Premio Racconti nella Rete 2012 “Il giorno prima di San Valentino” di Lorenzo Oggero
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Non stavi parlando con Dino, dice Angelica.
No, stavo proprio parlando con Dino, rispondo.
Non l’hai salutato nello stesso modo di stasera, insiste.
Può darsi che non l’abbia salutato nello stesso modo di stasera, ribatto, ma stavo parlando con lui.
Ormai ti conosco, il tono della tua voce cambia.
Le dieci di sera, pressappoco: subito dopo la telefonata con Dino, è iniziata la scena di gelosia.
La tua è una fissazione, si tratta di supposizioni, fantasie, il tuo sta diventando un comportamento patologico, le ripeti.
Due sere prima, rientrando mentre eri al telefono con Dino, si era convinta che non stessi parlando con lui. Niente da fare.
Hai cercato di ricordare la telefonata di due sere fa. Stavi parlando con Dino, l’avevi chiamato per chiedergli informazioni su un medicinale.
Le hai esposto con precisione alcuni dettagli della telefonata.
Hai tentato di convincerla, con la disponibilità che si usa con i bambini. La stessa che reclamano i vecchi. Hai fatto appello a tutta la tua pazienza. Ognuno ha un limite. Un limite fisiologico. Se lo superi, ti spezzi la schiena.
Dopo venti minuti di recriminazioni e accuse – la stessa ossessività di un disco in vinile che s’incanta -, una luce improvvisa: violenta, cattiva, inesorabile.
Non ci sarebbe mai stata la possibilità di una vita serena con lei, neppure dopo cent’anni. Neppure il diritto di essere creduto su una telefonata autentica: la gelosia infondata è meno difendibile di quella fondata.
Ti sei ricordato di quanto era accaduto la notte prima. Lei si era svegliata d’improvviso gridando, terrorizzata. A volte le succede. L’hai abbracciata, l’hai rassicurata. Non ti sei spaventato, forse perché le sue grida ti sono arrivate smorzate, attenuate dai tappi di cera che usi quando dormite assieme. Se ti sogna con un viso deformato, forse il suo inconscio ti crede un mostro.
Aveva la tua faccia, però indiavolata. Un arlecchino cattivo, aveva aggiunto Angelica.
Si era riaddormentata tra le tue braccia.
Mai più sogni angelici con lei, ora ti è chiaro.
Quante volte hai giocato con il suo nome.
Un nome bellissimo, originale, le avevi detto appena conosciuta. Ti ricordava la protagonista dell’Orlando Furioso.
Lei, abituata con ogni probabilità a commenti di questo tipo, ti aveva sorriso.
Avevi pensato: che fortuna, una bocca così! Una bocca piena di sole e di sassi. Avevi anche scherzato, dicendole che gli angeli spesso devono combattere contro il diavolo. Le avevi chiesto se l’avesse mai fatto.
L’avevi sorpresa, avevi conquistato la sua attenzione.
È cominciata così, in gran segreto, la vostra storia: allora pensavi fosse un angelo. Un angelo sfortunato.
Sono le dieci e mezzo. Sei seduto davanti alla televisione, guardi senza vedere. Lei ha finito di sparecchiare, è arrivata in soggiorno, si è seduta sul divano di fianco a te.
È stato allora che hai pensato che non era possibile continuare così, che dovevate trovare il coraggio di prendervi una pausa.
Dobbiamo riflettere, le hai detto, magari provare per un po’ a non frequentarci.
Le hai detto anche che l’avresti accompagnata a casa sua. Era una decisione già discussa più volte.
Ogni tanto diceva qualcosa a proposito delle tue responsabilità, di una tua vecchia relazione chiusa proprio il giorno di San Valentino di molti anni prima, ti ha accusato in modo confuso.
Siete andati, ciascuno con la propria auto, a casa sua.
L’hai accompagnata in ascensore portandole la borsa, ti sei fermato davanti alla sua porta.
Lei ti ha guardato con gli occhi umidi: così ti sono sembrati.
Angelo, addio, ti ha detto aprendo la porta.
Adesso non drammatizzare.
Non drammatizzo. Ti ho solo detto addio.
Addio, le hai risposto entrando in ascensore.
Sei andato via, in giro per la città deserta e gelata. Il termometro dell’auto segnava meno due.
Sei tornato in cortile, hai parcheggiato l’auto, sei salito in casa e ti sei detto: questa può essere davvero la fine della storia.
