Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2012 “La ragazza, il gatto ed un sorriso” di Luca Manfredini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

La pioggia cadeva obliqua, fredda, pungente e scavava una malinconia disadorna che si appiccicava alle case serrate l’una all’altra a formare una specie di anfiteatro. La ragazza provò a tirarsi su aggrappandosi alle sbarre di ferro incrostate di ruggine e scivolose di fango. Il carro si mosse impercettibilmente affondando le ruote di legno nella fanghiglia della piazza lastricata di pietre, terra e sterco. Morire sarebbe stato un bel modo per evitare l’inevitabile, per sfuggire agli untori folli della chiesa della santa inquisizione. Era maggio inoltrato ma faceva freddo e la ragazza tremava come le fronde tenere allo spirare delle brezze. Un colpo di tosse, poi di nuovo uno sforzo immenso per alzarsi sulle ginocchia e infilare la faccia incavata tra le sbarre. Le spalle urlarono dolore attraverso le ferite profonde dovute alla recente flagellazione e Aisha rimase senza fiato, torcendosi le mani per non urlare. Il volto si illuminò al passaggio della luna diafana tra due nuvole nere gonfie di pioggia. A dispetto della sofferenza il volto della ragazza era dolce e di una bellezza scolpita. I capelli corvini appena mossi ricadevano a ciocche lungo le spalle e sulle gote scarne. Lacrimavano fango e acqua impigliandosi nella bocca carnosa e sensuale. Forse proprio la bellezza avvenente e lo sguardo felino; forse quel taglio a mandorla e il colore verde intenso come un lago di montagna; forse quel senso di sfida alle convenzioni che si annidava nelle parole mai banali……Forse!!! Aveva sete Aisha ma rimase un attimo a pensare come in una sorta di limbo metafisico. Avrebbe voluto lasciarsi andare, morire, così senza preavviso, in quella notte senza stelle. Avrebbe evitato di bere il calice che gli uomini di Dio stavano preparando per lei da tempo. Ma qualcosa nella sua mente e nel suo cuore urlava forte; qualcosa che nei secoli ogni essere vivente ha imparato a riconoscere. Era lo spirito di sopravvivenza! Fece uscire dalla gabbia arrugginita la mano tremante, bianca e piegata a formare una piccola coppa. Pioveva ancora piuttosto forte e l’incavo si riempì. Aisha bevve avidamente quell’acqua dal sapore di ferro e dall’odore di fango e di sterco. Le ginocchia si piegarono di lato e la ragazza si trovò distesa, priva di forze e con il desiderio insopprimibile che la morte la rapisse nel sonno. Si addormentò e sognò di trovarsi in un campo di grano, dove spighe mature del colore dell’oro e dell’ocra si piegavano come danzatrici del ventre. Un campo punteggiato di papaveri ritmicamente pronti a genuflettersi nel parlare concitato del vento. Le braccia tese si lasciavano solleticare dalle punte radiose delle spighe. Gli occhi della ragazza erano chiusi ed ospitavano soltanto la delizia di quel momento. Poteva sentire l’odore dell’estate invadere i suoi sensi, violentarla fino nel più profondo e recondito respiro della sua anima. Poteva percepire il dono; la sensazione di essere tutt’una con l’universo, con l’essenza mirabile del creato. Il calore intenso del sole agostano, raggiante ed imbevuto del frinire delle cicale, era mitigato da un vento fresco che le carezzava il collo, le spalle e circuiva la sua persona in un dolce abbraccio. Fu il miagolio di un gatto, con la sua intermittenza lasciva a farle aprire gli occhi. Lui stava fermo e la fissava. Era seduto sulle zampe posteriori al limitare del grande campo di grano, con i suoi occhi bellissimi, di un vivido verde smeraldo. Gli occhi del gatto negli occhi di Aisha, il verde intenso dello sguardo animale a compenetrarsi con gli