Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2012 “Conflitti di famiglia” di Gabriella Ferrari Curi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

L’ho ammazzata finalmente.

A essere onesti, da un punto di vista tecnico in parte ci si è messa la sorte o meglio la fortuna e in parte io ho fatto del mio, dandole una mano con la spinta decisiva. Mentre stava scendendo dal letto. Per un istante è rimasta incerta sulle gambe piegate. Poi le ginocchia hanno ceduto di colpo e si è schiantata contro l’angolo aguzzo di marmo del comodino, e infine, in un gran trambusto, a terra, dove è rimasta con la faccia schiacciata sul pavimento, mentre il corpo si assestava lentamente.

Ora è lì, distesa sullo scendiletto, come una balena spiaggiata. Il capo è girato in modo strano, all’indietro, e un occhio spalancato sta diventando tutto gonfio e sanguinolento – e il cielo sa come mi sia odiosa la vista del sangue.  Ha un’espressione molto incazzata. Nel silenzio che è seguito, quasi irreale, mi chino su di lei, per scrutarla piena di speranza.

Brutta era prima, ma anche da morta fa una pessima figura.

Provo un gran senso di liberazione. Sono tre anni che tento di farla fuori. Ho letto più gialli io di un maniaco seriale. Tutti libri comprati in librerie diverse e poi buttati via. Che non venisse fuori qualche sospetto che mi poteva, un domani, incastrare. Però sia in quelli inglesi all’Agatha Christie per intenderci, dove per uccidere devi avere a disposizione almeno tre maggiordomi e un castello, sia in quelli americani con le loro complicate fisime freudiane, non avevo mai trovato la ricetta giusta. I funghi velenosi? Secondo le statistiche sono i più usati dalle donne. Inoltre richiedono una competenza di anni di studio. Altri veleni? E’ proprio dai veleni che è più facile trovare il colpevole. Che poi, colpevole! Un benefattore, a togliersela dai piedi questa qui. Incidenti domestici? Quante volte le ho chiesto di insegnarmi a stirare le camicie – anche se ho una cameriera che in questo è bravissima – dopo aver scoperto un pezzetto del filo del ferro e rovesciato l’acqua dell’umidificatore sul pavimento, che facesse corto circuito! E col phon? Innumerevoli tentativi. Mi sono perfino offerta di lavarle la testa col mio shampoing speciale comprato a Papeete, nonostante lo schifo di quei suoi capelli radi e tinti male. Solo per l’intento di fargliela asciugare vicino agli schizzi della doccia. Posso dire che con l’elettricità, il mezzo più insospettabile, il più banale, ho provato di tutto. E invece oggi, guarda la fortuna, è scivolata su quel suo culone di lardo scendendo dal letto ed io, con mano santa e benedetta, ho aiutato la provvidenza. Ha fatto un fracasso infernale, che lo avranno sentito in tutto il palazzo.

Devo dare subito l’allarme senza perdere la testa. Per prima cosa vado in cucina e riempio un bicchiere d’acqua. Sarà il mio alibi, giusto per non aver seccature: nella camera, quando è successo il fattaccio, io non c’ero, mi ero allontanata per prenderle da bere.

Poi suono alla vicina. “Signora Erminia, venga, la prego… corra, la povera mamma è scivolata, non so come sia successo…  È lì per terra.” Ho gli occhi sbarrati, la voce ansimante e ancora il bicchiere d’acqua in mano per darmi un contegno.

La signora Erminia entra in casa caracollando sui suoi piedi piatti.  Intanto chiamo il 118 e dico, con voce rotta: ” Aiuto, mia suocera… È caduta… venite.” Così anche questo è fatto, caso mai che quella stronza distesa per terra, magari, come tutte le pellacce, non fosse morta completamente. Anche se ci giurerei.