Già altre volte c’erano stati litigi, sfuriate, accuse. Oggi ti è sembrato diverso. Quando le hai chiesto cosa pensasse davvero della telefonata, e lei ti ha risposto: è possibile che fosse Dino, hai sentito la pesantezza di una mezza concessione. Una specie di regalo di convenienza.
La fiducia tra voi si sta squagliando, hai pensato, come la neve che da anni stenta a imbiancare le terre della tua infanzia.
Ti sei ricordato di quando, un pomeriggio di Natale, l’avevi portata laggiù, sulle tue colline ricoperte da un manto di neve amica.
Amici come noi non saremo mai, solo complici, ti aveva detto Angelica sorridendo.
Hai rivisto la distesa bianca, hai ripensato all’amore fatto in auto, come i ragazzi che non hanno i soldi per un motel.
M1, il vostro motel. Con la nitidezza di una decalcomania ti sono riapparse le volte che ci siete andati.
Prendevate l’autostrada, una decina di chilometri, poi la grande insegna piazzata in alto, lunga quanto la larghezza delle quattro corsie: quarantacinquesimo parallelo, siete a metà strada tra il Polo Nord e l’Equatore.
Hai risentito la domanda che tante volte le hai rivolto: Angelica, passiamo il quarantacinquesimo?
Qualche volta anche lei ci scherzava sopra: cambiamo emisfero? diceva, oppure: mondo nuovo?
Allusioni alla nuova vita che si prospettava per voi.
Tornato a casa, hai preso un foglio e hai cominciato a scrivere.
Di Antonia, chissà perché. Una vecchia storia.
Le tue storie d’amore viaggiano su un crinale scivoloso, basta un piccolo episodio, un particolare, un’inezia, per farle precipitare nel cassetto delle storie di ieri, delle storie sbagliate.
Anche se non è vero. Non è mai tutto sbagliato.
Quando una storia finisce, tu provi la tristezza per quello che non è diventata, il rammarico per ciò che di meraviglioso avrebbe potuto essere. Questa è la verità.
Alla mia età, vivo ancora nell’illusione di incontrare la donna perfetta. Ripeto sempre questo gioco. Il gioco finisce, arriva la delusione. E mi sorprendo.
Episodi simili, già accaduti in passato, si erano trasformati in qualcosa di diverso, magari anche in un litigio, però di quelli per finta, di quelli che aprono la strada al ritrovamento, alla riappacificazione. L’amore improvviso e violento, fatto ovunque. Il temporale che lascia l’aria trasparente.
Emerge dai cassetti della memoria uno dei ricordi più belli di Angelica: quando la sera, girando con un’amica intorno alla tua casa, ti salutava da lontano e cercava i muretti, le panchine, i gradini per salirci e poterti vedere meglio. Per farsi vedere, con la camicetta bianca, primo dono.
Ti salutava con gioia. L’entusiasmo di una bambina. Una dea fanciulla.
Quando hai rivisto queste immagini, ti ha preso nostalgia della sua bellezza, la sua spontaneità, il suo sorriso pulito.
La nostalgia per un amore che avrebbe potuto essere perfetto.
La nostalgia per un futuro che non ci sarà.
Solo due ore prima le avevi promesso di portarla a cena in un ristorante di mare e d’amare, come ti piaceva dirle, per festeggiare San Valentino.
Lei aveva sorriso contenta.
Sei sicuro: domani non andrete da nessuna parte.
La vostra storia sta marcando la fine.
Le parole non parlano più.
La seduzione è affondata nelle sabbie mobili della quotidianità: non ti interessa piacerle, ormai. Non ti commuovono il suo sguardo azzurro, il suo sorriso infantile, i suoi silenzi innamorati. Nemmeno la sua bellezza inalterata. Inalterata?
Mentre stai scrivendo, senti il profumo della torta che aveva messo in forno, con la marmellata di arance amare, la tua preferita.
È un odore buono. Di quelli che scaldano il cuore e fanno calda la casa.
Pensi che la cucina di un uomo solo abbia odori diversi da quelli che si mescolano nelle cucine delle coppie.
In questa casa, chissà per quanto, non ci saranno torte, né di arance amare, né di altri frutti: ci sarà odore di prosciutto crudo, mozzarella, pomodori.
La tua cena singolare.
La torta l’ha fatta per te, ma tu sei ancora a dieta.
Forse domani gliela porti.