specchi umidi della ragazza. Vita liquida in un abbraccio dal sapore d’infinito. Il gatto nero, dal pelo folto e dalla coda arruffata non sembrava provare paura. Anzi il suo miagolio era un dolce richiamo, come a dirle che era tempo di svegliarsi, di lasciare il sogno e di tornare al dolore e alla paura. E così successe! Riaprì a fatica gli occhi sullo squallore che la circondava. Girò lo sguardo verso la grata arrugginita e lo vide. Gli occhi verdi smeraldo si persero nei suoi. Il gatto le miagolò con la sua sinuosità contagiosa come a dirle che lui era lì pronto a perdersi, a sciogliersi in quella malinconia senza fondo. Camminava elastico ed agile sulla sponda di legno che circondava il carro al limitare della grata e proprio sopra le ruote di legno. “Che ci fai qui?”, le sussurrò Aisha. Il gatto le rispose con un miagolio sordo. “Se ti trovano in compagnia di una strega ti uccideranno! Mio Dio forse lo sono davvero! Se un gatto nero si avvicina e mi fissa in questo modo; se non ha paura di me, di qualcuno che non ha mai visto né conosciuto, forse…..Forse tutto questo vuol dire che io sono reietta…. figlia del Dio del male, di Satana, Belzebù, del Diablo”. Poi rise! Non aveva mai creduto a queste credenze popolari, ma in un tempo oscuro come quello tutto ciò che era fatuo poteva assomigliare alla verità. Non si sceglie il tempo che Dio, il Caos o chissà chi, ci concedono di vivere. La sua condanna era stata nascere e crescere in un tempo dove pensare non le era permesso.  Adesso era lì, imprigionata nel carro di ferro, al centro di una piazza, esposta al pubblico dileggio, in attesa di essere immolata sul rogo. Il gatto si strusciò alle sbarre e lei allungò una mano ed iniziò ad accarezzarlo. Poi il torpore ebbe di nuovo il sopravvento e tornò nelle spire di Morfeo. La mano sinistra fuoriusciva da una sbarra ed il gatto vi si acciambellò sopra e condivise il sonno. Cominciava ad albeggiare quando i suoi occhi intuirono il mondo ovattato dalla nebbia, in una bruma piovigginosa e sonnolenta. Una donna affacciata alla finestra la fissò facendosi il segno della croce e sputando verso il basso per cacciare stregonerie e malocchio. Più distante a fianco dell’ultima casa fatiscente che delimitava il piccolo anfiteatro una vecchia con un dente solo stava governando i maiali. Lei la guardò e Aisha si strinse nel vestito logoro e sporco tremando come una stella cadente nella notte di San Lorenzo. La vecchia prese un pezzo di pane rancido dal trogolo dei maiali, si avvicinò al carro e glielo gettò fra le sbarre con disprezzo. La ragazza fu sul punto di afferrare quel cibo, tanta era la fame ma poi si ritrasse. La vecchia la fissò con odio e paura ed iniziò ad urlare. “Strega, sei una strega! Solo chi trae forza dal maligno può resistere giorni interi senza bere e mangiare!” Si toccò il crocefisso di ferro ed argento che ricadeva bronzeo sulla pelle raggrinzita e cotta dal sole di una vita. Gli urli richiamarono un pubblico variegato e pronto a farsi giustizia, a difendere la propria squallida pelle bruciandola sul rogo, giustiziandola ancor prima dell’arrivo dei cavalieri dell’inquisizione. Il gatto sopra il tetto miagolò con forza e Aisha lo guardò perdendosi negli occhi dolci e penetranti dell’animale. Per una frazione di secondo quel verso inconfondibile le restituì un minimo di consolazione, poi aspettò con gli occhi sbarrati la fine del suo viaggio. Gli uomini con le torce in mano erano già nei pressi del carro quando uno scalpitare di cavalli richiamò l’attenzione della piccola folla impazzita. Erano loro i custodi della verità vera, del delirio dell’odio. Gli inquisitori scesero da cavallo con i crocefissi d’oro che penzolavano sui