Premio Racconti nella Rete 2012 “Ho fatto l’amore con una donna” di Diego Bastianelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012“Aveva ragione mio nonno” pensava Matteo andando verso casa con il passo barcollante e incerto di chi ha dato tutto quello che aveva da dare ed ora cerca solo un letto su cui svenire.
Sapeva che per arrivare a casa ci sarebbero voluti almeno trenta o quaranta minuti. Erano le quattro e mezza di notte, gli autobus non giravano più, di taxi nemmeno a parlarne visto che non aveva un soldo addosso, quindi si mise l’anima in pace, si accese una sigaretta e, senza fretta, continuò a camminare.
Appena uscito dal locale sentì il freddo entrargli tra le gambe e infilarsi sotto il kilt ma, dopo pochi passi, un po’ per il movimento, un po’ per il whiskey che aveva in corpo e un po’ perché aveva altri cazzi per la testa, non sentì più niente. Né freddo, né caldo, né niente. Anestetizzato.
Mentre camminava per la città, con la testa infossata nella giacca e gli occhi lucidi per il troppo alcol, ripensava alla serata e sentiva quel sapore agrodolce che spesso lo assaliva. Non si trattava di tristezza, quella era una sensazione alla quale era quasi sempre immune. Quello che sentiva era la malinconia che inevitabilmente segue una nottata come quella che aveva appena vissuto. Una nottata in cui due anime si trovano a danzare insieme per qualche istante, per poi essere costrette ad abbandonarsi.
Era arrivato al locale verso le undici e trenta, accompagnato da due amici, Gigi il bello e Diego lo zingaro. Il primo si era meritato il soprannome non tanto per l’aspetto fisico, quanto per la propria convinzione di essere il più figo di tutti. Diego, invece, doveva l’appellativo di “zingaro” ad alcuni comportamenti, diciamo così, non proprio signorili nei confronti del gentil sesso. Matteo era ancora senza soprannome, ma quella sera se ne guadagnò uno sul campo: lo scozzese. Era martedì grasso e aveva deciso di travestirsi da scozzese, con tanto di kilt, cappellino, fascia tradizionale e spillette alle calze.
Appena entrati ordinarono tre whiskey, brindarono e buttarono giù tutto in un sorso, tanto per darsi la prima scrollata. Trascorsero i primi minuti in silenzio ad osservare la gente entrare nel locale. Quando il posto fu abbastanza pieno si separarono e ognuno condusse la serata a modo suo.
Gigi e Diego si buttarono subito nella mischia. Matteo rimase con il gomito appoggiato al bancone a sorseggiare un altro drink e a guardare da lontano i suoi amici, cose se fossero formiche sotto vetro.
Aveva appena appoggiato il bicchiere vuoto sul bancone quando vide arrivare una ragazza vestita da Audrey Hepburn in “colazione da Tiffany”, accompagnata da un’amica, la Marylin di “gli uomini preferiscono le bionde”.
“ciao Audrey!” urlò Matteo, tanto per rompere la monotonia
“ciao” rispose lei mentre l’amica la stava trascinando via.
Matteo non era in grande spolvero. Era entrato nel locale che aveva zero voglia di ballare e poca voglia di parlare. Si era piantato al bancone con un bicchiere in mano e lì era rimasto.
Si era chiuso in se stesso, pensava e parlava da solo. Dopo circa dieci minuti di soliloquio, vide nuovamente passare Audrey. Era ancora una volta di fretta, trascinata dall’amica, chissà dove vanno sempre di corsa disse Matteo tra sé, lei si voltò e sorrise, lui alzò il bicchiere in segno di saluto e fece l’occhiolino.
Dopo il secondo fugace incontro con Audrey, Matteo iniziò a sentirsi un po’ più sciolto. Ad inizio serata si sentiva un blocco di ghiaccio ed ora aveva trovato in quella ragazza il raggio di sole in grado di scioglierlo. Ma quel raggio era passato e se n’era andato troppo velocemente.
