Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2012 “Il Sollievo” di Matteo Pieri

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

«E’ successo due sere fa, roba da non crederci. C’è questo tizio pieno di soldi, sulla cinquantina, che viene sempre con una BMW bianca. Era già capitato qui un paio di volte con la moglie, non proprio giovane lei, ma tra roba di serie e modifiche varie ti giuro che non passa inosservata. Insomma l’altra sera arriva intorno alle due di notte e comincia a girare qua dentro, lei invece resta sola in macchina. Appena se ne va l’ultimo camionista attacca a parlare con me, a quell’ora ogni argomento è buono per restare svegli. Non passa molto che arriva al punto. Tira fuori una piccola telecamera, pensavo volesse venderla, e invece no. Avrai già capito cosa aveva in mente. Ha chiamato la moglie e ci siamo messi lì, vedi, nell’ufficio a vetri. Lui si accomoda sulla poltroncina, come un cazzo di Tinto Brass, e si accende sigaro e telecamera. Cristo, proprio come Tinto Brass. Ci fa scopare la moglie a turno, prima a me e poi al nostro Gaucho. Quando glielo dici il coso gli fa ancora le capriole nelle mutande. Vero Gaucho? Com’è che ti diceva? “Nella testa bello, fammelo sentire nella testa”. Ma non era la testa quella, te lo assicuro.

Ma aspetta, non è mica finita. Proprio mentre Gaucho stava per svuotare l’ampolla arriva una pattuglia a fare rifornimento. Cazzo, due agenti in completa uniforme alle tre di notte. Io esco subito mentre il pischello riavvolge il pitone. Il marito rimane sempre tranquillo, non stacca la ripresa nemmeno mentre la moglie si tira su le mutande, anzi, gira la telecamera e inquadra quei due stronzi che vengono dentro a pagare. Sono scesi tutti e due, non volevano andarsene. Quando Gaucho è uscito da là dietro quelli si sono messi a curiosare, la situazione s’è fatta tesa. Non so se scoparsi una di fronte al marito sia reato, ma di certo andando a frugare là dietro avrebbero trovato la roba che vendiamo sottobanco, capisci? Sante, ti giuro che mi stavo cagando sotto. “Cosa succede qui?” fa uno dei due mentre l’altro tira fuori il manganello, quello vero intendo, quello per menare. Si avvicina alla telecamera e comincia a parlare verso l’obiettivo. “Ora facciamo una bella perquisizione qui, e vediamo di cosa si occupano i nostri amici benzinai durante la notte”. “Fine della festa” pensavo, “questi erano d’acordo con la coppietta per farci il culo.” E invece eccolo li, il poliziotto col manganello, che abbassa le mutande alla signora per perquisirla a dovere. Si mettono a perquisirla insieme, mentre il marito continua a riprendere. Ti giuro, quello schifoso si è sbrodolato i pantaloni senza nemmeno sfiorarselo. Ha fatto scopare la moglie da quattro uomini in meno di due ore. Lo so che non ci credi, è normale, non ci crederei nemmeno io se non avessi sentito quelle tette di silicone con le mie mani. Ma vedrai quando mi porterà il video Sante, vedrai.»

Le stazioni di servizio suggeriscono ogni tipo di stranezza. Specialmente durante la notte, quando i piazzali sono deserti e le luci spente. Sono posti che esistono a malapena, dove la gente passa e non si ferma. Ogni stazione somiglia all’altra, come i panini esposti nel bancone. Quando i trasportatori si fermano a riposare nel parcheggio cominciano gli affari.

