Premio Racconti nella Rete 2012 “Redenzione” di Maria Teresa Barone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Ho tre aculei piantati nella gola, tre aghi spaventosi.
Non so, non ricordo il momento in cui sono venuti fuori così, duri… pungenti. VOMITAVO. MANGIAVO POCO. Non ricordo se vomitavo perché avevo tre spine in gola o mi erano spuntate perché vomitavo; so solo che inizialmente si presentarono come due grossi antiestetici peli dal bulbo scuro, orribile. Li martoriavo con una comune pinzetta; successivamente passai, non ricordo in quale periodo, dalla PINZA alla TENAGLIA: mi accorsi che più cercavo di sradicarli e più ramificavano radici robuste e profonde. I miei allarmati mi trascinarono da uno specialista all’altro: risultati inesistenti. Unica terapia possibile? L’UNIVERSITA’. Così s’erano fissati: Vedrai, studiando scompariranno”. In verità s’ingrassavano ad ogni mio passo, si cibavano della mia magrezza ed erano sempre più lucidi e neri.
Ecco! Stamattina li misuro: dieci centimetri col metro da sarta. Ho sonno ma decido di alzarmi in fretta; il collo mi brucia ma è normale nelle mie condizioni. Mi sporgo dal davanzale della finestra direttamente dal letto, mi godo i particolari: l’incastro fra le tegole dei tetti, le linee, le combinazioni tra architettura e vegetazione, alberi secolari. Penso: il disegno geometrico non è il mio forte! Decido di fotografare con l’obiettivo interiore ma è inutile, non riesco a mettere a fuoco. Alzo lo sguardo e sorrido alle case cadenti attaccate alla collina come cuccioli ai capezzoli della madre. Abbasso la testa e un pensiero orribile bussa insistentemente: case screpolate, malinconiche, s’accartocciano su se stesse in preda a convulsioni epilettiche; il colle, infastidito, se le scrolla di dosso come un cane puzzolente con le pulci.
BRUCIORE. PRURITO. L’APPUNTAMENTO: sono in ritardo. Mi vesto in tutta fretta indossando ciò che più è gradito ai miei aculei. Niente specchio. Si parte. Percorro velocemente c.so Garibaldi, sbuco in c.so Umberto e automaticamente taglio, esplodendo in via Grimaldi: vengo travolta da braccia, gambe, sguardi, parole, puzza di sudore. Turisti e ancora turisti. Mio DIO! Si pungono! Va a finire che questi mi finiscono addosso e si feriscono. E chi li paga? Io non sono assicurata! Li osservo: si aggirano inebetiti per le vie del centro carico di storia, arte e sapori caratteristici. Il loro stupore è tale da arrestare le gocce salate che si fanno strada fra le rughe della fronte e delle guance. Mi carico d’entusiasmo nel vedere balconi, cornicioni, statue, pezzi di muro, riflessi nei loro occhi. E’ un attimo. Continuo veloce cercando di evitarli e uno esclama : Che strano parcing! Lo ignoro. Finalmente via Marchesa Tedeschi, finalmente la chiesa di Santa Maria: prendo a sinistra e m’imbroglio nella matassa di vicoli e viuzze. Buco e sbuco e finalmente la trovo:La VIA REDENTORE, n.37. Il mio appuntamento è salvo. Mi addentro nel tugurio sniffando zuppe rancide e umidità. Il sorriso che io e la vecchia ci scambiamo vale più di mille formule affettuose di saluto.
“Come va stamattina ?” “Meglio, insomma… il dolore c’è sempre”
“Oggi si cambia!” La fisso: è immobile, sprofondata nella sua vecchia poltrona, intrappolata in tre giacche di lana, come fosse al polo Nord. Non distoglie gli occhi dal suo lavoro con la lana.
“Vuoi pane, cioccolato, marmellata fatta in casa ?”
“No, grazie. Questi aghi… sai…” “Succo d’arancia senza zucchero?”
“ Vabbè… non dovrebbe darmi fastidio”.
Provo piacere nel bere. Per la prima volta il mio stomaco, tenuto spesso in cattività, non si ribella alla libertà concessa e sorride, anzi ride proprio. La vecchia stramba dalle trecce giovani continua a lavorare impassibile all’uncinetto, un uncino grosso, di ferro, rosso, e lana gialla, soffice allo sguardo. L’ambiente circostante sembra possedere una memoria millenaria: oggetti di ogni forma, materiale, esistenti e inesistenti, lucidi, senza un granello di malinconia.
