavoravano giorno e notte, inseguendo le ore, i minuti e i secondi. Ma la cosa più sorprendente era il cronometro che faceva di quell’orologio una vera rarità. A una leggera pressione della rotellina a destra della cassa, con un lieve scatto le due lancette laterali roteavano simultanee in direzione opposta fra loro e sullo schermo nero compariva un disegno animato, tracciando verdi traiettorie concentriche. La perfezione geometrica del movimento stupiva i ragazzini del quartiere, che avevano anch’essi i loro swatch, ma non uno così bello. L’Orologio Verde era un piccolo tesoro e Giulio, da quando lo aveva al polso col cinturino zigrinato di un verde brillante, fosforescente e visibile anche al buio, era molto fiero di possederlo.
Un giorno fatale
Era un giovedì pomeriggio, quando all’improvviso Giulio si accorse di non avere più con sé il suo prezioso amuleto. Di sicuro doveva trovarsi in qualche angolo di casa, ma nella sua stanza, dove era solito lasciarlo, non c’era. Che strano! Si ricordò di averlo visto per l’ultima volta in palestra, prima dell’allenamento. Lo aveva sfilato dal polso e lo aveva messo nello zainetto. Non era possibile rassegnarsi all’idea di averlo perduto, non era solo il suo orologio, era anche il suo talismano! Ne parlò in famiglia e, come prevedibile, si iniziarono subito le ricerche, ma senza grandi risultati per la verità. Insieme, Giulio e i suoi genitori condussero indagini in lungo e in largo. Purtroppo dell’Orologio Verde si era persa ogni traccia e così, dopo una settimana di intense investigazioni, smisero di lottare.
Un incontro molto, molto casuale
Un mese dopo il brusco distacco l’Orologio Verde, il cui cuore non aveva mai smesso di battere, era ancora lì, tra le spighe di grano, nel campo vicino alla palestra, dove il caso gli avrebbe fatto incontrare Elettra. La bambina veniva da un altro quartiere, ed era capitata da quelle parti in bici con le amiche. Il campo era così invitante, che le piccole cicliste avevano deciso di fermarsi a riposare un po’ in mezzo alle belle spighe verdi, a un passo dall’Orologio che invano Giulio aveva cercato proprio in quel punto, confuso com’era lo Swatch tra l’erba del suo stesso colore. Elettra, invece, fu più fortunata. Mentre, infatti, si abbandonava alle più pazze capriole e acrobazie, ci finì sopra col naso e se lo vide a tre centimetri dagli occhi. Fu un vero colpo di fulmine e da quel momento lei non lo se lo tolse più dal polso. Anche l’Orologio Verde fu preso da un’insolita euforia, elettrizzato quasi dalle grandi novità che visse finché restò al polso della nuova compagna.
La bambina frequentava la scuola di danza e ogni volta che ballava sembrava una trottolina vorticosa con le braccia sollevate come a toccare il cielo. Allora il mondo con tutti i suoi colori girava così rapido attorno a lui, da sembrare una giostra impazzita. E quando lei, accoccolata, si alzava all’improvviso sollevando le braccia leggere, gli pareva di spiccare un volo, posato sulle ali di un uccellino. E così l’eccitazione della ballerina era anche la sua. Di notte, però, quando quel turbine di vitalità si fermava, anche il suo respiro elettronico ritornava al ritmo regolare. Allora si abbandonava ai ricordi, il pensiero correva a Giulio e l’Orologio Verde si chiedeva se il suo primo, migliore amico si fosse consolato con un altro swatch. Questo è il tragico destino degli oggetti: provare l’affetto, qualche volta persino la strizza della gelosia e non poter esprimere i propri sentimenti. Eppure se i circuiti animati, nascosti agli occhi degli adulti sotto la lucente, immobile plancia trasparente avessero potuto parlare col linguaggio degli esseri umani, avrebbero saputo dire cose inaudite. Forse si sarebbero lasciati sfuggire un sospiro: come incontrarsi di nuovo? Ma inesorabilmente la strada di Giulio e quella dell’Orologio Verde si allontanavano sempre di più. Oramai l’Orologio Verde abitava in un altro quartiere.
