Premio Racconti nella Rete 2012 “L’estremo bacio oltre i confini degli oceani” di Francesca Favorido
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012“Pèlle d’èbano, occhi di smeraldo…malesiana, forse, mio Capitano.”
“Forse…sicuramente clandestina. -Borbottò di rimando un uomo alto, dallo sguardo altero e la carnagione segnata dal sole e dal salmastro- Per mille galere Ombra, com’è stato possibile imbarcare una clandestina a bordo della mia nave? Da dove sbuca quella sgualdrina e quanti uomini ha soggiogato per restarsene rinchiusa chissà dove nella carena senza morire di fame? Sono diciasette giorni che non tocchiamo terra ed è sopravvissuta alla penuria di cibo e a ben due fortunali…qualche sciocco sognatore deve averla aiutata…chissà cosa lei gli ha promesso in cambio…”
“Si capitano, così è, non so come possa essere successo ma il responsabile o i responsabili saranno fustigati domattina all’alba davanti agli occhi di tutta la ciurma affinché il sangue della loro pellaccia funzioni da monito…” Mentre il secondo, Rodrigo, soprannominato Ombra per la letale furtività delle sue stilettate nel corpo a corpo, continuava il suo discorso concitato e le parole si rincorrevano senza sosta in un turbinio di scuse e progetti di vendetta contro gli uomini che avevano osato tanto, il Capitano continuava a scrutare quell’angolo del ponte, da cui la donna misteriosa era sbucata, con in corpo una crescente apprensione e un misto di desiderio. Nonostante l’apprezzabile età, egli si ritrovò ad accarezzare l’idea di quella sinuosa sirena giacente nuda sul proprio letto e quest’immagine, seppur appena abbozzata, si insinuò con prepotenza nei suoi pensieri e li stravolse contorcendoli e rigirandoli a proprio piacimento come fa l’uragano con le barchette dei pescatori: la sua mente fu così di colpo risvegliata dal torpore che da qualche giorno l’attanagliava e il suo corpo, ormai affaticato dalle tempeste, fu scosso da un sussulto per niente lieve che attraversò ogni fibra del suo essere. Mutando improvvisamente il tono della voce, incurante dei farfugliamenti che giungevano alle sue orecchie dalla voce di Ombra, il Capitano sussurrò: “Da tempo l’aspettavo ed ora ella è arrivata. Spero capirai presto come non si possa mancare all’incontro con una creatura di tale bellezza perciò, Rodrigo, amico mio, ti cedo il mio cappello: fanne buon uso per il tempo che lo terrai…” Si levò il tricorno e lo calcò nella testa del compagno che, incredulo, non proferì parola limitandosi a voltare la testa verso la donna sopraffatto da un’orgia di domande senza risposta: chi era costei che aveva fatto in modo che il suo Capitano cedesse il comando? Una strega maledetta dagli oscuri poteri, ne era certo, capace con uno sguardo di lanciare sortilegi. Ora il Capitano delirava parole senza senso e la sua volontà era totalmente sottomessa come quella di una marionetta guidata senza pietà da abili mani…Da quanto tempo poi la conosceva? Giacché aveva appena dichiarato di aspettarla e perciò doveva pur conoscerla, anche se suonava davvero strano come egli non l’avesse riconosciuta immediatamente… Quanto tempo ella intendeva fermarsi?
L’aver ottenuto il comando seppur per poco, egli pensava, lo riempiva d’orgoglio ma allo stesso tempo lo turbava: da giorni navigavano senza sosta e, a suo parere, senza meta, lontani centinaia di leghe dalla beata Tortuga e l’equipaggio, formato per lo più da luridi avanzi di galera, dava segni di scontentezza. Avrebbe saputo tener testa ai malumori di quell’ammasso di fetenti? Se essi si fossero accorti della donna e della momentanea assenza del Capitano ne avrebbero certamente approfittato come quella notte in cui morì Magdalena, l’amata figlia di lui….oh, che notte quella notte! Rodrigo la ricordava come fosse ieri e certo rimase impressa, indelebile, nella mente di molti: qualcuno giurò di aver visto una donna combattere leggiadra, ma letale, contro il manipolo di manigoldi che attentarono inutilmente alla vita del Capitano: i dieci morirono miseramente sovrastati dalla forza del Vescovo che, seppure ubriaco, seppe difendersi menando fendenti mortali mentre urlava come un ossesso frasi come: “Vieni a prendermi, vieni a prendermi se ci riesci! Non mi avrai mai, mai e poi mai!”