Da quando Teresa mi ha buttato fuori dormo da Daniela, mia sorella, ma non ho alcuna fretta di tornare a casa. Mi fermo per l’ultima birra dal Maggini, alla stazione di servizio. Lui, che ha appena cominciato il turno, mi rifornisce di queste storie assurde. Le storie sono importanti nel mio lavoro, almeno quanto la memoria per i nomi. Io li ricordo tutti. I nomi dei clienti e dei colleghi, i concorrenti e le rispettive squadre di calcio favorite, ricordo anche tutti i nomignoli e, quando non è sconveniente, quello delle mogli di ognuno di loro. Nelle storie del Maggini questa realtà improbabile sconfina sempre in una fantasia impossibile. A volte si intuisce il confine dalle espressioni del povero Gaucho, altre volte invece, sopraffatto dalla strafottenza del collega, nemmeno lui è capace di smentirlo. In questa storia per esempio i poliziotti sembrano di troppo, e forse anche il filmino. La scopata invece ci sta tutta. E’ incredibile quello che passa la notte qua dentro. C’era un periodo in cui il Maggini vendeva pure materassi in lattice. Al nero, si capisce. Sto parlando di materassi per i letti, anche matrimoniali. Roba che non puoi tenere chiusa in un cassetto. Non ho idea di come riuscisse a rimediarli. Certe volte gli ho passato qualcosa pure io. Qualche disco diamantato, o qualche scarpa antinfortunistica. Erano campioni dimostrativi, o merci restituite per un errore di consegna. Il Maggini si rivende qualsiasi cosa.

«Grazie Maggini, ma non ci tengo a vedere il tuo culo in video, dovrò fidarmi.»

Qualcuno mi sta chiamando, il telefono muto mi vibra in tasca. E’ l’ultimo cliente della giornata.

«Pronto? Ciao carissimo. Certo, te ne mando due in più, non c’è nessun problema. Vai tranquillo. Domani ti arriva tutto, ti faccio un bel prezzo. Vai, grazie.­»

Non mi ricordo come sono arrivato a vendere materiali edili. Forse perchè lo faceva mio padre, questo è sicuro, ma io sono un perito, non ho sempre fatto il rappresentante. Sono bravo a vendere, ecco tutto. Utensili, isolanti, anche abbigliamento da lavoro. Agente plurimandatario. Due anni fa ho preso una Marea milleotto diesel che adesso ha centoventimila chilometri.

«Maggini, te l’ho detta quella dell’infermiere?»

«Quello che passava il metadone ai nonnetti dell’ospizio?»

«Ma no, sono stato ricoverato un paio di mesi fa, niente di che, solo qualche controllo. Insomma questo infermiere tiene alla parete un biglietto della lotteria incorniciato.»

«Ha vinto?»

«Avrebbe vinto si, se lo avesse giocato.»

«Non ci credo, sono usciti i numeri e lui non lo aveva giocato?»

«Già, dice che lo tiene per ricordarsi che è un cretino. Ecco vedi, tu potresti proiettare il tuo video su un maxischermo, così te lo ricordi pure tu, e magari si divertono anche i clienti.»

«Sfotti vai, intanto se ripassa il nostro Tinto magari ti chiamo a dare una mano.»

«Anche due. Ora me ne vado, prendo un’altra birretta, segnala per domani.»

«Stai sveglio Sante, che stasera ti vedo più cotto del solito.»

Mi risveglio con il clacson di un camion. Avevo appena abbassato le palpebre. Sono davvero stanco, eppure non vorrei mai rientrare. Dormo a casa di Daniela, ma è come se la casa fosse vuota, come se fosse la stanza di un albergo dove esco all’alba e rientro a notte inoltrata. Ancora il telefono, a quest’ora non può essere un cliente.

«Stai guidando?»

«Non preoccuparti, ho l’auricolare», non è vero, non lo trovo da stamani. Sono talmente abituato a quella macchinetta che nemmeno mi accorgo di averla addosso. Devo essermici addormentato sopra, ho pure l’orecchio indolenzito. Magari sarà finita tra i cuscini o in fondo al letto. Teresa si arrabbia molto se parlo al telefono mentre guido, si preoccupa per la mia patente, che mi consente di lavorare e mandarle i soldi. Non mi fa nemmeno parlare con i ragazzi, mi chiama solo per i soldi, quando le servono. Sembra il direttore vendite che dispone gli obiettivi commerciali. Chiama solo se non li hai raggiunti.

«Senti, domenica Andrea ha una partita alle dieci. Ci terrebbe molto che tu lo vedessi giocare»

«Benissimo, dove ci vediamo?»

«“benissimo” cosa? Guarda Sante che mica devi vendermi dei trapani. Io non ci sono, puoi venirlo a prendere alle nove e un quarto sotto casa, gioca qui al campo sportivo.»

«Insomma vuoi che lo porti io perchè tu devi farti i cazzi tuoi.»

«Sei un idiota, ma perché dobbiamo litigare per forza?»

