Premio Racconti nella Rete “La vendemmia” di Carlo Corda
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Settembre era il mese più importante dell’anno perché era il tempo della vendemmia. Nei primi anni cinquanta del millenovecento, infatti, nelle famiglie contadine del Campidano di Cagliari nelle quali l’economia familiare era basata prevalentemente sulla viticoltura, ai primi di quel mese iniziavano in modo frenetico i preparativi affinchè tutto fosse pronto per accogliere i grappoli di uva matura, frutto delle fatiche di un anno. Anche in casa di Efisio, che allora era un ragazzo di meno di dieci anni, fervevano i preparativi. Suo padre, esperto contadino, stava provvedendo a revisionare e a rendere impermeabili le grandi botti di legno ben allineate dentro “su magasinu”( il Magazzeno). Aveva già ripulite e lavate le vasche di raccolta dell’uva, così come la macina e la pompa a mano con i suoi tubi, e aveva rimesso a nuovo “is crobis e is sacchittas (corbule e sacchette) che servivano per depositarvi i grappoli d’uva appena colti. Era già stato preso accordo con “su carradori”, cioè un proprietario di un carro a buoi che abitava in un paese dell’interno, che da anni veniva ingaggiato per provvedere al trasporto dell’uva dalla campagna al magazzeno. I vendemmiatori (binnennadores) venivano ugualmente ingaggiati nei giorni immediatamente precedenti all’inizio della vendemmia con un semplice accordo verbale. Quello che si sarebbe portato a casa avrebbe rappresentato l’unico reddito per la famiglia, e si viveva con la speranza che il raccolto fosse buono e abbondante. Sin dalla ultima settimana del mese di Agosto almeno ogni due giorni suo padre si recava in campagna con la sua bicicletta per controllare il grado di maturazione dell’uva. Al rientro a casa, rivolgendosi a sua moglie, la mamma di Efisio, quasi sempre diceva: “si su tempu si aggiudada adessiri una annada bona (se il tempo ci aiuta sarà una annata favorevole). Questa considerazione lui la faceva perché in quegli anni cinquanta le strade di campagna erano semplici sentieri sconnessi, polverosi in estate, disastrati dalla pioggia e dal fango in inverno. La sua paura, e in generale di tutti i contadini, consisteva nel fatto che, se avesse piovuto con intensità a Settembre, cioè nel periodo della vendemmia, sarebbe stato difficile provvedere alla raccolta dell’uva che, ormai matura, sarebbe rimasta danneggiata e sarebbe ammuffita. Con terrore veniva evocato dai contadini il pericolo della grandine. I giorni della vigilia venivano vissuti con ansia e speranza nella famiglia di Efisio. Nel giorno prestabilito la sveglia era fissata, per tutti, alle due del mattino. Su carradori aggiogava i buoi al carro, il padre di Efisio con l’aiuto dei binnennadores fissava “sa cubidina”(grande tino di legno a doghe) sopra il carro e, finalmente, si partiva per raggiungere la vigna che poteva essere a Modulu, in agro di Serdiana, o a Riu Sassu di Sestu, o a Giliacqua di Elmas. Nell’aria fresca della notte i buoi andavano di buona lena, trascinando il carro con il tino e con qualche passeggero sistemato all’interno. Efisio e i suoi fratelli amavano andare a piedi appresso al carro e camminavano con passo veloce senza perdere terreno. Questo li faceva sentire grandi, quasi come gli adulti. Quelle notti di Settembre erano bellissime. Su di loro il cielo era punteggiato di milioni di stelle, sapevano individuare la Via Lattea, il Grande Carro, il Piccolo Carro, la Stella Polare. Il silenzio della notte era animato dal canto dei grilli, nel buio si sentivano i latrati dei cani che provenivano dai casolari e dagli ovili sparsi nella campagna. Ascoltavano il verso stridulo di qualche rapace notturno, riconoscevano il verso stridulo della civetta e, talvolta, scorgevano volare vicino a loro il grande e bianco barbagianni. Dalla campagna arrivavano distintamente i suoni dei campanacci, i belati delle greggi di pecore al pascolo e i richiami dei pastori. Per Efisio era un viaggio fantastico e si divertiva ad alternare i tratti a piedi con più comodi e più lunghi tragitti sul carro, dentro il tino, da dove poteva osservare l’ambiente circostante immerso nella oscurità della notte. Alle prime luci dell’alba iniziava, quasi