Avventure e disavventure, traversie e buona sorte
La scuola aveva organizzato una gita a Fantasylandia. Elettra e il suo Orologio Verde erano emozionati e non stavano più nella pelle; erano da poco arrivati alla meta e stavano viaggiando con gli altri scolari sul trenino rosso nella città dei sogni. La locomotiva, sbuffando e fischiando a pieni polmoni, attraversava i villaggi del lontano West; poi all’improvviso infilava gallerie buie che però si illuminavano, animandosi di allegri suoni; poi ancora sbucava in una giungla fitta e piena di insidie. Ma ecco che, schivato il pericolo, imboccava una verde radura oltre la quale, in un tranquillo specchio d’acqua blu, dondolava pigra la nave dei pirati con le gomene e il pennone mossi da un brezza leggera. Elettra, l’Orologio Verde e i compagni si sporgevano dai finestrini, certi di vedere comparire all’improvviso Peter Pan e Capitan Uncino. Dopo un po’ il paesaggio cambiava di nuovo.
Ora il trenino rosso correva all’indietro verso un tempo lontanissimo. A un tratto la porta spalancata di una piramide ingoiò come un’enorme fauce la locomotiva con i piccoli viaggiatori. Il primo a rendersi conto che stavano viaggiando a ritroso nel tempo fu l’Orologio Verde, perché in pochi istanti le lancette fecero milioni di giri all’indietro. Ne fu talmente stordito, da non sapere se fosse diventato più giovane o più vecchio di cinquemila anni. Elettra si faceva piccina piccina, mentre ai suoi occhi si rivelavano in rapida successione inquietanti misteri sepolti dalla notte dei secoli. Preziosi sarcofaghi rivestiti d’oro si aprivano, lasciando apparire bianche mummie strette in fasce di lino; immagini superbe di re e di regine stavano immobili sui troni e alle loro spalle, sulle pareti del tempio, giganteschi geroglifici raccontavano, in una scrittura sconosciuta agli attoniti bambini, antiche storie. Qui, nell’immensità della valle dei faraoni egizi, il tempo si era fermato per sempre, ma il trenino rosso non poteva arrestare la sua corsa.
Elettra e il suo Orologio Verde, tremante e sempre più stretto al polso, trattennero il fiato, mentre la locomotiva sbuffando risaliva lungo il pendio della collina del castello stregato. Le finestre serrate non lasciavano penetrare il sole. L’aspetto lugubre e tetro della facciata non faceva presagire nulla di buono e la sola idea, che il trenino, rallentando la corsa, si fermasse proprio davanti al cupo portone d’entrata, metteva i brividi. Elettra e i suoi compagni non avevano alcuna voglia di conoscerne il proprietario, fantasma o uomo che fosse. E meno che meno l’Orologio Verde che stava per svenire dalla paura, ma il trenino, giunto davanti all’ingresso del castello, accelerò improvvisamente, emettendo un acutissimo fischio quasi a liberarsi del terrore e lasciarsi alle spalle la sinistra apparizione. Poi, ritrovata l’allegria, si tuffò, col carico dei piccoli passeggeri ancora sbalorditi, nella verde valle sottostante. Qui il trenino si fermò, e i gitanti, che alla vista dell’arioso paesaggio avevano ritrovato sorriso e buonumore, ebbero il permesso di scendere. La valle incantata era fin dai tempi remoti la dimora delle fate, dei folletti e di quelle strane creature chiamate gnomi, ma forse anche nascondiglio di streghe.
Elettra rabbrividì, tuttavia era troppo curiosa per restare sul trenino. La vista del bel luogo, l’aria tiepida del mattino, il profumo della valle fiorita, la speranza di conoscere da vicino una vera fata, invogliavano a immergersi nel meraviglioso regno delle fate, lasciandosi accarezzare dal sole di primavera. In quell’istante, però, non si accorse che l’Orologio Verde, col quale aveva vissuto fino a quel momento tutte le emozioni e le avventure della gita, le era scivolato via dal polso finendo sul sedile.