“Vuoi provare? Prendi l’uncinetto,lì” “No. Senti… potresti passarmi di nuovo il cotone imbevuto d’olio sacro, santo, insomma quello che è… e cominciare a togliermi i vermi dallo stomaco e… e i massaggi, con quella polvere… magica…” “Il borotalco?” “Borotalco? Eh… sì, i massaggi col borotalco per sciogliere le mie paure” “No! Oggi prova questo. Vedrai il risultato!” “No! Non ci siamo. Tu sei una guaritrice e devi… le tue mani mi servono” “Leviamoli questi spuntoni!”
“Non me ne frega niente degli spuntoni! Voglio guarire dentro! Prendi l’olio o vado via?” “Guardati allo specchio!”
A trovarlo lo specchio in quel parapiglia! Eccolo! Seppellito da cianfrusaglie lanose.
“E Allora?” “Quanto sono lunghi ?” “Dieci centimetri!” “E sangue?”
“All’inizio forse. Ora niente.” “Non dire cretinate. Potrebbero crescere crescere e crescere, come il naso di Pinocchio” “Palle!”
“A proposito, con la lana verde ci sta l’uncinetto rosso. Acchiappa!”
M’incanto: le sue dita compiono inaudite acrobazie. Intreccio di fili, intrighi internazionali dai risvolti inaspettati.
Mi butto, nuoto tra i fili di lana. Sto per annegare. Le dita nevrotiche cercano di tenermi a galla.
“E’ semplice. La catenella. Segui il ritmo!”
Annaspo. Grovigli, solo orribili grovigli.
“Prima o poi viene. E’ questione di pratica, di addestrare le dita.”
Niente! Senza speranza.
“La catenella è la fase iniziale, non deve mai essere fitta. Allenta la presa. Non tirare il filo, lascialo respirare. Ricomincia. Il filo. Aggancialo e trascinalo fuori dall’anello e così… ricomincia… vai BRAVA!
Controlla la posizione del filo. Controlla il filo mentre passa dalla mano all’uncinetto! Ah!”
“Certo. Non è semplice e…” “Non parlare. LAVORA!”
Dopo ore di duro lavoro i miei malanni sembrano essere assorbiti dalla lana. Gli aculei si confondono all’uncinetto e no mi danno fastidio: IMPOSSIBILE MA VERO! Sento il sano bisogno d’andare al gabinetto. E’ tanto che… Mi trattengo, il momento è CATARTICO: catenella, lana, morbidezza, sapori, parole e ancora catenella di parole:
“Fu nell’estate del ’33. Noi bambini eravamo troppo piccoli per pensare alla miseria. Correvamo senza sosta. Sorpassavamo le colonne del tramonto. Un vociare da diavoli per le vie dell’Inferno. Il fiato si spaccava dentro il petto. Quella volta la vecchia strega mi prese per un braccio e mi trascinò via. Aveva un brutto naso, storto, e due occhi velenosi. Avevo paura. Era pazza! Una notte di luna piena m’informò i miei poteri saranno tuoi. Piansi. Mi lasciò andare. Poi ho capito. Ho letto tanto. Non mi sono lasciata convincere dalle stupidaggini. Non ho fatto tanta scuola ma ho letto le cose della scienza. Certe cretinate le ho modificate… però… se arrivano gli ignoranti… gli do ‘ste cose da ignoranti! Stupidaggini! Poi arrivi tu. Che ti do? Le cose da ignoranti? A me mi pare peccato! Cerco di darti le cose che ho letto e girato a modo mio. Alla fine… Mi capisci? Certe storie sono companatico. Niente sostanza! Capisci!”
“Sì, sì. Ma il potere nelle mani, alla fine… C’è?”
“E come no ? Guarda che meraviglia!”
Intanto le mie dita svolazzano impazzite tra la lana e non riesco a fermarmi. Quante ore sono passate? Sono sfinita, eccitata, ho tanta fame!
“Fermati!” “Non ci penso neanche!” “Le colonne del tramonto, le hai superate!” “No! Non mi fermo! Ho paura che poi ricomincia tutto.”
“Ma prima o poi ti dovrai fermare?” “No! Dovessi impazzire tra la lana!”
“Buona notte! Io mi vado a coricare” “Buona notte!”
Sto a lavorare tutta la notte… E poi? Con tutti questi poteri me ne vado direttamente in PARADISO.