paramenti sacri. Sul drappo rosso della stola l’effige di Lucio III colui che per primo aveva perseguitato streghe ed eretici in nome del buon Dio che tutto ama, tutto comprende e, nella carità, tutto perdona. Il vento adesso spazzava la piazza mentre turbini di pioggia e fango si alzavano nella bruma tra il fetore insopportabile dei porci. Il gatto sembrava invisibile agli occhi dei presenti ma non di Aisha che continuava a seguirlo mentre saltava da un tetto all’altro. “Donna!”, disse la voce profonda del cardinale, “Dio ti ha concesso un’altra notte per decidere se farti forte di Lui ed ammettere la tua colpa o rimanere nelle spire di Satana che usa ogni mezzo lecito e illecito per traviare il cuore e l’anima di coloro che smarriscono la fede nell’Onnipotente. Tu ammetti di aver trascinato l’uomo che ami nella fornicazione e nell’impudicizia? Ammetti di averlo avviato sulla strada della magia attraverso l’uso di erbe e spezie con cui hai confezionato pozioni medicamentose sconosciute a Dio e ai suoi occhi considerate immonde? La ragazza d’un tratto ritrovò forza e coraggio. Quella determinazione che solo la verità sa iniettare nell’animo umano e che è capace di trasformare i perdenti in donne ed uomini veri. Fissò con occhi di brace il suo interlocutore e l’uomo che l’aveva tradita per avere salva la vita. Del resto chi mai avrebbe incolpato un maschio per le sue squallide bugie avendo la possibilità di sfogare su una bella ragazza l’odio profondo che il diverso comunica a prescindere? “Se ho fornicato non mi pento perché era amore quello che ha spinto il mio corpo a darsi completamente ad un uomo che non lo meritava. Non c’è colpa nel sesso condiviso, che nasce dall’amore…..E’ solo la vostra grettezza e la paura con cui i Padri di una chiesa terrena e votata al potere hanno nutrito le anime congelate, che non vi fa andare oltre. Non ho mai esercitato magia, ma ho sempre creduto che ciò che Dio concede agli uomini non porta con sé il seme del male, non produce ferite ai nostri fratelli. Adesso potete bruciare il mio corpo, ma la mia anima volerà sulla Vostra insipienza. Così disse Aisha, mentre il Cardinale toccava con un desiderio quasi immondo la croce che penzolava sul suo petto. “Dio la perdoni”, urlò arringando la folla. “Satana sta parlando attraverso di lei, la sta manipolando. Parole immonde le sono uscite dalla bocca e vi ordino di non avvicinarvi per non rischiare di essere vittime pure voi del Diavolo che tutto osa per traviare gli uomini. La donna rimarrà su questa pubblica piazza fino al sorgere del sole di domani, quando verrà bruciata sul rogo così che l’espiazione sia totale e la sua anima si possa liberare dal male che la corrode. Preparate una pila di legna secche, di paglia e di arbusti e mettetela su un carro tenendola a riparo dalle intemperie. Domani mattina a mezzogiorno in punto, così come Dio affidò ai suoi dodici discepoli le chiavi della chiesa e la Buona Novella da regalare al mondo, la ragazza verrà bruciata ed io spargerò su di lei l’incenso perché il Padre Celeste ne abbia misericordia. Nessuno osi sostituirsi al conclave dell’inquisizione; sventura e castigo lo coglieranno. Se ne andarono pregustando il macabro finale, sentendosi ebbri di soddisfazione perché potevano decidere della vita e della morte e niente comunica un senso di potere tanto smisurato. Prima che la sera allungasse le ombre sinistre su quell’angolo di mondo gli abitanti del piccolo villaggio sfogarono sulla ragazza il loro odio e la loro paura, umiliandola in un escalation di violenza gratuita. La notte non rivelò né luna né stelle. Continuò la pioggia incessante, obliqua e irriverente. La ragazza era così debole che non riuscì nemmeno a