Premio Racconti nella Rete 2012 “Un salto nel vuoto” di Diego Bastianelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Quel giorno Bologna era rovente come l’inferno. L’asfalto sembrava bollire sotto gli almeno trentasette gradi del sole, l’aria era irrespirabile e la città era deserta. Insomma, un normalissimo quattordici agosto di un normalissimo anno qualsiasi.
Matteo uscì di casa verso mezzogiorno, il momento in cui il sole è più alto. Gli sembrava il momento migliore per togliersi la vita.
Perché aveva deciso di farlo?
Non lo sapeva, non avrebbe potuto spiegarlo a nessuno, nemmeno a sé stesso. Semplicemente gli sembrava fosse giunto il momento
Perché proprio il quattordici agosto?
Non lo sapeva. Semplicemente gli sembrava fosse il momento più adatto.
Aveva meno di trent’anni, era belloccio, benestante e senza grossi problemi apparenti. Allora perché aveva deciso di farlo?
Non lo aveva deciso
Allora perché lo stava facendo?
Le cose erano andate così e lo stavano portando verso il suicidio. Tutto appariva così naturale, indolore.
Non aveva chiesto aiuto?
Credeva che non avesse senso chiedere aiuto
Perché?
Perché quando lo chiedi nessuno te lo da
Togliersi la vita è immorale
A lui non interessava
E’ il bene più prezioso che ci hanno dato
A lui non interessava
E che cosa gli interessava?
Niente, ormai.
Attraversò il centro della città senza fretta, passeggiando sotto i portici e guardandosi intorno, consapevole che stava dando la sua ultima occhiata al mondo.
Tagliò da via Marconi e si buttò su via Ugo Bassi, puntando dritto verso le due torri. Il simbolo di Bologna, il simbolo della città nella quale aveva speso la giovinezza. Gli sembrava il punto migliore per saltare nel vuoto.
Mentre camminava guardando dritto le torri davanti a sé, incrociò una gita di americani. Erano quasi tutte ragazze, tutte giovani e sembravano entusiaste. Matteo sorrise pensando che, probabilmente, questo grazioso branco di americane si sentivano le protagoniste di qualche filmetto italiano anni cinquanta e che, probabilmente, erano in cerca del loro Gregory Peck con tanto di lambretta e sorrisone mediterraneo. Sarebbero state prede facili da conquistare queste americane, pensò Matteo, ma…ma per oggi aveva altri impegni.
Nota sul carattere di Matteo (anche se non del tutto inerente al tema di questo scritto, cioè il suicidio di un giovane uomo)
Nonostante si stesse recando in cima ad una torre per buttarsi giù, sentiva ancora una certa spinta vitale ogniqualvolta incrociava una fanciulla carina e (almeno apparentemente) disponibile. Questo potrà apparire strano, insensato, ma testimonia il fatto che Matteo non era un uomo arido. Non era il disinteresse verso la vita a spingerlo a fare quello che stava per fare. Al contrario, era il troppo interesse a rendergli l’esistenza insopportabile. Per i primi anni della sua giovinezza aveva tentato di soddisfare questa sua voglia compulsiva di vita, ma aveva notato che più cercava soddisfazione e più essa gli sfuggiva. Va di nuovo precisato (in quanto è troppo facile cadere in equivoco perché qua stiamo giocando di sfumature e perché l’anima di un uomo, non sono certo io il primo a notarlo, è cosa ben complessa e contraddittoria) che non era il tipo di persona che si tuffa nei piaceri della vita senza trovarne soddisfazione. Ogni volta che andava a letto con una ragazza, ogni volta che passava una serata tra bevute e chiacchiere con gli amici, ogni volta che si trovava di fronte ad un essere umano con il quale valeva la pena parlare, lui si sentiva arricchito, si sentiva bene. Riusciva quindi a trovare soddisfazione ma, subito dopo, quella soddisfazione gli sfuggiva via, lasciandolo ancora più solo di prima. Fine della digressione
Schivò il gregge di americane e continuò a puntare le due torri. Lentamente sentì le voci delle graziose anglosassoni farsi più lontane man mano che camminavano nella direzione opposta alla sua. Dopo qualche passo non le sentì più e, scomparso quel civettare di vocine, la città gli sembrò sprofondare nel silenzio assoluto. Non c’era nessuno per le strade, nessuno sotto il portico e nessuna macchina stava passando in quel momento. Si fermò e andò a piazzarsi in mezzo alla strada. Il sole picchiava duro e rendeva l’asfalto ondeggiato. Una bicicletta gli passò accanto silenziosa. Nemmeno la notò finche non ne fu superato. Sembrava tutto irreale, sembrava uno di quei sogni in cui sai di essere in un luogo a te familiare, ne riconosci i tratti caratteristici, ma nello stesso tempo non lo riconosci più per quello che è. C’è qualcosa di diverso, di irreale appunto, ma cosa sia quel qualcosa ti sfugge.
Matteo allargò le braccia, chiuse gli occhi e guardò verso il cielo. Un autobus sbucò dalla curva e gli suonò con vigore, rompendo l’incantesimo e risucchiandolo nella realtà.
