Racconti nella Rete 2009 “Orizzonti” di Nicoletta Solinas
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Avete mai provato a contare quanti passi ci vogliono per arrivare fino all’orizzonte? Secondo me almeno centomila, ma Biko dice che ce ne vogliono molti meno se corri, perché correndo i passi sono più lunghi, diventano salti.
Biko è mio fratello. Lui ha solo cinque anni, io undici e tocca a me spiegargli come va la vita qui. Stiamo sempre insieme e, quando si può uscire all’aperto, ci divertiamo molto a giocare con la palla di cartapesta, quando non fa troppo caldo e il sole è basso perché sennò brucia gli occhi che sono già tanto rossi per la polvere.
Sapete, giocare fra le macerie delle case venute giù non è così facile! C’è il rischio che ti inciampi, cadi e ti frantumi pure tu. Un mio amico, Okwui, una volta è caduto mentre saltellava tra i resti del villaggio e si è rotto gambe e braccia; forse il braccio era uno solo, non ricordo bene. Beh, quando è tornato alla Casa dei Bambini era irriconoscibile, tutto bendato che sembrava una mummia. Povero Okwui! Che strano, adesso che ci penso, sono un bel po’ di lune piene che non vedo Okwui. Mi ricordo che un pomeriggio è uscito dalla nostra grande Casa per andare a raccogliere l’acqua nel pozzo, poi mi ricordo che d’improvviso hanno iniziato a suonare le sirene, tanto, troppo forte. Io e Biko eravamo nella camerata con tutti gli altri, rannicchiati sotto i letti, come ci hanno insegnato i grandi. Ma Okwui non c’era. E non è più tornato. Forse quel pomeriggio avrà avuto voglia anche lui di correre verso l’orizzonte. E magari adesso è laggiù che ci sta aspettando, stanco e felice di essere arrivato per primo proprio su quel filo scuro e sottile che separa la terra dal cielo.
Oggi non si può uscire dalla Casa. Oggi dobbiamo stare tutti nella lunga camera dei cento letti. Fuori c’è la guerra, oggi. Noi qui siamo salvi. Là fuori solo tuoni, lampi, fulmini, nuvole rosse di polvere e pioggia di sassi.
Che bello! Questa mattina, dopo sette giorni passati al chiuso a disegnare fiori, case, raggi di sole, alberi e arcobaleni su pezzi di carta vecchia, sono arrivate alla Casa delle persone venute da lontano, da oltre l’orizzonte. Un uomo ed una donna dalla pelle bianca e dagli occhi azzurri come il cielo senza nuvole. Hanno preso per mano Biko e gli hanno regalato un pallone vero, di cuoio, tutto dorato. Poi gli hanno parlato. Parole confuse, imprecise e impastate alla loro lingua così diversa dalla nostra. Si sono rivolti a lui come se lo conoscessero da sempre, guardandolo con occhi pieni di dolcezza. Ma Biko, per tutto il tempo, ha guardato solo me, suo fratello, fisso negli occhi. I suoi occhi nei miei, occhi grandi, neri e persi nel nulla. Io avevo capito, lui no.
Biko non aveva ancora compreso il perché di quella visita: lo avrebbero portato via per sempre da me, dalla sua terra e da quegli orizzonti che al tramonto ci facevano sognare viaggi fantastici e avventurosi.
Sono pietrificato. Con lo sguardo lo abbraccio più forte che posso, perché fisicamente mi è impossibile. Improvvisamente ho un freddo terribile. Sono il sasso di una casa che si sgretola sotto le bombe, sono il tuono di guerra che mi esplode nel petto. Senza Biko morirò di paura in questa terra di sangue e d’odio! Ma lo devo lasciare andare, devo essere forte, devo essere adulto.
Lui vivrà anche per me, laggiù, oltre la linea dei centomila passi. In una terra nuova. Una terra di pace.
Ora ho una sola certezza: se sopravviverò a tutto questo dolore mi farò forza e comincerò a correre sempre più veloce, superando tutti i confini necessari per riabbracciare mio fratello, perché so che lui sarà lì, al traguardo, ad aspettarmi. Devo assolutamente dargli un appuntamento al nostro orizzonte dei centomila passi.
Prima che lui, con i suoi nuovi genitori, uscisse definitivamente dalla porta della mia casa, lo salutai così, con il cuore che mi scoppiava e la voce ferma, dicendogli:”Biko, se corro i passi sono più lunghi, diventano salti. Hai ragione tu. Ci vediamo all’orizzonte!”
Credo che la qualità fondamentale di questo racconto sia l’intuizione (geniale) di aver cambiato il punto di vista nel descrivere cosa sia un’adozione. Il racconto, bello anche se, a mio modo di vedere, usa talvolta un linguaggio non sempre conforme a quello di un bambino (es: cartapesta…frantumi…sembrava una mummia…), stupisce e mette a nudo tutto il nostro limite: non riusciamo a vedere il mondo a 360°. Se è vero che l’adozione è un grande gesto d’amore, che cerca di sopperire ad un grande bisogno di affetto da entrambi le parti (adottante e adottato), è possibile che questa comporti un distacco, una perdita ed un dolore per qualcuna altro, come ben spiegato nel racconto, e di tutto ciò noi (che stiamo da questa parte…) non teniamo MAI conto. Alla fine il vero atto di amore è quello di chi permette al fratello di andarsene, senza farlo pesare, anche se ciò significa una nuova e più grande sofferenza. Comunque la si veda rimane solo una grande speranza: di vedersi all’orizzonte. Grazie per averci fatto guardaee il Mondo con gli occhi degli altri.
Complimenti ed in bocca al lupo.
Gentile Zenone, il tuo commento è rivelatore di grande sensibilità. Grazie per aver letto e soprattutto per aver compreso a fondo il messaggio che volevo trasmettere.
PS frequentando bambini e ragazzi (anche di diverse etnie) ti posso assicurare che a 12 anni parole come cartapesta, mummia e frantumi sono abbastanza conosciute ed utilizzate, in particolare proprio nei giochi…a volte mi stupisco io stessa nel scoprirli più adulti di quanto appaiano…
E’ stato per me davvero un piacere leggerti.
N
Gentile Nicoletta,
come avrai capito nel mio commento non c’era nessuna volontà di critica fine a se stessa ma solo, sempre nella massima considerazione che ho del tuo raconto (leggi stima), il voler sottolineare come l’utilizzo di quei termini – a mio modestissimo parere – non fosse pienamente in linea con l’azzeccata terminologia da te usata nel corso di tutto il resto del tuo splendido racconto.
Mi farebbe piacere,se hai qualche minuto, che tu esprimessi un tuo parere sul raccondo da me inviato.
Grazie e ancora complimenti
Alessandro Colosimo (ZENONE)