Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2012 “Partita IVA con incroci” di Massimo Boschetti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Uscito dal bar, dopo una serata passata a  giocare a carte e a bere vino,  indugiava spesso agli incroci. Una donna, quella giusta, doveva pur esserci nelle possibili strade che portavano a casa. Indovinare la strada non era cosa semplice: la luce di un bar ancora aperto o un gatto che ammiccava nel buio, correndo attraversava la strada e sembrava indicare, i possibili indizi. Per scrupolo era bene ogni tanto tornare al punto di partenza  e tentare una strada diversa. Di tempo ce n’era. Consumati gli incroci e le strade, quando ormai si vedeva la casa in fondo al viale e la speranza sembrava perduta, il gioco mutava. Allora, fra le donne che aveva conosciuto, sceglieva quella che ricordava più dolce, la meglio per passarci la notte. Di certo si era ricordata di lui  e nella casa, che condivideva con altri, aveva trovato qualcuno ancora sveglio e lo aspettava.  Apriva la porta, era buio e non c’era nessuno.

Tutto questo succedeva quando Marco aveva venti anni. Ora di anni ne aveva  trentacinque e non tornava a casa dal bar, ma dal corso di formazione ‘Nuove figure professionali e gestione della partita IVA’.  Eppure  la tentazione di indugiare agli incroci e di ripetere il gioco era grande.

Per tornare a casa farò un giro lungo,  pensò mentre in un bar del centro beveva il primo bicchiere di vino. Vivo ancora in una casa  con altri, ho una camera con uso cucina come venti anni fa, ma ho fatto dei passi avanti: arrivato al portone di casa so di certo che non c’è nessuna di sopra ad aspettarmi nel letto.

“Mi sono scaltrito” disse alla cassiera mentre pagava e questa non capì, ma sorrise lo stesso.

Dopo un bel po’ di bar e un bel po’ di  vino fu invaso da una grande stanchezza. Ho perso la fede, pensò, non incontrerò nessuna per passarci la notte. Meglio smetterla qui.

Una nebbia fredda e spessa era scesa su Milano, copriva tutte le cose e infreddoliva le ossa,  e Marco non sapeva nemmeno   dove lo avesse condotto quel suo etilico girovagare. Ora telefono ad un taxi e mi faccio portare a casa, pensò.

Camminò fino all’angolo del caseggiato per leggere la targa con il nome della via.  Perse alcuni minuti a capire in quale tasca del giaccone fosse finito il cellulare che, una volta trovato, risultò scarico.  Prese allora la direzione che sembrava portare verso il centro, ma, quando vide un distributore automatico di sigarette, pensò di tendere un’imboscata al primo che arrivava e di farsi portare a casa. ‘Imboscata’ fu la parola che usò, perché ormai parlava da solo. Pensava di sdraiarsi davanti al distributore e di fare il morto. Immaginava che qualcuno si sarebbe avvicinato per vedere come stava e che allora lui con un balzo lo avrebbe preso per un braccio e gli avrebbe detto ‘portami a casa altrimenti ti massacro’.

Nonostante fosse ubriaco si rese conto che non era in grado di massacrare nessuno e soprattutto  non voleva massacrare nessuno. Pensò allora di nascondersi nell’ombra. Qualcuno arriverà e scenderà dalla macchina per prendere le sigarette e allora io come un fulmine aprirò la portiera posteriore e mi sdraierò sul sedile e quando l’altro risalirà gli dirò di portarmi a casa. Dirò ‘ti scongiuro, sto male portami a casa’ e poi … si vedrà.

Passati pochi minuti arrivò una Smart da dove scese una donna che si diresse al distributore sbattendo la portiera. Non essendoci una portiera posteriore, Marco si sedette a fianco del guidatore e attese. La donna imprecava, forse non c’erano le sigarette che voleva o forse non trovava la moneta. Diede anche dei calci al distributore, poi, sempre  imprecando tornò alla macchina e si sedette.

Non lo vide nemmeno. Mise in moto la macchina e partì.

