Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti per Corti 2012 “Social netjob. Colloqui (im)probabili nell’era 2.0” di Silvia Lombardi e Lorenzo Di Giovanni

Categoria: Premio Racconti per Corti 2012

Francesco, 27 anni, è al computer nel suo piccolo salotto, in cerca di annunci di lavoro. La fidanzata, senza neppure guardarlo, cincischia al cellulare, che emette i tipici suoni da tweet. Francesco, sarcastico, le chiede con chi “cinguetti” in continuazione, ma lei ridacchia noncurante e poi risponde che se avesse Twitter lo saprebbe.

Tra i vari annunci di lavoro che scorre, ne declama uno che richiede 5 anni di esperienza senior nel campo social network. Lei fa notare che cinque anni fa lui neppure aveva il computer, altro che Facebook. Un annuncio offre prestigioso stage altamente formativo, non retribuito, e un altro cerca uno stagista con esperienza senior. Da ultimo, finalmente, L’annuncio: grande gruppo editoriale cerca giovani competenti, con almeno un anno d’esperienza come editor, laurea umanistica, esperienza in campo marketing e comunicazione. Il ragazzo invia la sua candidatura.

Chiara, 27 anni, è al telefono con un’amica: gli argomenti sul piatto sono la casa che deve lasciare perché la coinquilina è stata licenziata e la conferma per il nuovo appartamento che dipende dal colloquio che farà la prossima settimana per una posizione da digital pr. L’amica è appena uscita dall’ufficio, sono le otto di sera, e fa una battuta sulla pianta di fiori che le ha lasciato sul groppone, dopo “essersene andata”… una risatina rassegnata e le due si salutano con un in bocca al lupo.

Due giorni dopo, Francesco riceve la telefonata dell’azienda che gli comunica data e ora del colloquio; in più, gli chiedono di inviargli una e-mail con i vari contatti web. Riagganciato il telefono, perplesso per la richiesta, guarda la cronologia di Facebook ferma a due mesi prima…. Il telefono squilla, è il suo amico Carlo. “Quel posto è tuo!” L’amico è entusiasta e raccomanda di mettere tutti i contatti, anche Facebook, Linkedin, Pinterest e Twitter. E soprattutto gli ricorda di twittare di brutto! Riluttante, Francesco si piega e sullo schermo del computer vediamo la schermata di registrazione a Twitter, social network da lui odiato.

Ma dopo poche ore, Francesco è quasi abbracciato al computer: sta twittando a raffica, segue gente a caso, monitora argomenti random come #epicfail, #oddiochestress, #cool. Squilla il cellulare. È la madre. Lui risponde sgarbato: sta lavorando, è su Twitter, che nessuno lo disturbi. La madre lo informa che lo zio Pasquale, il cugino di nonno, è morto, ma a lui non frega niente. Mette giù. Tweet successivo: zio Pasquale è morto #dolore, #lutto familiare, #zio. La sera la fidanzata rientra, stanca e svogliata. Lui sta creando board su Pinterest, su più argomenti possibili: ne vediamo una di Parigi, una di cartoline d’epoca, una sui film espressionisti. “Ancora lì davanti?” chiede lei. Un vago disprezzo trapela dalla descrizione della sua terribile giornata in reparto.

La mattina del colloquio, la camera di Chiara è cosparsa di manuali di social marketing e di comunicazione; sullo schermo del computer campeggia la pagina Facebook dell’agenzia di pubbliche relazioni che l’ha contattata. È pronta con la mise per il colloquio: tailleur pantalone nero con camicia rosa vagamente trasparente, tacchi e cintura abbinati e una Kelly vintage. Guarda l’orologio: è ora di uscire. L’ufficio, più che un luogo di lavoro, sembra un asilo nido per bimbi ricchi e viziati: pareti colorate, biliardini, zone lounge con bizzarre poltroncine in cartone riciclato; punto ristoro che sembra uscito dalla pubblicità nel Nespresso, gente che sorride a ripetizione neanche avesse una paresi facciale. Un ragazzo sui ventotto la accompagna dalla direttrice delle risorse umane. Mentre percorrono il grande open space, lui saluta i colleghi, scherza, commenta la partita di calcio che due giovani in jeans e maglietta stanno disputando alla Playstation. La sala colloqui, a differenza degli uffici, sembra un bunker antiatomico, è un grande quadrato con le pareti spoglie, nessun mobile e una luce flebile che proviene da una lampadina appesa al soffitto. Al centro, una scrivania spartana sulla quale è seduta Lei, la Direttrice: sguardo glaciale, viso tirato. Chiara le si avvicina sorridente, fa per stringerle la mano e presentarsi. Ma dall’altra parte c’è il gelo. La Direttrice, tra l’incredulo e il disgustato, la squadra dalla testa alla punta dei piedi, una volta, due volte. La terza è il preludio al fatidico giudizio: “Grazie, le faremo sapere”.

Francesco ora è seduto davanti a una rampante manager. In silenzio legge il curriculum. Lui osserva le collane stipate sugli scaffali della libreria, il catalogo ben in vista sulla scrivania. La manager esordisce dicendo: “Mi dispiace per suo zio Pasquale, le mie condoglianze.” Spiazzato completamente, risponde che sì… è stato un duro colpo ma era molto anziano. La signora prosegue chiedendo perché segua la Società finanziaria palermitana e lui improvvisa. Poi lui glissa parlando della sua ultima esperienza lavorativa, del suo master, della sua laurea. La manager sembra distratta e disinteressata: ignora il curriculum del ragazzo e inizia a sfogliare dei fogli sulla scrivania, in cerca di qualcosa. “Ah, ecco… Pinterest… lei ama Parigi, gli utensili da cucina di design e vedo che è appassionato alla politica degli anni Sessanta. Abbiamo qualche difficoltà a inquadrare la sua personalità…”.

Lui la guarda incredulo, quando vede la mano allungarsi e sente un “Grazie, le faremo sapere” buttato lì.

Francesco si dirige alla fermata dell’autobus, parlando al telefono con Carlo. Non sa, la prossima volta imparerà a mentire meglio! Chiude la chiamata.

Terminato il “colloquio”, Chiara si avvia verso la fermata dell’autobus, rassegnata e disillusa. Un ragazzo è seduto sotto la pensilina, giacca, cravatta e una cartelletta sotto braccio. È Francesco. Chiara prende il cellulare dalla borsa per riaccenderlo, ma in quel momento le cade un foglio: è il curriculum. Il ragazzo lo raccoglie e gliela porge.

“Colloquio di lavoro?” le chiede.

“Già.”

“Ne ho fatto uno anche io poco fa. Il tuo come è andato?”

“Il mio… be’… che dire…” guarda sconsolata il marciapiede, in cerca delle parole adatte per descrivere quella catastrofe. Poi, un’espressione maliziosa si disegna sul suo volto; a quel punto prosegue: “Alla grande, direi! Erano entusiasti. Naturalmente finché non firmo non mi sbilancio… però diciamo che è fatta, dai! E il tuo?”

“Il mio… che dire… … direi che sembra la fotocopia del tuo! Alla grandissima! Di questi tempi, poi, occasioni del genere non capitano. Sono stato fortunato… Figo, molto figo.”

L’autobus arriva, i due salgono e continuano a parlare, mentre una balla tira l’altra, in continuazione.

 

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2 commenti »

  1. Bellissimo! Anche se purtroppo è tutto un po’ troppo vero… Bravi!!!

  2. Molto bello e di grandissima attualità. Avete trattato in modo ironico e grottesco due aspetti centrali della nostra generazione: la ricerca del lavoro e i social network. Bravi!

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