Premio Racconti nella Rete 2012 “Sabato notte al cimitero” di Luca Olivieri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Si era svegliato di soprassalto verso le cinque del pomeriggio di quel sabato; non ricordava cosa lo avesse svegliato, se un incubo, anche se non ne aveva da anni, o magari un qualche forte rumore esterno, un tuono? Guardò fuori dalla finestra ma vide che nel cielo non c’era traccia di nuvole ed il sole splendeva avviandosi verso il tramonto. Amava il tramonto, quando il cielo si colorava di splendide sfumature di rosso e arancio ed i gabbiani urlavano tra le onde del mare che ruggivano schiantandosi contro gli scogli di fronte alla sua casa. Quel giorno però il tramonto gli comunicò uno strano senso di inquietudine, si avviò verso il mobile bar nel salone e si versò una dose abbondante di gin sperando di sentirsi meglio, il tentativo fallì miseramente. Guardò quindi attraverso la finestra la piccola cittadina le cui ombre si allungavano lontane ed in cui non si poteva scorgere alcun movimento; spostò lo sguardo più in alto e trovò a fissare il cimitero, che sovrastava la cittadina da una vicina collinetta. Sin da quando, anni prima, aveva comprato quella villa isolata sulla scogliera per sfuggire al caos di New York, era stato terribilmente attratto da quel luogo, quasi quanto era disgustato da quell’orribile covo di bigotti che era la cittadina sottostante. Quegli ipocriti lo salutavano amabilmente quando, raramente, si decideva a scendere in città, mentre in realtà avrebbero voluto vederlo morto, potevano infatti i gentiluomini e le gentildonne di Newport, Vermont, tollerare la presenza nella loro piccola e rispettabile cittadina di uno come lui, uno scrittore ricco, famoso e…alcolizzato? Ma certo che no! Si lasciò sfuggire di mano il bicchiere che andò a infrangersi sul pavimento in una miriade di luminose schegge.
Uscì di casa come in trance dirigendosi verso la cittadina senza quasi sentire il freddo pungente della brezza autunnale che s’insinuava sotto la sua camicia. In breve tempo fu al centro della cittadina, di fronte alla chiesa dal cui interno proveniva il suono dei canti religiosi che accompagnavano la messa. Avanzò ancora mentre il sole era ormai quasi scomparso dietro l’orizzonte e arrivò davanti alla Cemetery Hill proprio mentre l’ultimo raggio di luce scompariva lasciando il posto al buio notturno.
Il grande cancello in ferro battuto che immetteva nel cimitero era coperto di polvere ed i cardini scricchiolarono pesantemente appena cercò di aprirlo. Notò che da uno dei fregi che decoravano il cancello pendeva una ragnatela e che il suo occupante, maestro tessitore, lo guardava fisso.
“Cosa vai cercando nel mio cimitero?”, gli disse con voce stizzosa.
“Non so”, rispose, “so solo che devo entrarci, poi saprò cosa fare.”
“D’accordo puoi passare.”, disse e subito il cancello si aprì senza alcun cigolio ed egli poté entrare senza problemi all’interno del vecchio cimitero. Per un po’ si aggirò tra le tombe notando che, anche se il sole era tramontato già da parecchio tempo, lui continuava a vedere chiaramente, quindi seppe esattamente dove doveva andare. Si avviò a passo svelto movendosi come un felino tra lapidi di nomi dimenticati sino ad arrivare di fronte ad un grande mausoleo di famiglia. Si ergeva quest’ultimo in un angolo remoto del vecchio cimitero, quasi volesse essere per sempre dimenticato; si fermò davanti ad esso, ammirando la slanciata costruzione in stile neogotico, cercò la porta d’entrata e la trovò quasi subito. Di ferro massiccio, si trovava sotto un’incisione sbiadita per via degli anni, che non si poteva più leggere chiaramente, appoggiò la mano sulla maniglia, ormai non sentiva più il freddo, e spinse con forza, sicuro che la porta gli avrebbe opposto resistenza. Inaspettatamente questa cedette quasi subito e si aprì, cigolando sugli antichi cardini, voce che lo chiamava.