Per lunghi, interminabili minuti l’Orologio Verde rimase solo, abbandonato, in preda al terrore. Poi finalmente il compartimento si riempì di un’allegra famigliola con due bambini, di ritorno dall’escursione nella Valle. Marco, il più grandicello, lo notò quasi subito, lo raccolse e, come prevedibile, ne restò incantato. Peccato, però, che fosse rotto, fermo sempre alla stessa ora! In effetti l’Orologio Verde aveva subito un forte trauma a causa dell’abbandono, ma il danno che ne era seguito consisteva semplicemente nel fatto che il poveretto era caduto in un lunghissimo sonno. Il malcapitato, sensibile orologio aveva perduto conoscenza, ma forse i suoi circuiti non erano del tutto compromessi. Fu così che al ritorno dalla gita fu portato a riparare dall’orologiaio più bravo della città.
Anche gli orologi hanno un’anima
Quando riprese i sensi, si guardò intorno rintronato; vedeva come nei fumetti le stelline roteargli sulla testa. Poi un po’ alla volta le stelline si dileguarono e, con immenso stupore, si accorse di essere in compagnia di tanti esseri simili a lui, tutti afflitti da qualche problema. Certo non era davvero una bella scena quella che gli si presentò! Decine e decine di orologi di tutti i tipi giacevano in ampie vetrine e su spaziosi scaffali di legno, alcuni fermi alle ore più strane, alcuni funzionanti a intermittenza, altri completamente sfasati. C’era una francesina molto elegante, ma con la campana di cristallo crepata. C’era un antico orologio a pendolo tutto serio, affetto, poverino, da aritmia e perciò penosamente a disagio. C’era una curiosa sveglia rossa che dava fastidio ai presenti suonando a tutte l’ore. Ovunque orologi e lancette scandivano ore, minuti e secondi, ognuno a modo suo. I ticchettii marciavano ciascuno per proprio conto, disordinatamente in un’incessante sequenza irregolare e stonata. Accidenti, in che posto era capitato! e chissà per quanto tempo sarebbe rimasto lì dentro, nonostante che si sentisse in piena forma e non vedesse più stelline luminose. Insomma, si era completamente ristabilito e, grazie a una pila nuova, il malore era svanito! Nei giorni seguenti sperava che qualcuno venisse a liberarlo dall’ospedale degli orologi, magari Giulio, il suo primo vero amico e compagno di giochi. Di Elettra non c’era da fidarsi. Aveva dimostrato così poca cura di lui! Invece, un bel pomeriggio ecco apparire sulla soglia del negozio un ragazzino che l’Orologio Verde non aveva mai visto. Era Marco, colui che l’aveva raccolto in stato di incoscienza, portato all’orologiaio e che ora veniva a riprenderselo. Era un bambino tranquillo e l’Orologio Verde gli si affezionò, e così anche il ricordo di Giulio si addolcì e la lontananza da lui diventò una cara nostalgia.
Epilogo della storia
Da parte sua Giulio che aveva cercato a lungo il suo indimenticabile Orologio Verde ebbe in dono un altro swatch altrettanto carino e tecnologicamente perfetto. Ma se a volte, per caso, un piccolo bip gli riportava alla mente un suono familiare e inconfondibile fra tanti, allora in lui tornavano a risvegliarsi antichi ricordi; o se inaspettatamente una tenera fogliolina verde, appena nata, si sporgeva dal ramo e si affacciava timida alla finestra della stanza, allora anche lui ripensava con un pizzico di nostalgia all’Orologio Verde, all’inseparabile compagno di giochi d’infanzia, verde e vivo come le foglie nuove di primavera.
un bel racconto. davvero il tono e la fantasia sono quelli che possono accendere la testa di un bambino. hanno acceso anche la mia. mi sono divertito sul treno, ho patito insieme all’orologio verde i momenti di smarrimento e i cambiamenti. un protagonista costruito benissimo 🙂
alcuni brani, sono scritti in maniera praticamente perfetta, letterariamente parlando.
complimenti