Poi telefono a Giovanni e agitata gli urlo: “Tua mamma è caduta …è lì per terra, mi sembra che non stia bene…“ e giù un bel singhiozzo e senza chiudere la comunicazione, sempre con il mio bicchiere d’acqua in mano che è il mio alibi, piagnucolo forte: “Signora Erminia, secondo lei respira ancora? Spero solo che sia stordita dal colpo che ha preso… dio, ma qui c’è sangue… Aiuto sto per svenire! signora Erminia mi aiuti…“

La signora Erminia mi toglie di mano il bicchiere e mi fa accomodare su una sedia in cucina, così non vedo quel monte di cattiveria steso per terra. Che poi non mi fa neanche impressione – io che sono così schizzinosa che neanche al cinema posso vedere gli incidenti – tanto è la gioia che sia morta o per lo meno spero, dio ti prego, fa che non resusciti, che quella è capace di tutto.

E’arrivata l’ambulanza. Io sto a capo chino rannicchiata sulla sedia e faccio finta di non sentire quello che mi dicono, solo ogni tanto mando un piccolo lamento che scioglierebbe qualsiasi cuore.

La signora Erminia capisce che tocca a lei e prende in mano la situazione.

“Povera signora Rosa, è caduta, forse un giramento di testa… la nuora era in cucina per prenderle un bicchiere d’acqua che è ancora là sul tavolo e ha sentito il tonfo. Quando l’ha vista per terra si è spaventata… E’ così giovane… poi io, con tutta l’esperienza che ho dopo la malattia di mio marito che praticamente è diventato come un vegetale…” Incomincia a parlare come un fiume. Sento però chiaramente uno dei paramedici che dice: “E morta, non c’è più niente da fare.“

Altro che, se c’è da fare, penso io, c’è da fare un bel balletto di gioia, tuu… tuu… tuu… la vecchiaccia non c’è più…

“Cosa dice, signora? Si sente bene?” Un paramedico premuroso è chino su di me. Che scema, devo stare attenta, tramuto subito la canzoncina in una specie di singulto. E alzo su di lui occhi innocenti.

Arriva Giovanni stralunato, con i capelli arruffati e il cappotto allacciato tutto storto. Quando vede la madre per terra, incastrata tra il letto e la finestra, manda un urlo terribile e poi: “Mamma, mammina, che ti è successo, mammina bella.”

Mammina bella! per quel quintale informe è veramente esagerato, credo che tutti nella stanza lo guardino scettici.

Finalmente è venuto anche il medico, ha firmato la costatazione di morte e se la sono portata via, chiusa in un sacco uguale a quello della spazzatura. Giovanni è seduto sulla sponda del letto, ancora disfatto, con le coperte che pendono per terra, dove la morta le ha trascinate nella caduta.

Mi avvicino e lo abbraccio, mentre piange come un bambino. “Caro, mi dispiace, lascia veramente un gran vuoto,” e guardo ispirata il letto che mantiene l’impronta smisurata del suo corpo. “E’ stato un attimo, il tempo di prendere un bicchiere d’acqua di là… intanto le dicevo, mamma, aspetti se si vuole alzare … e invece un gran tonfo… “

Finalmente libera, penso, finalmente posso godermi il mio matrimonio, mio marito la mia casa, finalmente potrò avere i figli che desidero, che, con quella megera da combattere, me ne era passata la voglia.

Simpatica non mi è mai stata, dal primo incontro, con il suo viso grasso e gli occhietti porcini che mi hanno scrutato malevoli. Avevo osato sposare suo figlio, il suo unico figlio. Volevo occupare il suo posto. Me lo aveva detto in tono di sfida fin dal principio: “Non potrai portarmelo via. Io sono la mamma. Lui mi appartiene. Ci hanno tentato altre prima di te, più vecchie e più scaltre.”

