Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2012 “Ombre” di Agi Murad

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Il pescatore aveva fatto il suo racconto tutto di un fiato e ora pareva esausto. Tremava.

Il vecchio lo aveva ascoltato, apparentemente distratto, seguendolo attraverso un suo oscuro percorso mentale. – Sì, è vero – disse sovrapensiero. – Ci sono delle notti in cui tutto appare diverso: i sentieri, le rocce, il mare. Ti aspetti l’imprevisto, l’imprevedibile. Ogni movimento, ogni suono è carico di paura; anche le cose più familiari non hanno l’aspetto solito; persino il proprio respiro sembra venire da presenze estranee e minacciose.

Si mise a scrutare il pescatore, che non era poi tanto giovane come gli era parso a prima vista, e questi, sentendosi osservato, sbottò: – Ho vissuto abbastanza anch’io, e oggi è una di quelle notti che dici tu.

Il vento di libeccio era girato a ponente. Le nubi basse e grigie che non avevano smesso di incombere tutto il giorno, si erano spostate, diradandosi, verso levante, lasciando solo qualche strascico qua e là per il cielo ormai stellato. La luna, sorta da poco, era velata da un alone livido e mandava scialbi riflessi inquietanti attraverso i brandelli delle ultime nuvole.

– Come ti chiami? – chiese il vecchio.

– Fosco. Fosco Tenibrosu. E aggiunse: – Ieri era luna piena, oggi è calante, anche se quasi non si vede la differenza.

Il vecchio lo guardò con curiosità allarmata… – E ora che intenzioni hai?

– Aspetto l’alba. Dormirò sulla spiaggia.

– Puoi aspettarla al coperto. Vieni da me. Ho poco da offrirti, ma puoi trovare un tetto per ripararti e un bicchiere di vino.

– No, preferisco aspettare qui. La barca è tutto quello che ho, devo ritrovarla al più presto, non può essere scomparsa così.

– Come vuoi! – acconsentì il vecchio, scuotendo la testa. – In altri tempi ti avrei fatto compagnia, ma ora le mie ossa non reggono l’umidità della notte – brontolò, incamminandosi, tra sinistri presentimenti, verso i muri a secco del suo rifugio.

Entrò nel casotto e – cosa insolita per le sue abitudini – chiuse dietro di sé la porta col paletto.

* * *

Il vecchio non era tipo da farsi intimorire da una burrasca, per quanto grosso fosse il mare e il vento soffiasse veramente forte. Si era imbarcato sin da ragazzo e aveva passato gran parte della sua vita sulle navi di mezzo mondo, con l’esperienza anche di due naufràgi – nell’ultimo, col rimorchiatore Nikolaj  Ciker, quasi ci rimaneva. Poi se n’era andato a fare il guardiano agli Sperduti, un gruppo di isolotti al largo, battuti dalle onde e meta di relitti; e quando il faro fu chiuso, era tornato sulla terraferma, rifugiandosi in quel tratto di costa, altrettanto ventosa e deserta, da dove poteva scorgere, nei giorni di grande visibilità, la sagoma della torretta in disuso. Insomma, di tempeste ne aveva vissuto tante.

E non era neanche tipo da agitarsi facilmente per i racconti di un pescatore, anche se gli erano parsi piuttosto strani. Certo la storia era sconcertante, ma non impossibile, e forse aveva capito male, o quello aveva ingigantito i fatti per la paura… Non gli sembrava uno che raccontasse balle, ma non si sa mai, e comunque ci stava che avesse un po’ esagerato.

Si era buttato sulla branda, coprendosi con la coperta fino alla testa, ma non riusciva a addormentarsi. Si rigirava su un fianco e sull’altro, mentre si affollavano immagini e ricordi confusi. Avvertiva un’inconsueta agitazione, sentiva strisciare dentro di sé un’inquietudine senza motivo.

Era una tempesta spaventosa, ma non peggio del solito. In quel fragore infernale riconosceva l’urlo del ponente, il boato della risacca, il gemito dei cespugli. Capiva che era la furia del vento a far cigolare la porta, come se qualcuno cercasse di entrare forzandola; e che anche lo sconquasso di scricchiolii e scoppi sulla testa non erano raffiche di mitraglia, ma l’accanimento della burrasca sul tetto sconnesso. Sapeva benissimo che presto la calma sarebbe tornata, e che il grido tagliente della civetta era lo stesso delle altre notti…

– Ne avrò visto io di buriane come questa! – si diceva.

Ma non riusciva proprio a prender sonno.

Alla fine si alzò. La temperatura si era abbassata. Rabbrividì.

Ripensò al racconto del pescatore. C’era qualcosa che non tornava.

* * *

Il sonno gli era passato del tutto. Non aveva voglia di tornare a letto. Decise di uscire, di andare sulla riva a vedere cosa faceva Nicolaj.

Il mare doveva essersi un po’ calmato, ma ancora rimbombava cupo contro gli scogli. La luna, oscurata da una nuvola, indugiava a riapparire. Nel buio non si distingueva niente, ma non serviva la luce per riconoscere il sentiero e le sagome nere delle rocce. Arrivò sulla spiaggia. Non c’era nessuno.