Il Vescovo, il temuto e rispettato Capitano della Sirena Nera -una nave, si diceva, che maledetta da secoli, domava le spumeggianti onde degli oceani guidata dai più temibili e feroci uomini che il genere umano avesse generato- se ne stava adesso lì, sotto l’albero maestro, in attesa, gli occhi totalmente assorti verso quella creatura oscura. Sembrava un bambino con lo sguardo trasognato che attende trepidante il suo balocco e non gli stacca gli occhi di dosso finché non lo ha in mano; eppure quello sguardo aveva fatto tremare centinaia di uomini: implacabile, inflessibile, reso ancor più spietato dallo sfregio sopra l’occhio destro, meritato trofeo dell’epico duello vittorioso che trentasette anni prima, poco più che ventenne, aveva avuto con l’Eretico, il più temuto, allora, dei potenti pirati del Golfo Persico, così chiamato per il suo odio verso la cattolicissima Spagna.
Quello stesso giorno alcuni saraceni, che insieme a lui guidavano l’ammutinamento della Sirena Nera e che divennero poi suoi fedeli compagni d’arme e d’avventura, coniarono il soprannome e con esso la leggenda. Nessuno sapeva il suo vero nome e fors’egli più non lo ricordava…qualcun altro sussurrava addirittura -ma era certamente una fantasticheria di poco conto- che egli lo avesse rinnegato e avesse assunto quello di Vescovo per sfuggire ad una donna che lo perseguitava chiedendo chissà quale vendetta.
Da Occidente il sole diventò di fuoco e si tuffò obbediente nel mare: l’acqua sembrò accogliere gaudente il suo calore che si fondeva schiumante, cedendo il passo alla notte. Le prime falene si rincorrevano nell’ennesimo gioco serale ed ella incedeva lentamente verso il Capitano angelica e perversa, esile e spietata, in una carambola di contrasti capace di togliere le facoltà di pensiero a qualsiasi mortale. Identica ad una dea, forse Venere in persona scesa dalla sua aurea reggia sull’Olimpo o Minerva giunta dai ridenti boschi della Macedonia con la sua faretra piena di frecce, la donna attraversava il ponte deserto eterea, quasi sfiorandone il pavimento ligneo.
D’un tratto ella scoccò un’occhiata al braccio destro del Capitano che, come stordito da un acre miasma, arrestò il vortice dei suoi pensieri e dei suoi ricordi e retrocedette di una spanna; poi, un ultimo sguardo al Vescovo, si ritirò in cambusa misurando i passi per non far rumore perché aveva appena intuito con sconcertante certezza che qualcosa di grandioso, e nel contempo di terribile, stava per compiersi ed egli ne era testimone.
Sul ponte di fatti la scena si compiva, ineluttabile: il Capitano, gli occhi color cenere impassibili e fieri, guardava la donna ed ella avanzava con l’eleganza e la maestosità di una tigre….avanzava ed egli, risoluto, ne sosteneva lo sguardo, nemmeno per un attimo lo abbassò mentre si domandava in cuor suo, trepido, se ella fosse reale e quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che l’aveva veduta e quanto fosse stato sciocco nel fuggire da lei…
Appena ne sentì il profumo, dolce come miele appena stillato ed inebriante come vino persiano, il Capitano allungò le braccia e, con una violenza che egli stesso non si aspettava, attirò a sé la donna prendendola per i fianchi. Ella sorrise ed in quel preciso istante il forte aliseo del nord est si accasciò improvviso, frenando l’impeto delle onde che si immobilizzarono in un sol colpo, le falene si posarono silenti sopra l’albero maestro, i gabbiani si eclissarono ingoiati dal cielo plumbeo, tutto rimase immobile nell’aria tremula del vespro come se il tempo avesse smesso di scorrere…dal fondo della carena anche la ciurma aveva arrestato la sua cantilena persa in un vuoto irreale.