contemporaneamente da tutte le parti, il canto delle pernici e, subito dopo, degli altri uccelli. I due maestosi buoi dalle grandi corna trascinavano senza fatica il carro con i suoi passeggeri. “Su carradori” dava pochi e secchi comandi ai quali i due pazienti animali obbedivano docilmente, senza mai sbagliare percorso. C’era una intesa perfetta con la loro guida, al punto che sembrava che annuissero quando li chiamava per nome. “Generosu” e “Poderosu” erano i loro nomi, che rispecchiavano il carattere di ognuno di essi. Appena arrivati alla vigna i buoi venivano liberati dal giogo e assicurati a una staccionata, veniva loro somministrata una robusta razione di paglia e fave e avrebbero trascorso il tempo mangiando, ruminando e riposando. Il carro veniva fissato al suolo con due solidi puntelli e poteva iniziare, finalmente, il riempimento del grande tino dove i vendemmiatori vuotavano le corbule ripiene dei grappoli d’uva appena colti. Efisio correva con i fratelli in mezzo ai lunghi filari della vigna, coglievano qualche grappolo d’uva e addentavano gli acini turgidi di succo saporito. Quando era l’ora mangiavano con grande appetito il panino con formaggio o marmellata, e poi scorrazzavano nella grande distesa delle stoppie vicine alla ricerca di allodole, quaglie, pernici e lepri. Le ore trascorrevano veloci e, quando di primo pomeriggio il tino era colmo, i buoi venivano nuovamente aggiogati al carro e si ripartiva per il viaggio di ritorno. Il carico da trainare era veramente pesante e le due povere bestie, anche se robuste e maestose, dopo alcuni chilometri incominciavano a emettere dalla bocca tanta bava bianca e schiumosa che colava a terra in grosse chiazze. Nei tratti in salita la fatica doveva essere veramente notevole e i due buoi rallentavano il passo. In quel momento “su carradori” li aizzava con “su strumbulu”, che era una lunga pertica di castagno con in cima una piccola punta metallica e un sottile frustino di pelle, con il quale spronava le povere bestie, pungendo la parte alta della coscia. Guai se si fossero fermati, spiegò il conduttore, perché sarebbe stato impossibile ripartire da fermi nel tratto in salita, e perciò, anche se lentamente, bisognava mantenere il passo. Se si fossero fermati sarebbero dovuti tornare indietro, sino al tratto in pianura, per riprendere slancio. Aveva sicuramente ragione, ma Efisio faceva il tifo per i due buoi che schiumavano bava per la fatica e che, appena superato il culmine della salita e imboccata la discesa, senza arrestarsi defecavano abbondantemente e orinavano a lungo disegnando sul terreno una linea a curve lunga almeno dieci metri. Nel tardo pomeriggio si arrivava finalmente a casa e subito e subito iniziava la seconda parte della giornata di vendemmia. Il carro trainato dai buoi entrava nel cortile di casa, veniva fatto accostare all’ingresso del magazzeno e finalmente poteva iniziare lo scarico dell’uva. Uno dei lavoranti impugnava “su trabuzzu”(forcone con quattro punte metalliche), entrava nel tino, infilzava il cumulo di uva e riempiva le corbule che venivano subito scaricate dentro la macina che schiacciava i grappoli liberando il succo che veniva riversato nelle vasche come mosto. Dalle vasche, infine, veniva trasferito con una pompa a mano nelle grandi botti (“is cupponis”), dove il mosto sarebbe diventato vino. Si lavorava senza sosta sino a che l’ultimo grappolo non fosse stato macinato e il mosto messo in sicurezza e, alla fine, stanchi e soddisfatti, tutti si lavavano con l’acqua che veniva attinta dalla grande cisterna del cortile e, finalmente, si andava a cena. “Appu biu ca s’ascina è bella”(ho visto che l’uva è bella) esclamava con soddisfazione la mamma di Efisio. “Sana, bella e de gradu bonu”(Sana, bella e di buona gradazione) rispondeva il padre con espressione soddisfatta,”sperausu chi su tempu si aggiudidi”(speriamo che il tempo ci aiuti), concludeva. La cena veniva consumata con grande appetito e subito dopo si andava a dormire per essere ben riposati per il mattino dopo. Questa era la tipica giornata di vendemmia per la gente di campagna.
Fantastico, mi ha riportato indietro di 50 anni, nella persona di Efisio mi sono identificato io Carlo Argiolas di Monserrato!