Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2012 “I giorni bianchi” di Antonello Grassi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Ha sentito il frastuono che viene dall’altra stanza, però non vuole muoversi da lì. Se ne sta davanti alla finestra, con gli occhi appiccicati al vetro, a guardare la neve. Una pioggia gelata, bianca, che cade nel cortile a fiocchi spessi.Quando entro in cucina la trovo così, immobile e come un po’ sfocata nella luce bianca della finestra grande. Faccio qualche passo, mi avvicino alla tavola già apparecchiata con le tovagliette bianche e il succo d’arancia. Lo faccio in silenzio, perché mi sembra di disturbare. Poi dico buongiorno e lei si volta. Sorride e subito accende il fuoco per il caffè e mi versa il latte nella tazza. Compie i gesti con una leggerezza che non le vedevo addosso da anni. Sembra rinata. Ha quella luce viva negli occhi, la luce dei suoi giorni bianchi.
Li chiama così i giorni di neve. Dice che lei lo sa già prima di alzarsi che c’è, la neve. La sente che è ancora nel letto, ancora prima di aprire gli occhi. Così si alza prima e prepara la colazione per tutti. Poi aspetta in cucina che ci alziamo anche noi. Dice che le piace farci trovare tutto pronto, che è il modo migliore per cominciare un giorno di speciale. Io lo so che è anche un po’ una scusa per starsene da sola con la neve.

Quando ero piccolo, mio padre per svegliarci faceva il giro delle camerette e spalancava le finestre. Lo odiavo per questo. Perché lo faceva anche nei giorni di neve. Anche io me ne accorgevo prima, quando c’era la neve. Mi rigiravo nel letto e bruciavo dalla voglia di correre alla finestra, non lo facevo mai però. Mi facevo piccolo nelle coperte e contavo il tempo che passava. Finché non ero sicuro che ne era passato troppo e che ormai era troppo tardi per la scuola. Quando già mi immaginavo tutte le strategie per la battaglia con le palle di neve, sentivo mio padre che entrava in camera di Daniele e poi nella mia e diceva Sveglia. Spalancava la finestra, come ogni giorno, come i giorni normali. Allora mi prendeva il dubbio che mi ero immaginato tutto, che forse avevo sognato e la neve non c’era, e mi toccava alzarmi e andare a scuola.
Ficcavo la testa sotto al piumone, finché papà non se ne andava. Allora contavo un minuto veloce e poi schizzavo verso la finestra spalancata e una volta lì spalancavo gli occhi di più lei. Il giardino era diventato una distesa bianca che sembrava la tovaglia gigante dei giorni di festa a casa di nonna. Solo che ci potevo correre sopra.
Quando arrivavamo in cucina trovavamo già tutto apparecchiato. Mia madre faceva un inchino, poi faceva finta di fare la cameriera e serviva la colazione a mio padre per primo.

Mi siedo a tavola.
“Hai visto?” dice lei.
E con gli occhi che luccicano indica la finestra. Io annuisco, anche se quasi non ho sentito niente per colpa del frastuono dall’altra stanza. Si sente un colpo che fa tremare il muro. Poi qualcosa di vetro che si rompe. Lei non ci fa caso. Si muove leggera, versa il caffè nella tazzina di mio padre e ogni tanto sorride. Mi fa scegliere i cereali. Scelgo quelli al cioccolato, che nei giorni normali non posso scegliere mai.

Dopo colazione io e Daniele mettevamo i giacconi pesanti e i doposci e scendevamo in cortile con mio padre. Mia madre già trafficava ai fornelli per il pranzo.
“Lasciatemi nel mio regno” diceva.
In cortile io e Daniele facevamo squadra nelle battaglie tutti contro tutti. Gli avevo insegnato il trucco di fare le palle di neve con le pietre dentro, solo che una volta lui aveva centrato Mozzarella, quello del quarto piano, in piena faccia che gli avevano dovuto mettere i punti. Da allora mio padre scendeva in cortile con noi, per sorvegliarci, diceva. Quando tornavamo a casa trovavamo il pranzo buono come quello della domenica, mia madre andava su e giù con i piatti e noi le facevamo i complimenti.
Si vedeva che era contenta.