Si fermò un istante di fronte a quel buco nero che lo invitava ad entrare (quasi una bocca pronta a divorarlo) quindi, preso un profondo respiro, entrò.
Non appena ebbe varcato la soglia la soglia sentì la porta chiudersi alle sue spalle; dopo che i suoi occhi si furono abituati all’oscurità, il luogo che gli apparve davanti gli sembrò stranamente familiare, come se lo conoscesse da sempre. Si diresse verso il lato orientale dell’edificio dove si trovavano tre loculi sovrapposti; subito si rese conto che dal terzo di questi mandava un sinistro bagliore che sembrava attirarlo come il nettare una farfalla. Si avvicinò in fretta ed iniziò subito ad armeggiare intorno alla lastra di marmo che chiudeva l’imboccatura di quel loculo.
Ad un tratto, come se non avesse aspettato altro, la lastra venne via da sola, finendogli quasi addosso. Il peso di quella enorme lastra di marmo lo fece barcollare, quindi riprese il controllo e scaraventò la lastra sul pavimento e guardo finalmente all’interno del loculo.
Registrò distrattamente l’assenza della bara e si accorse che il corpo lì conservato non era stato minimamente intaccato dal tempo. Stupito si chinò ad osservare la lastra di marmo, in lettere dorate era scritto: Jonas Wyler 1815-1846 –Compianto figlio-.
Guardò di nuovo l’uomo morto, che sembrava piuttosto aver dormito in quella tomba, dato che gli anni trascorsi non avevano lasciato segni sul bel volto di quel giovane, né sul suo corpo, per quanto se ne vedeva, che fosse una sorta di miracolo? Mentre osservava con sempre maggiore stupore quel cadavere che andava contro tutte le leggi della natura, si accorse che il giovane stringeva tra le mani un piccolo libricino rosso; mentre ancora si chiedeva di fronte a quale misterioso fenomeno si trovasse e per volontà di chi, il compianto figlio aprì gli occhi e si mosse.
Si mise seduto sull’orlo del loculo e si stirò, quindi lo guardò con occhi feroci. Lo scrittore cercò di indietreggiare per la pura, finendo con la schiena contro la pesante porta metallica, il compianto figlio si alzò ed iniziò ad avvicinarsi lentamente ma inesorabilmente, guardandolo fisso con un’espressione che egli poté classificare soltanto come fame.
Cercò di urlare ma la gola gli si fece improvvisamente secca e dalla sua bocca uscirono solamente dei suoni gutturali mentre con gli occhi sbarrati guardava avanzare il morto vivente.
Questo, continuando ad avanzare, batté la mano sul piccolo libricino, “Ha funzionato.”, disse, quindi mise il libricino in una tasca della giacca di velluto nero che indossava e le sue mani gelide di morte si strinsero intorno al collo dello scrittore, che ormai tremava in modo incontrollabile dalla testa ai piedi. Lo costrinse a guardare nei suoi occhi di morto e quello sguardo affamato fu l’ultima cosa che l’uomo vide nella sua vita, dopodiché il morto vivente si fece simile a vapore e si fece strada insieme all’aria fetida del mausoleo in quel corpo ormai privo di anima.
Discendendo dalla collina su cui sorgeva il cimitero la cosa che ormai non era più lo scrittore iniziò a ridere, e rise di gusto.
brrrrrr, inquietnte, conturbante, intrigante, ben scritto, efficace, torno a rileggerlo!
Simpatico nelle tua sfrontatezza,nel tuo non aver paura del luogo comune,sai raccontare,nche se non hai ancora deciso se fare lo scrittore o lo sceneggiatore.
Condivido il commento che mi precede: questo sarebbe perfetto per un cortometraggio, bravo!!!
personalmente, ho trovato lo stile asciutto e visivo molto appropriato alla storia. è la chiave giusta per raccontarla, senza cadere nella banalità del raccontino horror. complimenti.