Premio Racconti nella Rete 2012 “Il destino” di Maurizio Grelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Nacqui qui, in questo sperduto paesello appenninico.
Nonostante i miei genitori fossero gia’ trasferiti al nord per lavoro, vollero ugualmente farmi nascere nel loro stesso paese di origine.
In un afoso giorno di fine agosto, aprii gli occhi per la prima volta in questo mondo ed i primi luoghi che immortalai, furono proprio queste montagne che anche ora, rimiro.
Quaranta giorni e poi al nord, su quel ramo del Lago di Lecco e poi piu’ su, alta Valtellina.
Tutti gli anni, il mese di Agosto era il mese delle ferie di mio padre e tutti gli anni, si ritornava in treno, per circa un mese, in questo paese dove ancora vivevano tutti i parenti stretti e lontani, persone che ormai appartengono ai ricordi.
Tanto ho amato e tanto amo questi posti, sempre ho sentito l’aria e l’acqua, come mie. Spesso, prendo questa terra tra le mani, l’annuso, la faccio cadere tra le dita e sento di appartenerle, sento che un giorno tornero’ ad esserne sua parte integrante.
Quella casetta in pietra, diroccata, che mi vide spesso, fanciullo, giocare su quelle scale. Quella casetta in pietra, abitata dalla Pierina, donna zitella, claudicante ma allegra, giovanali, salotto di ritrovo per noi bambini e poi ragazzetti.
Quella casetta in pietra, dove spesso su consenso materno, dormii bambino nel grande letto tra la Pierina e la vecchia madre, la Marianna di Beccichino, esperta nel cacciare l’orzaiolo dall’occhio con il solo uso di una fede d’oro e misteriore preghiere borbottate sottovoce.
Quella casa, nella via centrale del paesino, dirimpettaia a quella della povera nonna Marina, era lì, con quel grande cartello: vendesi.
Le discussioni ricordo, furono molte ed accese con mia moglie, con la mia famiglia. La spesa non era certo indifferente ma per fortuna, sostenibile. Nessuno credo avrebbe mai buttato soldi in quella costruzione, in quella zona, senza possibili futuri sviluppi perlomeno turistici.
Era un vuoto a perdere.
Ma c’era un qualche cosa di grande, di inspiegabile che lavorava dentro me, impossibile da spiegare.
Contattai il proprietario. Fissai l’appuntamento dal Notaio. Acquistai la casa.
Ricordo ancora la grande litigata quel pomeriggio, i vari titoli che mi vennero lanciati, da irresponsabile ad eterno Peter Pan.
Ero nervoso, erano riusciti a trasformare la gioia dell’acquisto in nervosismo, forse in rimorso.
Uscii di casa, dovetti uscire, perlomeno per respirare un po’ e riflettere, avevo bisogno di riflettere.
Presi l’automobile e raggiunsi la casetta, avevo le chiavi, entrai.
Tutto cio’ che poteva esserci stato di anche solo mediocre valore, ovviamente non c’era piu’. Solo un tavolo di legno, due sedie, un letto in ferro, polvere, calcinacci,ricordi, molti ricordi.
Erano riusciti ad angosciarmi, sentivo come mi mancasse l’aria, vacillavo alla ricerca del vero significato di quel passo.
Uscii, m’incamminai verso quei campi che un tempo, furono datori di lavoro di mio nonno. M’incamminai verso la Puntia, podere a lui tanto caro, podere che riusciva a dargli un vino da orgoglio.
Osservavo quei campi ormai incolti, abbandonati, quelle viti ormai abbandonate a se stesse, mai piu’ curate e potate. Mi chiedevo se, visto i miei frequenti viaggi in Trentino, fosse stato possibile innestare la vigna autoctona con magari un vitigno Gewurstraminer; non mi accorsi di un giovincello che procedeva verso di me con una canna da pesca in mano.
Canna da pesca inusuale, di bambu’, senza mulinello, come usavano tanti e tanti anni fa.
Mi torno’ allora alla mente, nuovamente la mia infanzia, quando si andava a pescare nel fosso li’ sotto. Mi tornava prepotentemente alla mente, quel mondo che ormai non esisteva piu’. Ho avuto la grande fortuna di vivere il passaggio tra la civilta’ contadina e quella industrializzata, ho avuto la fortuna di conoscere (anche se un solo mese all’anno) la vera vita di una volta: le bestie nelle stalle sotto casa, l’odore del letame, il maiale per l’anno a venire, l’assenza di acqua calda, il caldaio perennemente attaccato alla catena del camino, la carta moschicida attaccata sotto la lampadina, la bomboletta di DDT.