“Scusa” disse Marco “ma….”

Non riuscì ad andare avanti perché lei frenò bruscamente  e Marco sbatté  con violenza la testa sul parabrezza.

L’automobile si era fermata un poco di traverso. La donna era scesa e ora gli parlava da fuori.

“Chi cazzo sei ? Ti denuncio” gridava. Poi vedendo che lui non reagiva, limitandosi a dire ‘che botta, che botta’, si avvicinò e gli chiese se si era fatto male.

“No. Voglio solo che qualcuno mi porti  a casa perché non sto bene e mi sono perso”.

“Tutti  io li devo trovare” disse la donna, sempre da fuori, accendendosi una sigaretta. “E così ti sei perso povero bimbo. E la mamma? Dove è la tua mammina?”

“Dai! Per favore portami  a casa” disse Marco, con una smorfia che voleva essere un sorriso.

La donna risalì in macchina.

“Se mi tocchi” disse “io… t’ammazzo.”

Fu allora che lui si accorse che  lei aveva una  benda nera sull’occhio, una benda da pirata.

“L’hai vista la benda?” disse ancora la donna. “Una con la benda sull’occhio  ti ammazza davvero se fai il cretino”.

Marco disse il nome della  strada dove abitava e l’automobile partì. Fu alla seconda curva, presa in modo un po’ spavaldo, che vomitò sul tappetino.

“Cristo santo! Non è possibile! Apri la portiera e butta fuori quello schifo” disse la donna, accostando la macchina al bordo della strada.

E così Marco scese e continuando a ripetere ‘scusami, scusami’ cercava di togliere il vomito dal tappetino con un  fazzoletto di carta. Poi arrotolò il tappetino e risalì in macchina.

“Quando arriviamo a casa  saliamo un momento  e te lo lavo sotto la doccia” disse, mentre con un altro fazzoletto  cercava di togliere alcuni schizzi violacei dal cruscotto.

“Come ti chiami?” chiese Marco, dopo che la macchina fu ripartita.

“Marisa” rispose lei “e apri il finestrino che c’e un odore tremendo”.

Poi non parlarono più fino a quando raggiunsero la casa.

“Questa è la mia camera” disse Marco. “La cucina e il bagno sono in comune. Vuoi un tè, un caffé, un bicchier d’acqua?”

Lei scosse la testa.

“Allora vado a lavare il tappetino. Anzi, faccio una doccia  anch’io insieme al tappetino. Così mi passa la sbronza” disse Marco, uscendo dalla stanza.

Marisa si guardò intorno: un letto ad una piazza e mezza, un armadio a tre ante, una scrivania con carte sparse e un computer, una poltrona Frau, una libreria, una vetrinetta; niente calzini e altri indumenti sparsi, come nelle case degli altri maschi che aveva conosciuto. Ma furono alcuni particolari a incuriosirla, soprattutto  l’alto comodino in noce con ripiano di marmo su cui troneggiava un’insolita lampada: un Pierrot in bronzo, tristemente appoggiato a un lampione, e  la vetrinetta che conteneva una serie di bicchierini da rosolio,   tazzine di porcellana con motivi floreali, e infine  un grande quadro raffigurante un tavolino a tre gambe sul cui ripiano poggiavano, sopra un centrino di pizzo, un vaso di marmo nero, da cui debordavano rose carnose di un rosso acceso.

Marisa si rannicchiò  sulla poltrona appoggiando la testa sul bracciolo. Se  avessi il mio occhio, pensò. Poi sorrise, sentendosi ridicola per la sua voglia di sedurre  a prescindere dall’oggetto in questione, che in questo caso era un maschio ubriaco con schizzi di vomito sulle scarpe e forse gay, per via del Pierrot, dei bicchierini da rosolio e del quadro con le rose, oltre che per l’assenza dei calzini sporchi.

