Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2012 “20 ottobre ’68” di Patrizia Puleio

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Avevamo giurato.

Non proprio col sangue, come vedevamo fare alla tele da indiani e cow-boys in bianco e nero, ma con formule e riti magici e tutto il corredo di gesti scaramantici, sputi e strabuzzare d’occhi. Avevamo giurato di essere sempre amici, sempre insieme contro le altre bande di quartiere, contro tutti i grandi naturalmente, contro il mondo intero, se occorreva.

Questo però era stato tanto tempo prima, era passato un anno intero, e poi un’estate lunga e caldissima in cui molti di noi erano stati via in vacanza. Adesso era autunno, non andavamo più come prima tutti insieme alla vecchia scuola elementare, ma c’eravamo sparpagliati in scuole medie diverse, e diversi erano, inevitabilmente, gli interessi e i nuovi amici.  Parecchi pomeriggi però, ci si ritrovava come prima in cortile, non solo a giocare, ma anche per parlare e sparlare, soprattutto di come crescevano e cambiavano le nostre amiche/nemiche dell’altro sesso.

Quel giorno “le femmine” erano tutte a casa della Lella che festeggiava il compleanno, e noi ci eravamo radunati sulla scaletta sopra il laboratorio del materassaio, e lì, al riparo da sguardi indiscreti, ci fumavamo le sigarette che avevo comprato di nascosto coi soldi della paghetta, quando dal cancello entrò una gazzella verde della polizia che si fermò davanti ai box. Subito si radunò una piccola folla: il portinaio, i tipografi, il calzolaio, altri inquilini curiosi. Tutti parlavano insieme e riuscimmo a fatica a capire cosa stava succedendo: il Bellotti non era tornato a casa la notte  dopo la solita partita a poker, la moglie non l’aveva trovato da nessuno dei soliti amici balordi e aveva chiamato la polizia.

Sembrava però che stavolta avesse perso forte, ed era spuntato qualcuno che l’aveva visto rientrare con la macchina nel cortile, intorno alle quattro. Solo che a casa non c’era mai arrivato.  “Ecco le chiavi!” gridò trafelato il geometra Righini, il vicino di casa del Bellotti, raggiungendo il gruppo davanti al box chiuso. Noi eravamo sempre acquattati sul ballatoio della scala, da dove godevamo di un’ottima visione di tutta la faccenda, quando, mentre tiravo una profonda boccata di fumo proibito, l’alta figura di mio padre si fermò davanti a noi. Mi sentii gelare e subito buttai la sigaretta, feci per aprire bocca ma lui alzò un dito, come a dire : zitto. “Andiamo” disse. “Tutti a casa, ragazzi”.

Lo seguii a testa bassa, rapidamente e in silenzio.  Il gruppo si sciolse e tutti presero la via della loro casa.

Stavamo entrando nel nostro portone quando arrivò di corsa con i suoi passetti svelti da gallina la moglie del Bellotti, spettinata e col grembiule, seguita a qualche metro dal più piccolo dei figli.

Si bloccò davanti alla saracinesca che stavano alzando, qualcuno cercò di tirarla indietro, qualcun’altro prese in braccio il bimbo, poi lei riuscì a farsi largo, entrò, guardò nella macchina.

Nessuno riusciva a parlare, improvvisamente non si sentì nessun rumore, non un cane che abbaiava, nessun suono dalle finestre aperte, niente radio né  televisioni.

C’era un silenzio assoluto, quando gridò.

Mi fermai con la mano sulla maniglia per un tempo che mi sembrò interminabile, come paralizzato. Poi, di colpo, smise.

Mio padre mi spinse dolcemente da dietro, cominciammo a salire le scale. “Dammi una sigaretta” mi disse. Gli allungai il pacchetto e l’accendino, ne tirò fuori una, l’accese, aspirò profondamente, mi ridiede il pacchetto che misi in tasca, imbarazzato.

Salimmo lentamente tutti i cinquantaquattro gradini.  Arrivati al nostro piano, schiacciò la cicca nel vaso del ficus che c’era sul ballatoio, spingendola bene fin dentro la terra.

Aprendo la porta disse: “Vai a lavarti la faccia.”    Solo allora mi accorsi delle lacrime che mi bagnavano le guance.

 

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