Una volta anche mia madre è scesa in cortile, è arrivata dopo. Non lo aveva mai fatto.
C’era un’atmosfera strana in casa da un po’ di tempo. Come un silenzio fitto specialmente la sera, a tavola, oppure quando andavamo in visita dai nonni. E succedevano cose strane. Qualche giorno prima, per esempio, tornato da scuola avevo trovato una scrivania nuova in camera. Ce n’era una uguale anche nella stanza di Daniele. Erano a forma di elle, di legno chiaro, con le forme arrotondate. Erano molto grandi.
“Così potete tenere i computer e la stampante”, aveva detto mia madre.
Mio padre s’era fatto serio. Non aveva fiatato per tutto il pranzo, poi la sera l’avevo sentito che urlava a bassa voce dalla mia stanza. Mia madre diceva di calmarsi, diceva che non ci aveva pensato, che credeva non fosse così importante.
Mio padre le diceva di stare zitta.
Il giorno dopo avevo trovato mia madre che lucidava la scrivania. Aveva il volto teso, guardava il legno chiaro guardando da un’altra parte.
“È bella” avevo detto. Perché mi sembrava di dover dire qualcosa.
Mia madre non aveva risposto. Aveva continuato a lucidare la scrivania. Dopo un po’ m’ero accorto che piangeva. In silenzio, muoveva soltanto le spalle.
Così quando l’ho vista arrivare nel cortile, ho lasciato la battaglia e le sono corso incontro. L’ho riconosciuta anche se era tutta intabarrata nella salopette, perché aveva gli occhi azzurri che si vedevano anche da lontano.
Lei è stata con me e Daniele un po’, abbiamo anche corso, poi si è guardata con mio padre e si sono allontanati. Mentre vincevo nella battaglia tutti contro tutti, ogni tanto li cercavo con lo sguardo. Erano sempre lì che passeggiavano lenti uno di fianco all’altra e parlavano. Non si capiva se stavano litigando oppure stavano parlando del tempo.
Quando siamo tornati a casa il pranzo non era pronto.  Mio padre è andato in cucina e ha chiesto qualcosa alla mamma. Poi ha chiuso la porta. Quando è uscito aveva la faccia seria, ha preso la cassetta degli attrezzi ed è sparito nella sua stanza dei lavori. Lì costruiva gli oggetti che regalava a mia madre e poi usavamo in casa, per esempio le mensole con i ricami di legno per le spezie. Dopo un po’ si è sentito un botto. Poi un altro meno forte e rumore confuso di ferri e altre cose che sbattevano sul pavimento. È andata avanti così una mezzora. Io non sapevo bene dove guardare e nemmeno Daniele.
Mio padre è uscito dalla stanza dei lavori, ha acceso la tv e si è seduto sul divano. Mi sono seduto anch’io. Lui fissava lo schermo e scuoteva il piede. Lo guardavo senza farmi scoprire, perché avevo come la sensazione che qualcosa era cambiato, anche se la sua faccia era sempre la stessa. Tutta seria, però la stessa. Mia madre usciva dalla cucina e diceva:
“È quasi pronto. Vedrete che vi preparo. Un pranzetto da leccarsi i baffi.”
Cercava di scherzare con tutti e anche con mio padre. Ma lui guardava la tv e ogni tanto faceva schioccare la lingua sul palato. Davano una televendita che ricominciava sempre daccapo. Era già la terza volta che ricominciava, però ho avuto paura a dirglielo.
Alle tre non era ancora pronto.
Alla fine, quando ci siamo seduti a tavola, mia madre ha servito un pollo tutto bruciato.
Ha detto che aveva dovuto tenere il forno più alto per fare prima, e che il pollo era ancora congelato. Mio padre ha preso un boccone, poi ha fatto una smorfia e ha messo via il piatto che quasi lo rompeva e se ne andato in soggiorno. Mia madre ha continuato a mangiare, anche se il pollo dentro era quasi crudo. Io e Daniele anche. Ci sentivamo solo noi in tutta la casa. Non c’era nemmeno più la televendita.
Quella notte mi sono svegliato e ho sentito di nuovo mio padre che urlava in cucina. Mia madre cercava di calmarlo, ma lui urlava così forte che l’aria sembrava gonfiarsi contro la porta della cameretta. Mi sono tirato la coperta sopra la testa, sperando che le urla non mi facessero volare via.
Qualche giorno dopo la casa ha cominciato a riempirsi di parenti e vicine di casa. Arrivavano per il caffè e poi restavano tutto il pomeriggio, scuotevano la testa e dicevano che i miei s’erano sposati troppo giovani.