Marco fece una lunga doccia, pulì il tappetino e ricomparve in camera con indosso un accappatoio di spugna. Marisa si era addormentata. Si era tolta l’impermeabile e indossava una tuta da ginnastica aderente. Marco la osservò con attenzione e la trovò bella.  La  coprì con una coperta, come aveva visto fare in un film, poi si infilò nel letto e si addormentò chiedendosi se fosse lei la donna per cui tante volte  aveva indugiato agli incroci.

Quando  si svegliò, Marisa era  seduta sulla poltrona. Era andata in bagno e si era lavata e pettinata con cura. Aveva trovato un paio di occhiali da sole sulla scrivania,  si era tolta  la benda da pirata e ora lo guardava pensando che era carino, quando non era ubriaco.

“Buongiorno. Tutto bene? Dove è il tappetino, che voglio  andare a casa?” disse.

“Facciamo colazione insieme. Che fretta hai.?” Rispose Marco.

E così Marisa decise di restare. “Solo a fare colazione”  precisò.

“La benda  fa un po’ impressione, vero?” disse, mentre bevevano il caffé. “Ho perso l’occhio da ragazzina, in un incidente. Di solito porto una protesi, insomma un occhio di vetro, e non si nota, ma quello stronzo dell’Armando, che è quello con cui vivo, me l’ha nascosta, perché è andato via due giorni per lavoro e dice che quando non c’è gli faccio le corna. Così, mentre me l’ero tolta, perché ogni tanto bisogna fare della manutenzione, l’ha presa e l’ha nascosta. Ma adesso vado a casa, mi prendo mille e cinquecento euro dal cassetto dove tiene i soldi per pagare i rumeni in nero e me ne vado. Perché mi ha stancato con la sua gelosia  e così i conti della sua impresina del cazzo, perché lui ha un’impresina edile del cazzo, se li fa fare da un’altra. Io me vado bello. Così gli scrivo e mi prendo i suoi pidocchiosi soldi per la protesi, non una lira di più.”

“Mi sembra una buona idea” disse Marco. Rimase un poco in silenzio poi aggiunse: “è una bella giornata, in due ore potremmo essere in Liguria, a prendere  il sole e annusare l’aria di mare e poi… poi, chi lo sa?”

“Va bene” disse Marisa, titubante ed eccitata allo stesso tempo, “però prima devo passare da casa a prendere i soldi e i miei vestiti. Così impara, lo stronzo.”

In mezz’ora raggiunsero la casa  di Marisa. Lei prese i soldi da un cassetto e poi disse a Marco di aspettare qualche minuto, perché doveva a fare la valigia. Fu così che Marco guardò dentro il cassetto, vide che c’erano circa diecimila euro, li prese e se li mise in tasca.

Erano in tangenziale quando il cellulare di Marisa squillò.

“Era mia madre” disse, sbuffando, dopo la  breve telefonata “dice che mia sorella Anna è da lei e fa la pazza. L’Anna è andata fuori di testa, perché suo marito, il Giorgio, l’ha lasciata.  Ha fatto tanto di quel piangere anche perché il Giorgio si è messo con una  che è più brutta di lei  e questo la fa diventare matta. Mia madre vuole che passi da casa per calmarla. Vieni anche tu, in mezz’ora mi libero e poi andiamo al mare. Gli dico che sei un amico dell’Armando e che andiamo a raggiungerlo dove lavora.  Non posso mica dirgli che lo mollo, adesso, che ha già quella matta di mia sorella in casa”.

Marisa si era rabbuiata e guidava in silenzio. Anche Marco, particolarmente ciarliero sino  alla telefonata, ora si  chiedeva perché avesse preso quei soldi. Trovò una risposta nel fatto che era stufo di non averne mai, di vivere in un appartamento con altri, in una stanza arredata con i mobili della nonna morta, di sua madre che gli chiedeva ‘quando prendi gli altri mobili della nonna che stanno ad impolverarsi nel box? quando metti su casa davvero? perché per ora non ti prendi anche le tazze da te di porcellana Seltmann Weiden, così hai il servizio completo, e poi l’altro quadro, quello con le barche,  che tanto i quadri non ne occupano di spazio?’. E poi era anche stufo di fermarsi davanti al menu dei ristoranti e di fare le somme con la calcolatrice del cellulare, di non avere più una macchina da quando quella che aveva ereditato da suo padre si era definitivamente fermata, di avere sul computer la pianta del trilocale che sognava e che  arredava con mobili suoi: la sua casa virtuale.