– Nicolaj dove sei?

Non ci fu risposta.

– Nicolaj! – chiamò di nuovo.

Silenzio.

Il vecchio ebbe un gesto di disappunto. Il fremito d’ali di un uccello notturno lo sfiorò, alzandosi di traverso alla sua sinistra. Istintivamente si portò la mano sulla faccia come per proteggersi gli occhi. – Datti un calmata! – pensò. – Sei troppo nervoso stanotte.

Nel buio impenetrabile qualcosa si muoveva sulla sabbia. – C’è qualcuno? – gridò. Ma era solo il ritirarsi dell’onda che serpeggiava sulla battigia.

Avrebbe voluto ridere del suo stupido allarmismo, ma era tutto preso dai segni premonitori di un’ansia che non riusciva a impedire né a controllare. Quella sensazione di male incombente – così la chiamava – non era la prima volta che la provava. Da quando era scampato al naufragio, si ripresentava, a intervalli quasi regolari, seguita da brevi crisi che superava rapidamente e senza conseguenze. Negli ultimi anni gli succedeva di rado, ma durava di più e gli effetti erano violenti. Il suo fisico era ancora forte – almeno così gli sembrava – ma il sistema nervoso, invecchiando, si era indebolito, e reagiva sempre peggio. Ora il battito del cuore già si incupiva, si ottenebrava la vista, si ombrava il carattere; temeva sgraditi pensieri, visioni funeste; sentiva che stava per diventare angosciato, infermo.

Sperando di arrivare in tempo, ritornò sui suoi passi involti nell’oscurità, e riuscì a ritrovare il rifugio.

Lodò la luce artificiale. Mise sul fuoco il bricco del caffè. Bevette senza accorgersene. Si addormentò seduto.

* * *

– Dietro di noi – recitava Nicolaj – era scomparso l’isolotto della Paura e avevamo attraversato di sbieco la rada di Agincourt, puntando dritto al canale di Ninfea.

– Doppiate le secche esterne, arrivammo al largo di Cala d’Inferno. Là, nonostante il tempo minaccioso, abbiamo calato le reti. Non si potrebbe, passano le navi di linea, ma non a quell’ora. Provavamo in lungo e in largo, quando uno strappo ha fatto impennare la prua della barca. La rete restava come inchiodata al fondo, e la barca, ancorata dalla rete, non andava né avanti né indietro; poi ha iniziato a girare in tondo, mentre si è messo vento, ha preso a cadere un piovischio pungente e si sono sollevate onde nere. Improvvisamente è arrivata la tempesta. Il cielo si è aperto con un lampo biforcuto fino al mare. L’acqua di sopra e di sotto si mischiava, mugghiando; l’albero e il sartiame cigolavano, ululavano; ondate enormi trabordavano, scatenate, coprendoci del tutto, per poi riportarci su in alto spaventosamente, facendoci rollare e beccheggiare da sputare i polmoni.

Nicolaj, che non sembrava Nicolaj, riprese fiato e continuò:

– La barca sparì sotto i miei piedi. Io mi sono trovato in mare – un mare scuro come il piombo, dai riflessi di medusa – da solo. Ho nuotato fino a terra, non era lontana, e sono salito su uno scoglio. Intanto le onde si erano acquetate, e si era fermato anche il vento. C’era un silenzio spettrale. La luna, ingigantita, pareva quasi che fondesse. Allora successe una cosa che non mi aspettavo e che non avevo mai visto.

Nicolaj parlava ormai senza voce. Le sue parole si traducevano direttamente in immagini: – La rete era venuta a galla, e vibrava, sempre più forte. A un certo punto si è mossa e ha incominciato a scorrere come una corrente viva, gonfia, densa e scintillante di tinte argentate, finché – tanto era il pesce catturato – per il troppo peso si sfondò.

Dalle maglie esplose uscivano serrani e pagelli… salpe e mignatte… scorfani e granchi… totani e polpi… Occhi sbalorditi galleggiavano tutt’intorno.

* * *

Il vecchio lanciò un urlo. Non era quello il racconto del pescatore! Che altro? Si stropicciò gli occhi, si alzò, e avvolto nella coperta uscì.

La luce lunare aveva squarciato l’oscurità della notte, scagliando bagliori sull’alto delle rocce e tracciando profili mostruosi. Le ombre erano uscite dalle tenebre, ripopolando la macchia di presenze latenti. Spumeggiavano di nuovo le onde, erano riapparsi gli scheletri rugginosi degli argani, battuti da raffiche rudi che proseguivano la loro corsa vertiginosa verso le pareti scabre delle cave abbandonate. Al chiarore lunare gli ammassi di scorie di granito lungo la riva sembravano ossa sparse, il casotto era un carapace rovesciato.

Arrivò al mare, senza sapere come e quando.

La spiaggia era coperta di piume nere. Un cormorano fuggiva verso il largo.

– Senzazione di male incombente! – sospirò il vecchio. – Si fa presto a dire.

 

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