Ha incominciato una guerra tanto cattiva quanto logorante. Ogni giorno alla13,30 precise telefonava. E quando una volta ho tentato di far la furba, facendo rispondere dalla domestica che il dottore era a tavola, aveva subito ordinato inviperita: ”Vada a dire al dottore che al telefono c’è la mamma e di sbrigarsi.” Così mangiavamo sempre tutto scotto e freddo. Due volte al giorno, in cui i miei sforzi culinari venivano vanificati, nonostante la mia buona volontà di imparare a far da mangiare. Durante la settimana mi piombava in casa inaspettata. E quando le dicevo, che stavo uscendo, avevo un impegno, rispondeva: “Davanti alla mamma il resto può aspettare.” Il peggio è venuto quando si è fatta consegnare da Giovanni le chiavi di casa “…non si sa mai se dovesse succedere qualcosa io posso intervenire subito.”  Entrava e usciva da padrona e, quando rimaneva sola, spostava i mobili e mi toglieva dagli armadi i vestiti, con la scusa di fare spazio a quelli del figlio. Se mi lamentavo con Giovanni, lui, intenerito, mi zittiva: “ Poverina, ha sempre vissuto per me e adesso è il suo modo di rendersi ancora utile.”

Negli ultimi tempi tentava anche di passare la notte da noi. Si addormentava davanti alla televisione e poi diceva querula: ”Oh! Non ho proprio voglia di affrontare il freddo per tornare a casa, potrei fermarmi nella stanza degli ospiti.” Ed io, magari a mezzanotte, anche se ero stanca: “… vengo anch’io con voi, per farvi compagnia, che non ho ancora sonno.” Un inferno quotidiano. La domenica, quando stavamo un po’ più a letto a farci qualche coccola, telefonava che stava male e aveva bisogno subito delle sue pastiglie per la pressione, forse Giovanni poteva urgentemente passare da lei… Non parliamo di quando andavamo nella casa di campagna, ci entrava in camera urlando: ”Pigroni, pigroni, cosa fate ancora a letto? su in piedi che fuori c’è il sole!” e magari noi eravamo lì a fare l’amore e poi Giovanni si bloccava per giorni.

Così ho pensato: questa deve sparire dalla mia vita, ho diritto di avere la mia e mio marito e la mia casa tutta per me. E ho incominciato a leggere libri gialli di nascosto.

C’è stato il funerale. Prima di chiudere la cassa Giovanni le ha fatto un sacco di fotografie a destra, a sinistra, di fronte, e lei lì immobile, con la sua faccia arcigna, che sembrava perfino che in ventiquattro ore i baffi le fossero cresciuti più folti.

Tieni duro, mi sono detta. Poi chi muore giace e chi vive si dà pace.

Ora va molto meglio. A tavola dopo i primi giorni d’inevitabili tristezze mangiamo sereni. Io mi sbizzarrisco in piattini succulenti.

Questa sera Giovanni è arrivato con un grosso pacco e con solennità l’ha aperto. Dentro, riccamente incorniciato, c’è il ritratto di mammina, quasi a grandezza naturale, con la sua espressione cattiva, come quando era già nella cassa da morto. Gli occhi, nella fotografia, sono aperti, sbarrati.

 

 

“Gli occhi”, ho sussurrato in preda al terrore che fosse resuscitata, ”come hai fatto?”

“Un intervento in digitale molto sofisticato. Guarda com’è bella, sembra viva! E poi con lo sguardo ti segue, come se non ti volesse lasciare andare. Lo vado ad appendere in camera di fronte al letto. Così è la prima cosa che vediamo alla mattina e l’ultima la sera. E’ come se mammina fosse sempre con noi”.

D’improvviso, con disperazione, capisco: ho sposato un cretino. Ricco, bello, simpatico. Ma irrimediabilmente cretino.

Domani vado in libreria a comperare qualche libro giallo.

 

 

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16 commenti »

  1. Ah ah ah…
    Perfido al punto giusto.
    E poi anche con una morale di fondo.
    Mai sposare un cretino mammone.
    Nessuno riesce a cambiare un cretino.
    Ciao.