Tutto vero, ma  ora che l’euforia dell’avventura si era come sospesa, se non spenta, era perplesso e confuso. Di certo c’era il fatto  che i soldi da quel cassetto ormai  li aveva presi e che indietro non sarebbe tornato. Una volta al mare, proporrò a Marisa di continuare il viaggio, pensava, di fare una settimana alla grande, una settimana da ricchi: bei ristoranti, begli alberghi. E si chiedeva se fosse lei la donna degli incroci.

La mamma di Marisa abitava in una villetta in periferia. Stava stirando nella cucina al piano terra. Marisa andò al primo piano dove c’era Anna che faceva la matta e Marco rimase giù con la madre.

“Sono cose che capitano” disse Marco a disagio per il silenzio, interrotto a tratti dagli sbuffi del ferro da stiro e dai singhiozzi di Anna provenienti da sopra.

“Secondo me” disse la madre sempre stirando “la colpa è della televisione. Vede, quando l’Anna si alza la mattina, siccome ha sulla nuca  un vortice di capelli, gli si forma una specie di piccola chierica e da questa i capelli partono belli diritti come i raggi di sole dietro la testa del  Redentore. Allora  al Giorgio, quando vede nella pubblicità le donne che si svegliano gia bellissime la mattina presto per mangiare i biscotti, gli prende una rabbia verso l’Anna  per via della chierica e di tutto il resto. Gli prende un’invidia e insieme una tristezza come lui fosse il più disgraziato della Terra. Queste donne della pubblicità dei biscotti fanno impazzire gli uomini sposati, che poi se ne vanno con la prima che capita.”

Disse  anche e che gli uomini, soprattutto quando guardano la televisione mentre mangiano o subito dopo mangiato, diventano come dei bambini e si bevono tutto quello che vedono e  che alle donne questo non succede perché, siccome in casa devono fare tutto loro, sono meno intontite.

Marco disse “ Eh già .” E poi rimase in silenzio.

“Io non so come farà il Giorgio senza mia figlia” disse ancora la mamma di Marisa  “che gli tiene tutti i conti del bar. Perché vede io ho due figlie col pallino dei conti  – sono nate così, chissà perché, la genetica dicono – e sono precise. Perché il Giorgio se ne frega abbastanza, ma l’altro, il suo amico, l’Armando, per i soldi lui diventa cattivo, lo saprà bene anche lei che è andato fino a Crotone perché un tipo che lavorava con lui gli doveva duecento euro. E poi la Marisa sa anche come calmarlo, perché, lo saprà lei meglio di me, l’Armando è una brava persona, ma quando gli vengono i suoi cinque minuti…”

Marco sentì la mazzetta degli euro che teneva in tasca diventare improvvisamente calda, come un piccolo ferro da stiro sulla coscia.

“Adesso arrivo” gridava da sopra  Marisa, ma Anna non smetteva di piangere.

Vide che Marisa aveva lasciato la borsa appoggiata ad una sedia, prese i soldi e li infilò nella borsa. Poi disse che usciva a comprare il giornale e le sigarette.

Sull’autobus che lo portava verso casa tirò fuori dalla tasca del giaccone, dove era rimasta dalla sera precedente, la relazione ‘Nuove figure professionali e gestione della partita IVA’ e iniziò a leggere. A pagina tre era già stremato.

Stese le gambe e socchiuse gli occhi. Non era  lei la donna degli incroci, si disse. Peccato! Avrebbe potuto tenermi anche la contabilità.

 

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1 commento »

  1. Bel racconto ma finale un po’ sottotono. Viene da chiedersi perché la molla lì se tanto lei sa dove trovarlo

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