Premio Racconti nella Rete 2012 “La prof” di Patrizia Argentino
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Io odio l’Arnaboldi. Non è solo la mia prof di lettere, che già sarebbe un motivo sufficiente per non farmela andare a genio, ma è soprattutto a causa sua se mio padre se ne è andato due anni fa. Probabilmente sarebbe andato via di casa lo stesso, visto che con mia madre era un litigio continuo, ma le camicette striminzite dell’Arnaboldi hanno accelerato quella che avrebbe dovuto essere una decisione più ponderata. Perché mio padre, a quanto dice la mamma, sarebbe stato incapace di fare quel colpo di testa … di testa sua. Dice che gli uomini non lascerebbero mai una donna senza averne già un’altra pronta ad accoglierli a braccia aperte. Comunque sospetto che lei, più che alla Cristina Arnaboldi, dia la colpa a me di quel che è successo, visto che sono stati i miei brutti voti a spingere mio padre a frequentare la sala professori più del consueto. Morale: se avessi studiato un po’ di più, probabilmente saremmo ancora tutti tre assieme a contenderci il telecomando della tivù e le mise della prof sarebbero rimaste confinate all’Istituto Manzoni. Quello che mi fa più incazzare è il fatto che ora l’Arnaboldi oltre che a scuola, me la cucco a casa di papà quando passo il week end da lui. Appena è scoppiato il casino la mamma ha pensato di fare richiesta perché cambiassi sezione, ma avrei perso tutti i miei vecchi compagni e soprattutto Alice, la mia amica del cuore, quindi ho preferito restare. Senza Alice non ce la faccio. Stiamo assieme dalle elementari ed è come una sorella. Stesso banco, stessi problemi. Anche i suoi sono separati , ma, chissà perché, mi sembra che l’abbiano fatto in maniera più “normale”. Almeno suo padre si è messo con una qualunque, non con l’insegnante che terrorizza mezza scuola.
“Magari ti fosse servito a recuperare l’insufficienza in italiano!” – sbuffa Alice, che da sempre mi dà una mano nei compiti in classe. Più di una volta l’Arnaboldi l’ha beccata a passarmi temi o versioni sotto il banco.
“Lì dietro, che succede?!” – tuona in quei frangenti l’Arnaboldi, come se non fosse già evidente. E ancora , “Calvi, portami quello che hai in mano.”
“Ma è il sacchetto della focaccia, prof.!”, mente Alice.
“Ti pare questo il momento di fare merendaaaaaaaaaaaaa?”
Quando succedono questi episodi sento ventidue paia d’occhi puntati addosso e preferirei sprofondare. Alice cerca sempre di tirami su, spiegandomi che anche con la nuova moglie del padre non sono rose e fiori. Poi però cambia argomento. E’ capace di alleggerire la situazione con una parola o un gesto, per questo la adoro.
“Hai pensato cosa ti metterai alla festa?”
Merda, la festa! Quasi me ne dimenticavo. Sabato è il compleanno di Niccolò, il più carino della scuola e io sono stata invitata soltanto perché Alice lo conosce e lei senza di me non va da nessuna parte. E’ una specie di tacita intesa tra noi. Si condivide tutto. Le vere amiche sono capaci di fare queste cose, anche se la mamma dice che verrà il momento in cui ci interesserà lo stesso ragazzo e allora saranno guai. Dice che non esiste solidarietà tra donne, che noi non siamo come gli uomini a cui basta una birra e un pallone per fare gruppo. Bella roba.
“Perché, tu cosa ti metti?”
“Leggins e maglietta nera lunga, che dici?”
“Strabello!” – esclamo, mentre penso che accanto a lei non ci sarà gara e che mi dovrò accontentare di brillare di luce riflessa. Le chiedo almeno di darmi una mano a scegliere cosa mettermi.
“Certo che ti aiuto, a patto che tu non sia da tuo padre. Mica voglio trovarmi la belva tra i piedi!”
Per inciso non sta parlando del nostro cane. “belva” o “arpia” sono i soprannomi che l’Arnaboldi si è guadagnata sul campo.
“Non ti preoccupare, dirò alla mamma che sabato pomeriggio rimaniamo da lei a prepararci per la festa”
. . . .
“Non se ne parla neppure, Sara. Sabato pomeriggio ho detto alla donna di venire a fare le pulizie di fino e non voglio gente che balla in giro”.
“Ma dai mamma! Come facciamo a fare la prova dei vestiti con quella là che ficca il naso dappertutto! E poi Alice ha detto che se c’è lei non viene!”
“Perché non vai tu da lei, allora”, sbuffa la mamma. Appena le si nomina l’arpia si innervosisce.