Adesso mia madre mi guarda, seduta all’altro capo del tavolo.
Il frastuono continua, dalla stanza dei lavori. Un altro botto, un tonfo sordo, martellare fitto di alcuni minuti, cose metalliche che si rompono. Mia madre non ci fa caso. Finisce il caffellatte e mi sorride. L’ha capito che mio padre da quella stanza non uscirà mai.

Ecco, non lo so perché ho deciso di raccontarvi questa storia. Forse perché oggi nevica, e ogni volta che nevica ripenso a mia madre, ai suoi giorni bianchi.
Dopo quella sera, dopo le urla in cucina, le cose sono andate sempre peggio.
Mio padre è diventato sempre più burrascoso, pronto a urlare, ad alzare le mani.
Mia madre sbrigava le faccende di casa e cercava di ignorarlo.
L’ho trovata a piangere sempre più spesso. Piangeva da sola.
Mi sono sempre chiesto perché non è andata via, perché ha accettato di gettare via così i suoi anni più belli.
Quando sono diventato grande, l’ho capito. L’ha fatto per me, e per Daniele.
Adesso è tanto che non c’è più. Non fumava e mangiava i broccoletti, ma un male se l’è presa.
Così mi piace ricordarla nei suoi giorni bianchi, quando si sentiva rinascere, come diceva lei.
Anche adesso che sono grande, mi piace pensarla come quella neve, che ancora prima di aprire gli occhi, nel letto, lo sai già che c’è.
Lo sai già.
Sempre.

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15 commenti »

  1. Antonello,
    grazie per avermi letto.
    Hai ragione, me l’hanno già detto che uso troppi punti esclamativi e devo migliorare la tecnica. Sono consapevole, cercherò di fare tesoro di tutti i consigli dati.
    Al contrario tu scrivi molto bene: bellissima storia di famiglia, tristemente attuale. Molte donne non trovano il coraggio di separarsi da mariti violenti solo per il bene dei figli.
    Nel tuo racconto la poverina, già provata da una convivenza forzata, ci rimette la pelle a causa del brutto male, anche se non fumava e mangiava verdure.
    Complimenti e un sincero in bocca al lupo
    Rita G.
    PS. il tuo scritto è autobiografico?

  2. E’ una storia triste, bella, scritta molto bene. Complimenti.

  3. grazie per i commenti.
    Rita: non è una storia autobiografica. tutto inventato di sana pianta. ci sono, ovviamente, sparpagliati qua e là, frammenti di ricordi, come le battaglie con le palle di neve, ma rifratte nel prisma delle esigenze narrative. abitavo in centro, per esempio, e casa mia non aveva nessun cortile dove fare le battaglie.

    Silvia: grazie. ho appena letto il tuo racconto. mi è sembrato di notare una certa affinità tematica. o sbaglio?

  4. Volentieri ricambio la lettura. Ciò che mi colpisce in questo racconto non è tanto la figura materna, una donna che si sacrifica per il bene dei figli è un classico, ma è lo sguardo del ragazzino sul padre. C’è una distanza e un’ostilità nel descriverne i gesti e le azioni che dicono molto sul rapporto fra i due protagoniosti maschi. Lo ripeto: non mi pare prorio che sia la madre la protagonista, bensì il conflitto sordo e latente (ma non troppo) fra il ragazzino e il padre, questo mi sembra il centro della narrazione. Del padre si percepisce la violenza, la chiusura, l’incapacità di comunicare affetto, la lontananza. E’ come se il ragazzino fosse timoroso e succube, ma allo stesso tempo affascinato dalla figura paterna. Tutto raccontato con molto pudore dei sentimenti. In bocca al lupo. Ah… dimenticavo: la tua punteggiatura è perfetta.

  5. grazie maria per avermi letto e per il commento. sono d’accordo con te per quanto riguarda i personaggi maschi: il padre, narrativamente parlando, è l’antagonista. e soprattutto grazie per l’apprezzamento finale: ci tengo molto alla mia punteggiatura 🙂

  6. Ti ringrazio del commento.
    Ho subito cercato il tuo racconto e l’ho letto. Asciutto e commovente come una cosa sincera.