tendere una mano fuori della gabbia per raccogliere nel palmo della stessa un po’ d’acqua. Aveva le labbra riarse, la gola secca come un coccio, il respiro corto. Ma il gatto non se n’era andato e appena il buio della notte allagò l’anfiteatro, lui miagolò al suo orecchio. Entrò dentro la gabbia con movenze flessuose e con la lingua ruvida bagnò le labbra della ragazza. Lo fece in maniera metodica uscendo e rientrando, lasciando che i suoi baffi ed il pelo nei pressi della bocca si zuppassero di pioggia. Riversava le gocce nella bocca semiaperta di Aisha,alleviando la sua smisurata sofferenza. La ragazza riuscì ad addormentarsi e sognò di trovarsi in un giardino delimitato da una splendida e fiorita siepe di gelsomino. Il profumo era inebriante e raccontava l’estate che stava per arrivare. Niente poteva essere più dolce di quella vista e di quel profumo. L’alba sbadigliò pigra fra nuvole basse e accompagnata dalla pioggia fine e ininterrotta. La piazza era un acquitrino fetido. Intorno c’era uno strano silenzio quasi si dovesse riservare un rispettoso commiato alla strega che dopo poche ore avrebbero visto bruciare sul rogo. La pila fu preparata nel centro della piazza poco prima che lo scalpitare dei cavalli annunciasse l’arrivo dei giustizieri crociati. La ragazza era ormai semi svenuta ma sentiva tutto ciò che succedeva intorno a lei. Fu presa da due energumeni con il volto coperto che il Cardinale benedì prima della macabra missione. Aisha fu legata al palo e le braccia si tesero fino allo spasimo provocandole un dolore lancinante. Fu in quel momento che il gatto nero le saltò in grembo aggrappandosi ai vestiti logori e come d’incantò ogni pena scomparve. Nessuno fece caso all’animale perché semplicemente non erano in grado di vederlo. Quando le fiamme avvolsero il suo corpo un sorriso radioso le comparve sul viso. Tutti lo videro ma lo interpretarono con il limite gretto della loro inettitudine. Il cardinale tuonò: “Eccolo il riso malefico del diavolo che si prende gioco di Dio e degli uomini. Da ora in poi questo luogo si chiamerà “Piazza del Demonio”. Ma gli uomini e le donne presenti rimasero scossi. Gli anni passarono, le generazioni si alternarono ed il racconto di quell’evento fu tramandato ai posteri. Molti provarono a disegnare quel sorriso che spuntava tra le lingue di fuoco ma quando il pennello si posava sul muro e terminava di delineare i contorni della mezzaluna che definisce lo sfiorire delle labbra sui denti avorio, l’espressione diventava viva, quasi fosse irrorata dal sangue, dai nervi, dai muscoli. Così, improvvisamente le labbra si curvavano a spegnere il sorriso e il misterioso ripetersi di quell’evento divenne il mistero dei misteri. Pittori tra i più famosi e capaci furono chiamati a cimentarsi nel difficile compito di far ridere la ragazza, ma inutilmente. Finché un giorno, in un caldo pomeriggio di inizio settembre, arrivò nel paese uno strano personaggio, uno di quelli a cui si affibbiano epiteti vari:, figlio della strada barbone, eremita, pellegrino, clandestino. L’uomo chiese chi fosse quella ragazza dallo sguardo triste disegnata sul muro della chiesetta al centro della piazza. Un uomo senza arte né parte con un bicchiere di vino e un sigaro appeso alle labbra raccontò al viandante il mistero legato alla ragazza che perdeva il sorriso. “Come hai detto che si chiama questo posto?” chiese il pellegrino. “Piazza del Demonio”, rispose l’uomo spiegando il legame che esisteva fra la ragazza ed il male assoluto rappresentato da Satana in persona. Raccontò della Santa Inquisizione, della punizione, della morte sul rogo, di quel sorriso radioso mentre le fiamme la avvolgevano bruciandola viva. “Come si