  2. Divertente e molto azzeccato il finale. Siamo stufe di cretini, se poi è pure mammone….Complimenti!

  3. Grazie Patrizia. Ma come ho già scritto a Maria è necessario oltre al proprio compagno , controllare anche la famiglia che a volte è la parte più ostica della relazione. E comunque si ha sempre un po’ di difficoltà di ammettere di aver sposato un cretino.

  4. La tua protagonista ha tutta la mia solidarietà e le posso prestare un po’ di libri gialli, se vuoi. Brava mi piace molto.Veramente esilarante, forse spesso tragicamente vero. Di cretini ce ne stanno tanti. In bocca al lupo!

  5. Fantastico. Molro, molto, molto godibile la trama, briosa la scrittura, azzeccatissima la chiusa. Brava!…

  6. Grazie a Pier Francesco per i libri gialli che vuoi prestarmi. Il problema è poi non prenderci gusto. Gabriella

  7. Anche a te Nikki grazie per il tuo commento. Mi lusinghi. Un abbraccio Gabriella

  8. fwrd Nikki: anche tu non scherzi quando devi uccidere. Ho letto il tuo racconto. mi era sfuggito G

  9. Complimenti. Ironico, scorrevole e divertente!

  10. Immedesimarsi sempre, identificarsi mai… specie quando i personaggi che scaturiscono dalle nostre penne assomigliano ai tuoi, e anche ai miei!…. 😉
    Un abbraccio e auguri, Nikki

  11. Gabriella sei fantastica! Meriti l’Oscar per questo racconto. La narrazione è schietta, precisa, artistica direi, quando parli della “balena spiaggiata”.
    Hai delineato “con gusto” una situazione talmente comune, che troverai consensi da tutte le donne del mondo costrette a viverla.
    Purtroppo molti matrimoni falliscono a causa di suocere invadenti, possessive e insopportabili che influenzano negativamente i figli e creano contrasti insanabili in famiglia.
    Sposare un deficiente mammone, poi, è quanto di più triste e umiliante possa esistere…meglio liberarsene subito…con qualsiasi mezzo! Ahahah!
    Ti faccio un mondo di complimenti.
    Rita G.

  12. Cara Rita,
    bisognerebbe proporre agli autori della demenziale trasmissione TV ” Mammoni” che vince veramente non chi si guadagna il figlio-pretendente ( che poi vorrei vedere cosa se ne fa) ma chi riesce a uccidere la suocera in modo penalmente non perseguibile. Sai quante adesioni avrebbero!. Scherzo , naturalmente, perchè per fortuna qualche suocera intelligente c’è. L’importante è riuscire a scovarla prima di sposarne il figlio.
    Bello invece il tuo ritratto della nonna, pieno di tenerzza e comprensione. Brava. Gabriella

  13. Racconto divertente e scritto molto bene.
    La chiusa è il frutto della tragicomica consapevolezza della protagonista: il vero problema non era tanto la suocera quanto il marito.
    La nuora merita effettivamente solidarietà e simpatia, perchè è vero, l’uomo plagiato e succube della propria madre è davvero insopportabile e patetico.
    Ad essere sincero fino in fondo, però, devo anche dire che dietro ogni suocera “si nasconde” una donna.
    Con quel senso di onnipotenza e di competizione, tipico di buona parte delle donne.
    Ad ogni modo, da appassionato di gialli, fa piacere che in questo caso siano stati utilizzati per una giusta causa.

  14. Caro Gioacchino,
    ti ringrazio del tuo commento al mio racconto. Ti invidio un po’ per la tua capacità di scrivere gialli. A me piacerebbe e mi piace anche leggerne , ma non sono capace di trovare delle architetture che stiano in piedi.Ciao Gabriella

  15. Perfido,allegro,acuto. Che giustamente non ha paura del “genere”,né di situazioni non originalissime ma sempre suscettibili di variazioni gustose.

  16. Caro carlo, Grazie.Le suocere fanno aguzzare l’ingegno. Gabriella

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