Dalle rosee labbra turgide uscì una voce suadente: “Ho viaggiato molto per trovarti, sempre riuscivi a sfuggirmi ed io, docile, lo permettevo. Adesso però non è più il tempo di correre, potrai fermarti. Ho voluto aspettare per questo incontro affinché tu fossi pronto: ti ho illuso di poter scappare da me perché tu potessi desiderarmi un giorno, ti ho illuso di potermi sconfiggere: le tue innumerevoli vittorie sono vane consolazioni terrene ma ti hanno reso forte per me, perché tu potessi affrontarmi un giorno. Solo così avresti potuto amarmi con tutto te stesso…questo giorno è dunque arrivato e tu sei consapevole, sei pronto: lo sento dal tuo vigore che non cede, lo vedo dal tuo sguardo che non si piega e non rifugge il mio, lo percepisco dal tuo respiro che non si affanna.”
Con gli occhi lucenti il Capitano parlò e la sua voce, seppur serena, tradiva l’emozione: “Si, questo giorno è arrivato finalmente! Due anni sono ormai trascorsi da quando il mio cuore inquieto decise finalmente di rivolgere ogni suo sforzo per rivederti…Sempre i miei occhi scrutavano l’orizzonte in cerca di un barlume di speranza: immaginavo di vederti apparire crudele, come quel giorno a Samarcanda quando Durk Tre Dita diede a ferro e fuoco la città ed io, per somma vigliaccheria, lasciai a lui il bottino in virtù di un antico favore per poter prendere il largo e fuggire da te; mille volte ho sognato la tenerezza dei tuoi occhi quando, dolcissima, accompagnasti Magdalena nei suoi ultimi istanti…Oh, allora pensai scioccamente che fosse un giorno funesto e ancora una volta mi affrettai a sciogliere gli ormeggi! Ti maledissi poi gridando alle stelle e mi addormentai con una bottiglia di brandy giurando a me stesso che che avrei fatto il periplo della terra sette volte ma che mai, mai e poi mai ti avrei dato la soddisfazione di avermi.”
“Mio caro- disse lei- quella notte stessa venni da te per averti ma ascoltai il tuo dolore e decisi che avrei aspettato…da allora mi nascosi al tuo volto e ti lasciai libero di affrontare il mare con le sue tempeste…”
“Perchè hai tardato?” Implorò lui cedendo un poco l’abbraccio.
“Ssh…-replicò lei carezzandogli la guancia e procurandogli un brivido elettrico lungo la schiena-non pretendere di capire in un baleno la vita intera di un uomo. Ora sono qui, è questo ciò che conta. Un altro tempo si spalanca davanti a te, oltre i confini di questi oceani: il tempo della conoscenza piena dove tutti i tuoi dubbi saranno fugati ed ogni tuo giorno acquisterà una uova luce.”
Lui la baciò dolcemente e nell’estasi di quell’istante le falene ripresero il loro volo, i gabbiani in lontananza intonarono il loro lamento e la ciurma ricominciò a remare cantilenando e assecondando il ritrovato vento. Lei se ne andò come era arrivata lasciando il corpo esanime del Capitano sul ponte, il volto sereno con un sorriso appena abbozzato sulle labbra.
In cambusa Rodrigo aveva smesso di torturarsi con dubbi e paure: lo sguardo di quella donna lo aveva turbato ma lentamente, come un’amara medicina che sprigiona il suo effetto benefico, gli aveva infuso una serena determinazione. Si infilò il cappello del Capitano e si preparò al comando. L’avrebbe rivista ancora, ne era certo, ma non quella notte, non così presto…
Veramente bello! Complimenti!
Grazie per il tuo commento…incrocio le dita!