  7. Un quadro perfetto. I personaggi e il clima familiare disegnati con maestria. La tensione e la malinconia perfettamente palpabili. Sembra quasi di sentire le urla del padre e il suo sguardo severo. La madre impotente. Una storia triste ma terribilmente reale. Non riesci a non immedesimarti nella fuga dalla paura con quel bisogno di evasione che viene evocato dal senso di libertà della candida neve. Un racconto coinvolgente. Concordo con m.opici sullo sguardo del ragazzo per il padre, anche se a me colpisce molto questa osservazione da spettatore, quasi in terza persona dei litigi con la neve punto di fuga per estraniarsi da giorni di ordinaria violenza. In bocca al lupo.

  8. Una storia triste e coinvolgente.
    Può darsi che le battute sulla tastiera del computer erano accompagnate da ondate d’energia liberata dai ricordi?

    Grazie per il commento al mio racconto.

  9. grazie per i commenti!
    goulp, asciutta e sincera è davvero un gran complimento per me: mi sono sforzato di lavorare soprattutto su quei due aspetti.
    pier francesco, la tua analisi attenta ha colto perfettamente la chiave del racconto.
    hottario, non c’è di che! leggere il tuo racconto è stato un vero piacere.

  10. Il racconto è avvincente e disegna immagini ed emozioni. Leggerlo dà la sensazione di entrare nella storia di un film. Potrebbe trasformarsi in una sceneggiatura cinematografica. Ci avevi pensato? Grazie anche per il giudizio lusinghiero sull’Orologio Verde, luciana longobardi

  11. Bello!

  12. Antonello,
    un racconto molto ben scritto.

    Apprezzabilissimo inizio descrittivo, una visualizzazione d’impatto che conduce verso l’analessi che segue piano, prendendoti per mano e conducendoti attraverso quei sentieri ricoperti di neve che descrivi magistralmente.
    Chi non l’ha provato, quel desiderio di avvolgersi dentro le coperte come dentro a un caldo bozzolo mentre fuori nevica, è perché non ha mai visto la neve, credo.
    Una lunga sequenza riflessiva che conduce al finale tragico e tronco come l’infanzia del protagonista del tuo racconto.

    Su tutto – sul fracasso, sulle urla e le botte – prevale la percezione di levità: quella neve che scende, e tutto ricopre col suo manto, regalando un senso di stupore, di stordimento, quasi, al lettore. La purezza dell’elemento bianco e soffice evocato con maestria, riesce nell’impresa quasi impossibile di relegare a sottofondo le ‘vicende brutte’.

    La sensazione che mi arriva, forte, è quella di vicende raccontate da una voce attutita, come provenisse da sotto un cuscino.
    Così lo immagino, il tuo protagonista: un ragazzino con la testa ficcata sotto il cuscino per non sentire il fracasso di urla e botte; adulto con la testa sotto al cuscino per fuggire altrove con la mente.
    Per tornare a ‘quel’ tepore, a ‘quelle’ sensazioni.
    A ‘lei’ – la madre, protagonista indiscussa del tuo racconto – e ai suoi ‘giorni bianchi’.

    Quelli di quando ‘ancora prima di aprire gli occhi, lo sai già, che c’è – che ci sono – perché ci sono sempre’.
    La neve, ma anche la mamma.
    Anche quando non ci sono più.
    Ne l’una, né l’altra.

    Molto bello.
    Tutto.

    Nikki

  13. grazie luciana e alessandra per avermi letto e per il commento
    grazie a nikki per lo stesso motivo.
    una parola in più sul commento di nikki. sono rimasto letteralmente sbalordito dalla tua capacità di lettura, brillante e precisa, dalla facilità con cui il tuo sguardo è riuscito a scavare nella superficie delle parole. se io avessi dovuto commentare il mio racconto, probabilmente sarei stato meno bravo. mi hai regalato una soddisfazione enorme. grazie di cuore.

  14. Soprattutto una maturità di scrittura ammirevole. Anche se talvolta indulgi a qualche soluzione un pò manieristica.

  15. Scrivi bene e mi hai fatto emozionare. Donatella

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