«Perché è l’unico modo di tenerti un po’ al telefono»

«Senti, non abbiamo niente da dire, se vuoi vederlo domenica passa a prenderlo, altrimenti ce lo accompagnerà Silvio.»

«Silvio certo.»

«Esatto, Silvio»

«Perché non pensa lui anche alla rata del mutuo cara?»

«Perché non vai a fare in culo Sante?»

Un beep nell’orecchio e Teresa non c’è più. Rimane la striscia bianca sul bordo dell’autostrada a trascinarmi via. Il vibrare delle gomme su quella superficie mi riporta in carreggiata ancora un paio di volte prima del casello. La voce automatica mi augura buon viaggio. La offendo come posso, come offenderei Teresa e Silvio. Si chiama pure Silvio. A volte vorrei essere come il Maggini, stare alla pompa di benzina e sparare cazzate. Ninete fatturato, né obiettivi, né sconti. Mi hanno fatto dimenticare chi sono. Ma chi è stato? Teresa? Il lavoro? Sembra che il telefono suoni ancora, invece è la radio.

Sono davanti alla porta di casa. In certi frangenti potrei aver ucciso qualcuno e non ricordarlo. Mi succede sempre alla guida, quando conosco bene la strada. A volte trascorro così intere settimane. Da una domenica all’altra senza soluzione di continuità. Niente birra in frigo, questa è calda da far schifo, sembra di bere e piscare la stessa cosa. Mi serve un moment, o un’altra cosa. Dovrei farmi una doccia.

Sento vibrare il telefono da qualche parte. Daniela mi chiama dalle scale, dice che ha preparato il caffè. Non riesco a trovare quel maledetto auricolare. Non trovo nemmeno il telefono che suona da dieci minuti. Mi scoppia la testa. Adesso non suona più. Ho bisogno di una doccia. L’orecchio è gonfio, pizzica, devo avere un’irritazione, magari mi sono tagliato internamente. Chi è che continua a chiamare? Il cellulare ha il blue tooth, e segnala l’auricolare attivo. Ma dove è andato a finire?

Oggi ho un sacco di appuntamenti. Perdere le cose mi fa impazzire, senza auricolare è impossibile lavorare, con il vivavoce non si capisce niente. Con questa infezione mi pare di sentire tutto ovattato, come un rumore di fondo. Il telefono non mi dà tregua, per fortuna, significa che il lavoro sta riprendendo, domani c’è pure l’incontro con il capoarea. Devi occuparti di quell’insoluto.

«Insoluto? Cosa?»

Giusto, devo sollecitare il Mengozzi, mi ha pure chiesto del materiale. Il problema non è vendere, il problema è riscuotere. Già, il mondo è pieno di insoluti. C’è un rumore di fondo. Non è quello solito della macchina, è più un parlottare indistinto, nel quale soltanto a tratti colgo alcune affermazioni. Mi fermo alla stazione di servizio per un caffè e un buscofen, Teresa lo prendeva sempre quando aveva le sue cose, magari se finisco la scatola vengono pure a me. Lo specchio del bagno mi restituisce il gonfiore del padiglione auricolare, i neon rimarcano impietosi il mio pallore. Come pensavo, sembra che il microfono sia rimasto incastrato nell’orecchio, vedo il led illuminarsi ritmicamente attraverso la cartilagine.

 

A pranzo non mangio quasi mai. Da queste parti c’è il Flamingo, qui trovo sempre alcuni clienti in pausa. Solo un bicchierino, anche questo è lavoro. Se non mi muovo non riuscirò a fare l’ultimo cliente. Magari lo chiamo, sento se gli serve qualcosa, altrimenti evito qualche chilometro di strada. Sei fuori prezzo, sei completamente fuori dal seminato. Cerchiamo di differenziarci, puntare soprattutto sulla qualità. Basta che sia certificato.

Che poi oggi tutto è certificato, bisognerebbe vedere da chi è certificato, e per fare cosa.

«Ma con chi parli?»

«Cosa?»

«Dico, mi ascolti o no?»

«Si, scusa, sempre i soliti problemi.»

Il Mengozzi non ride mai, ogni volta che stacca un assegno invecchia di schianto. Mi guarda come se gli stessi rubando in casa. Non mi guarda negli occhi, forse lo vede anche lui, mi sta fissando l’orecchio, magari lui sa come toglierlo.