“vuoi farti ammazzare? deficiente!” urlò il conducete dell’autobus schivando Matteo. Lui sorrise. Per ovvie ragioni.
Perché si era fermato ed aveva allargato le braccia guardando verso l’alto? Ci stava forse ripensando?
No
Eppure (anche alla luce della digressione di cui sopra)sembra essere un ragazzo innamorato della vita questo Matteo
Infatti lo è. E’ forse una delle persone che più hanno amato la vita.
Quindi?? Non riesco a capire
Non capire. Il vuoto di senso. La mancanza di una linea guida. La perdita di ogni bussola. Lo stordimento e la confusione. E’ esattamente questo quello di cui stiamo parlando. Neanche Matteo riusciva a capire. Non capiva, sentiva. Sentiva troppo.
Arrivò sotto le due torri. Entrò senza voltarsi indietro, fece il biglietto e si incamminò per le scale a chiocciola che portano verso la cima. Ovviamente non c’era nessuno insieme a lui. Nessuno andrebbe a visitare la torre degli asinelli il quattordici di agosto a mezzogiorno. Nessuno tranne un giovane uomo di quasi trent’anni che da quella torre era intenzionato a buttarsi giù.
Le scale erano fresche. Regnava il silenzio. Si prese tutto il tempo necessario per salire. Fece numerose soste e si fermò per diversi minuti a guardare la città in fiamme dai piccoli oblò che puntellano il cammino verso il punto più alto.
Sensazioni provate da Matteo nel corso del cammino ( di natura quasi cristologica verrebbe da dire) che lo porterà verso il punto più alto della torre
Un groviglio! Un misto di sensazioni difficilmente descrivibile. Passava in un quarto di secondo dalla gioia alla tristezza, dalla rassegnata malinconia di un suicida alla voglia di correre fuori e rituffarsi nella vita.
Quanto tempo impiegò a raggiungere la cima? Sempre se la raggiunse e non decise di tornare indietro prima
Si, la raggiunse. Impiegò un tempo indefinito ma molto lungo. si guardò dentro come raramente aveva fatto prima
Riuscì a capire qualcosa di sé stesso? del suo disagio del motivo per il quale…
No!
Finalmente arrivò in cima. Appena sbucato dal cunicolo, la luce lo accecò e lo fece indietreggiare con un balzo, come un gatto quando appoggia le zampe sulla stufa rovente. Rimase qualche secondo nella semi oscurità delle scale con gli occhi serrati. Lentamente li riaprì ed uscì, cercando di abituarsi alla violenza del sole. Iniziò a sentirsi a suo agio. Era solo questione di abitudine.
L’operazione del tuffo si presentava più complessa del previsto. Il parapetto dal quale si poteva ammirare tutta la città era protetto con una rete metallica molto alta, destinata alla protezione della incolumità dei visitatori. Problema risolvibile, pensò Matteo, basta arrampicarsi, scavalcarla e tuffarsi.
Così fece. Si aggrappò alla rete ed inizio a salire a fatica. Il caldo e il metallo rovente che stringeva in mano non lo aiutavano nell’impresa.
Arrivato a metà della rete sentì delle risa e degli schiamazzi provenire dalla strada. Guardò in basso e vide il gruppetto di americane che lo indicavano e ridevano di gusto.
“what are you doing?” strillò una di loro divertita
“you’re fucking crazy!” aggiunse un’altra
“Italians” disse l’amica, convinta che si trattasse del solito esibizionismo che tanto ci rende famosi in giro per il mondo.
Matteo non riuscì a trattenersi e scoppiò in una risata fragorosa. Lui si stava per buttare di sotto e questo branco di americane scosciate con in testa i cappellini di paglia credevano che stesse facendo lo spiritoso. Geniali gli americani, pensò Matteo, non hanno una punta di esistenzialismo, solo pragmatismo. Vedono un italiano che si arrampica su una torre a ferragosto e pensano che sia un giocherellone salito quassù per intrattenere i turisti. Ecco! questa è una delle cose che lo avevano sempre attratto della vita: il grottesco, il ridicolo. Adorava vedere come le cose potessero essere deformate e alterate a seconda dello sguardo che si posa su di esse.
Staccò le mani dalla rete e con un balzo tornò con i piedi piantati a terra. Le americane applaudivano e gli facevano cenno di scendere
“Bravo! Bravo”
“tu venire giù monkey!”
Matteo era sinceramente divertito da tanta innocenza. Sembrano vivere in due universi lontanissimi lui e quel gruppetto di americane laggiù. Che scortese sarebbe stato farsi trovare spiaccicato sull’asfalto bollente!
Si aggrappò alla rete e guardò ancora giù. Le ragazze continuavano a civettare divertite e a fare il verso della scimmia per prenderlo in giro. Matteo sentì qualcosa muoversi dentro di sé. Non poteva con certezza definirla voglia di vivere. In ogni caso si voltò e riprese la via delle scale.
Perché rinunciò?
Perché capì che anche vivere è un salto nel vuoto e, visto che era comunque costretto a saltare, decise di saltare verso la vita.