chiamava?” chiese il pellegrino. “Aisha”, rispose l’uomo senza arte né parte. “E cosa sareste disposti ad offrirmi se io riuscissi a disegnare il volto radioso della ragazza che ride tra le fiamme?” “E’ impossibile! Decine di uomini di chiesa, pittori ed artisti si sono cimentati in questa difficile missione, fallendo ogni volta l’obiettivo”, rispose l’uomo. “Bene”, continuò ad insistere il viandante, “non credo che questo paese abbia niente da perdere?! Lasciatemi provare! Male che vada sarò l’ennesimo; un altro stupido illuso che fallisce nel presuntuoso tentativo di giocarsi la luna!” “Non sono io che decido!”, bofonchiò l’uomo. “Bene! Allora mi porti da chi comanda!” Il prete lo squadrò dalla testa ai piedi, gli fece decine di domande, ma poi si lasciò convincere perché quel tipo stravagante aveva una strana aurea. “Voglio carta bianca”, affermò l’uomo, “altrimenti non se ne fa niente!” “Va bene”, rispose il prete “e le prometto che avrà il suo paio di scarpe nuove e diverse porzioni di carne essiccata”. Il vagabondo si mise al lavoro, ma quando giunse alla fine la donna perse il sorriso. Né più né meno ciò che era successo a tutti gli altri pretendenti. Il tipo però non si perse d’animo e davanti ad una folla attenta e petulante staccò dal muro la mattonella che recava incisa la fatidica dicitura: “Piazza del Demonio”. Prese dallo strano borsone bisunto che portava con sé una mattonella nuova di zecca e vi incise una dicitura differente: “Piazza del sorriso”. Poi con fango e sterco la fissò al muro. Attese pochi secondi e la ragazza tramutò l’espressione triste e sconfitta in un sorriso radioso. Ululati di stupore ed ammirazione si sparsero nell’aria calda di un pomeriggio qualunque di inizio settembre. Il prete gli mise nel borsone la carne essiccata e gli dette il paio di scarpe nuove di zecca. “Come hai fatto?”, gli chiese. “Facile”, rispose il viandante, “ho anteposto l’amore alla paura, la bontà alla cattiveria del potere, la ragione all’idiozia”. Il prete fece silenzio e l’uomo si allontanò pian piano con le scarpe nuove ed il borsone bisunto. E c’è chi giura di averlo seguito e di averlo visto tramutarsi in un gatto nero, peloso, con la coda folta e gli occhi verdi. Ma questa forse è un’altra storia o semplicemente l’appendice logica di uno strano racconto.

 

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3 commenti »

  1. Questo racconto vuole comunicare il valore profondo della tolleranza. E’ solo attraverso lo strumento del dialogo e dell’accoglienza che le diversità sono ricchezza e non motivo di scontro. La chiesa ufficiale ha spesso dimenticato il Dio che non giudica e attraverso la paura del castigo ha controllato le coscienze. Tutto questo esercizio che purtroppo si è perpetrato fino ai nostri giorni non ha niente a che fare con Dio e con il suo messaggio. Un abbraccio a tutti quelli, credenti e non, che sanno ancora credere nell’amore e nella solidarietà.
    Un abbraccio a tutti quelli che mi leggeranno.

    LUCA MANFREDINI

  2. mi è piaciuto molto il modo in cui sei riuscito ad affrontare il tema della tolleranza…originale e deciso…hai un modo di scrivere molto descrittivo ke riesce a comunicare e a far vivere le sensazioni ke attraversano la storia…veramente bravo

  3. Non è da tutti ricreare così bene un posto “solo” con le parole. La scenografia fatta di lettere. Soprattutto se il posto lo si è visitato solo con l’immaginazione.
    Coinvolgente il tema trattato, una chiesa mai troppo redenta e che tanto potrebbe imparare.
    Mi piace il coraggio di utilizzare con sincerità parole come “tolleranza”, “solidarietà” e “amore”.
    Bravo, aspetto il libro!

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