“Lì c’è suo fratello e non possiamo occupare il bagno per tutto il tempo che vogliamo” – e aggiungo – “Ma poi a cosa ti serve fare pulire la casa di fino se non ci entra mai nessuno! Sembra un sepolcro! ”
Ecco, lo sapevo. L’ho fatta fuori dal vaso. Mi è scappata. Era l’ultima cosa che avrei dovuto dire. La mamma è depressa perché non riesce a trovarsi uno straccio d’uomo ( l’ho sentita proprio dire così al telefono alla zia ) e io le ho ricordato che sta conducendo una vita da sepolta viva.
“Non ti preoccupare di cose che non ti riguardano”, mi risponde, “e comunque per la cronaca sabato sera la zombie va fuori a cena”
Touché.
Non mi resta che incassare e comunicare ad Alice che dovrà correre il rischio di incontrare la prof durante le nostre prove generali.
E così avviene infatti. Proviamo leggins, minigonne, top, magliette sotto i suoi occhi vigili. A dire il vero, fa di tutto per essere carina con noi. Arriva perfino al punto di offrirci in prestito la sua piastra per capelli.
“Anch’ io da ragazza non sapevo mai cosa indossare per un’occasione speciale”, ci confida.
La sola idea che fosse stata una ragazza anche lei non mi aveva mai sfiorata. Io e Alice ci guardiamo imbarazzate. Ma quanti anni avrà l’Arnaboldi? Una cifra. Troppi per poter permettersi di fare l’amica con noi. Da vera arpia qual è ce lo legge in faccia e finalmente si allontana dalla stanza lasciandoci sole ai nostri preparativi.
Alla fine ci vestiamo più o meno uguali. Optiamo per jeans stracciati sulle ginocchia e top nero. Coprispalle bianco e ballerine ai piedi. Mi specchio. Però… con un po’ di trucco non sono mica male! Vuoi vedere che se usassi la piastra della prof sui miei capelli crespi diventerei un otto?
“Otto pieno no, ma sette e mezzo te lo do sicuro!”, esclama Alice. Ridiamo felici perché nemmeno lei è larga di manica e un voto così alto non me lo avrebbe mai dato se non fossi davvero uno schianto.
Sono quasi le ventitré quando squilla il mio cellulare. Il numero di mio padre in sovrimpressione.
“Mi aveva promesso che non mi avrebbe chiamata, che palle!” Quasi quasi non rispondo, tanto col frastuono che c’è sarebbe una buona scusa, potrei non aver sentito. Poi però cambio idea, perché potrebbe incazzarsi davvero stavolta.
“Sara … preparati passo a prenderti ora”.
“Ma avevi detto a mezzanotte !” protesto. Lui però ha un tono di voce che non ammette repliche e non insisto. Così saluto gli altri, mentre Alice mi chiede cosa succede.
“Che ne so, mio padre ha le menate”, le dico. Però sono contenta anche così, perché la serata non poteva andare meglio. Niccolò mi ha rivolto la parola più volte e alla fine mi ha perfino invitato alla partita di basket di giovedì prossimo. Cosa posso desiderare di più?!
Non lo so ancora, ma quando arriveremo in ospedale ci diranno di attendere e il tempo sembrerà fermarsi fino al momento in cui ci comunicheranno che l’incidente si è portato via la mamma. Allora il tempo si fermerà per sempre, almeno quello della mia adolescenza. E non mi basteranno gli abbracci di mio padre, né le sue parole. La prof rimarrà immobile dietro di noi, in mezzo alla stanza come una sedia fuori posto. Non avrei mai immaginato che l’Arnaboldi d’ora in poi avrebbe dovuto prendersi cura di me per davvero e, ci scommetto, non se lo sarebbe aspettato nemmeno lei.
Molto carino, Patrizia. Anche l’uso del linguaggio delle due amiche e i pensieri. Interessante il finale non scontato, anche se triste. Brava! Gabriella
Carino. Mi è piaciuto il dialogo tra le ragazze. Finale inaspettato, ma ci può stare, fa pensare ad un seguito della storia. Brava.
Mi piace molto l’inizio del racconto che evidenzia il contrasto più o meno scontato professore-alunno con l’aggiunta di una realtà attuale che coinvolge personalmente la ragazza. Divertente il dialogo tra le due amiche. A sorpresa il finale ….. Complimenti, Carmela
Davvero un bel racconto. Il mondo conflittuale e caotico degli adulti filtrato attraverso lo sguardo degli adolescenti. Da un lato, un affresco del mondo di oggi, nel quale spesso i ruoli si confondono e, al contempo, un inno all’amicizia. Complimenti!