«Sante vedi di darti una calmata perché così è difficile lavorare»

Devo fermarmi di nuovo, il dolore è insopportabile, forse dovrei andare al pronto soccorso. Sento ancora borbottare da un qualche ufficio. La carne irritata pulsa mentre mi tampono il padiglione con del cotone imbevuto di aqua ossigenata. Un poco di sollievo. Roba da matti, deve essere rimasta una telefonata aperta. Meglio tornare subito a casa.

Te lo dico subito, se non consegni Andrea per le nove ti lascio insoluto, per sempre. Non voglio perdermi la partita di Andrea. Mi alzo di scatto ma è ancora buio fuori dalla finestra. Ho dormito tutto il giorno? Mia sorella dice che dormo tutto il giorno, lei è sempre preoccupata per qualcosa. Non riesco a tenere gli occhi aperti, da lontano qualcuno mi chiede uno sconto sul trasporto, potrei capire meglio se solo parlasse nella cornetta. Hanno già caricato, ormai è impossibile cambiare l’ordine. Allora rimandiamo tutto indietro, avevamo richiesto una consegna tassativa. Addio provvigione. Dovrei riuscire a sistemare la cosa prima della partita di Andrea. Ma sono le cinque di notte, mi sembra impossibile. Invece Daniela dice che la partita è tra tre giorni, dice che mi vede confuso, ma lei lo dice sempre. Con quattromila euro al mese sarei a posto. Ne terrei soltanto mille e cinquecento per me, per dipingere. Darei tutto il resto a Teresa e ai ragazzi. Anche a Silvio se vuole. Io starei a casa a dipingere. Ecco cosa sono. Me lo hanno fatto dimenticare. Dovrei mettere il mio auricolare in cornice, per ricordarmi che sono solo, se solo riuscissi a toglierlo un attimo. Dovrei smettere di bere anche l’acqua. Assolutamente. Non posso stare girato a destra, mi fa male appoggiare l’orecchio al cuscino. Devo prendere qualcosa per dormire.

Premendo sui bordi sembra che l’estroflessione si ritiri un poco. Basterebbe sollevare un lembo per sfilare il blue tooth. Adesso provo con le forbicine. Una goccia di sangue mi cola sul dito. Fà il solletico. Continuano a chiedermi di fare carichi completi. Non possono essere venticinque scarpe, lo capisci? Devono essere venticinque paia, mica siamo tutti pezzi unici. Quella consegna delle nove e un quarto si ripete come una sirena incantata. Mi scoppiano le orecchie. Un attimo di silenzio bambini, solo un attimo e sono da voi. Senti, devo dirtelo, aspetto un bambino, mio e di Silvio. Deve dirmelo. Ma perché così tante volte? Il blue tooth deve essersi scaricato e mi sta scivolando in testa. Serve una cosa più larga per fare leva. Mia nonna ripuliva le patate da tutti i butteri, toglieva anche le macchie più insignificanti con una rotazione del polso veloce e sicura, maneggiava il coltello come un samurai. Devo stare piegato in avanti, a destra, altrimenti l’auricolare mi cola dentro. Possibile che nessuno si accorga della telefonata aperta? Sembra che abbia delle zampette, lo sento solleticare le pareti interne, devo staccarlo subito. Prendo il coltello da cucina come faceva la nonna. Conviene spingere l’auricolare fino in fondo, almeno cadrà dall’altro orecchio. Devo farlo rotolare con un colpo secco.

Così.

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3 commenti »

  1. Bello e inquietante.
    Peccato per quella prima parte molto lunga che è fuorviante rispetto al tono del racconto.

  2. A me invece non dispiace per niente quella prima parte. Credo sia funzionale, è una lunga barzelletta che aumenta per contrasto la drammaticità di quella solitudine e del finale.
    Lo trovo interessante, anche a me ha lasciato un po’ di ansia.

  3. davvero un bel racconto. mi ha convinto lo stile a flusso, molto ben calibrato e una storia che rimanda sentori kafkiani alleggeriti alla ammaniti. il crescendo ansiogeno è un grande classico scritto, devo dire, in modo impeccabile. ti faccio i miei complimenti.

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