Il ragazzo mi saluto’: “Buona giornata signore”
Non me ne accorsi, assorto nei miei ricordi, non ci feci caso.
“Signore? Buongiorno!”
“Ah, buongiorno ragazzo”
“Sa dirmi signore se qui e’ buono per pescare?”
“Guarda, laggiu’ dove ci sono piu’ alberi, sotto c’e’ un gorgone, ci andavo sempre a pescare da ragazzo, usa la mollica del pane”
“Ma signore? Quasi non si era accorto di me. Eppure stavamo per scontrarci”
“Hai ragione ragazzo, ero assorto un po’ tra i miei ricordi ed i miei pensieri”
“L’avevo capito, poca luce negli occhi”
“Cosa?” Ribattei io sorpreso.
“Sì signore, occhi che non luccicano, animo che ha pensieri”
Allargai gli occhi stupito.
“Che problema sara’ mai così grosso da non avere soluzione o spiegazione?” Disse il ragazzo.
Non riuscii a rispondere, tanta maturita’ e perspicacia in quel corpo fanciullino, mi paralizzo’ per un attimo.
Il ragazzo aprii la cesta di vimini, tiro’ fuori una picozza e disse:
“Signore, tenga”
“Una picozza?” dissi io. “Che ci devo fare?”
“La prenda e mi segua”
La presi e lo seguii verso un scavo fatto alla montagna anni prima, per fare la strada.
La parete di terra e sassi era lì, davanti a me.
“E adesso? Che devo fare?” dissi io.
“Scelga un punto dove vuole e cominci a scavare” disse il ragazzetto con gli occhi di una luce incredibile.
Cominciai a scavare, ogni tanto lo guardavo e lui mi guardava. Non so, scavavo, e la terra, i sassi, scivolavano verso i miei piedi.
Continuavo a scavare, senza alcun scopo ma scavavo, non so perche’.
Ad un certo punto, il ragazzetto mi si mise al fianco e disse:
“Puo’ bastare signore, puo’ bastare. Metta ora il braccio nella buca ed afferri il primo sasso o la prima pietra che riesce a sentire”
infilai il braccio fin oltre il gomito, le dita sentirono il freddo della pietra, strinsi ed estrassi un sasso.
Lo guardai, il ragazzo guardo’ anche lui il sasso.
“Allora?” Dissi io, incredulo, stupito.
Il ragazzo mi prese il sasso dalle mani, lo guardo’, lo fece salatare piu’ di una volta sulla sua mano. Si giro’ verso me, mi fisso’ negli occhi e disse:
“Vede signore, questo sasso sono milioni di anni che e’ sepolto sotto questo strato di terra. Oggi, lei lo ha estratto per la prima volta alla luce del sole.”
Lo guardai incredulo.
Lui capì e continuo’:
“Era destino che lei oggi, sarebbe venuto qui, avesse incontrato me ed avesse poi, estratto questo sasso. Ogni sua azione quotidiana, da quando e’ nato fino ad ora, anche quelle per lei assolutamente insignificanti, facevano tutte parte di un quadro composto da milioni di tasselli. Una strada a destra invece che a sinistra, un orario per dormire invece che un altro, una rinuncia o una accettazione, erano tutti tasselli portanti della sua vita. Se solo avesse fatto la scelta diversa, anche una sola volta o avesse tardato o anticipato anche solo di un minuto, tutta la sua vita, avrebbe preso un’altra direzione. Cio’ non e’ possibile, tutto e’ gia’ scritto, deciso, voluto. Abbiamo la mera illusione di prender decisioni, ma non e’ cosi’, e’ pura illusione. Suo era destino che oggi facesse tale operazione. Destino era del sasso che oggi, proprio oggi, per mano sua, rivedesse la luce dopo milioni di anni”
Mi sedetti.
Troppo, troppo profonda questa riflessione, un ragazzo, un ragazzetto.
Mi voltai e dissi:
“Ma ascolta…….”
Non c’era piu’, non c’era piu’.
Mi guardai intorno, lo chiamai:
“Ragazzo, ragazzo”
Niente. Continuai a chiamare. Nulla.
Mi incamminai verso casa, verso la casetta diroccata.
Sentii il classico tonfo del galleggiante nell’acqua, ero sopra il punto con gli alberi ed il gorgone.
Mi affacciai ma non c’era nessuno.
La pozza, espandeva cerchi concentrici.
Non ci sono commenti ai tuoi scritti, ma nemmeno ne hai fatti.
Preferisci parlar dopo vero? Come sempre.