Strana sensazione: non si trattava soltanto di una che avrebbe voluto portarsi a letto. Cioè, ovvio che se la voleva fare, ma non si trattava soltanto di questo. La sua aria disinvolta, quel saluto morbido e senza malizia, il sorriso largo e sincero, lo avevano colpito ed interessato.
Per la prima volta da quando era entrato staccò il gomito dal bancone e con passo lento si buttò nella folla.
Fece il giro del locale due o tre volte. Vide Gigi con le mani ancorate al culo di una delle spice girl, vide Diego con la testa infilata tra le tette di miss California, ma della piccola Audrey nemmeno l’ombra.
Stava per rinunciare e tornare al bancone, quando vide tra la gente la chioma bionda di Marlyn. Guardò meglio e vide anche Audrey. Lei era quasi di spalle, quindi non lo vide subito. Lui si avvicinò e le sfiorò il braccio, era caldo e liscio. Audrey si voltò e, come riconobbe Matteo, allargò di nuovo quel sorriso.
“dove vai sempre di corsa?” disse lui per rompere il ghiaccio
Lei rise, buttando leggermente indietro la testa.
“da nessuna parte” rispose
Si guardarono negli occhi.
“come ti chiami?” chiese Matteo
Lei disse qualcosa, lui non capì ma annuì con lo stesso per evitare di dover ripetere la domanda. la chiamerò Audrey pensò.
“e tu?”
Matteo rispose con un nome finto, tanto per essere alla pari
“Jimmy”
“Jimmy?” domandò lei
“si, mio padre è di origine scozzese”
Lei squadrò Matteo dalla testa ai piedi
“certo come no!” disse, mostrando nuovamente il sorriso.
Il dj metteva la solita selezione di branetti indie-rock. A Matteo facevano schifo ma, per l’occasione, tutto faceva brodo. Ballarono per un po’ senza dire una parola ma cercandosi costantemente con gli occhi.
Dopo poco lei si avvinò di nuovo.
“se fossi un vero scozzese non dovresti portare niente sotto il kilt” sussurrò maliziosa. Aveva ragione, Matteo indossava un paio di calzamaglie, errore grossolano.
“lo so! Ma fuori è freddo!”
“oh poverino!” lo prese in giro lei.
Per qualche secondo nessuno dei due aprì bocca, ma stavolta non si allontanarono, rimasero quasi a contatto. Smisero anche di ballare, sembrava che il tempo fosse come sospeso. Si guardavano soltanto. Matteo uscì dall’incantesimo e fece un mezzo passo verso di lei, ora erano veramente a contatto. Le mise la mano dietro la schiena, tutto avvenne con la massima naturalezza, senza irruenza. Fece una leggera pressione, quel poco che bastava per avvinarla a sé. Lei socchiuse gli occhi per un istante e poi li riaprì. Sorrise, ma stavolta era un sorriso diverso, più intimo, più complice.
La gente intorno, la musica, i costumi, i rumori, niente aveva più importanza, era tutto tagliato fuori. Erano riusciti a costruirsi una piccola capsula di intimità proprio al centro della pista.
Lei gli mise le mani dietro la testa ed iniziò ad accarezzargli il collo dolcemente. Matteo si sentiva in quella meravigliosa zona di confine tra l’eccitazione e il rilassamento. Fece ancora po’ di pressione con la mano e lei continuò ad accarezzargli il collo. Erano a mezzo centimetro l’uno dall’altro. Matteo la tirò verso di sé e le baciò la guancia dolcemente. Stava per scivolare verso la bocca, quando lei si scostò.
Si scostò è vero! Ma anche questo fu un gesto armonioso. Per quanto quel rifiuto gli sembrò una cosa assurda, ingiustificata, non ruppe l’incantesimo. Lei allontanò appena il viso, ma con garbo. Non si divincolò dalla presa di lui e non tolse le mani dal suo collo. Semplicemente declinò il bacio, ma per il resto tutto rimase uguale.
“non ti capiterà altre volte di baciare un uomo in gonnella” le disse lui all’orecchio. Lei sorrise e sorridendo gli accarezzò il collo ancora più intensamente
“lo so” rispose, “è che non posso”
Matteo non disse niente ma capì. “non posso” non significava “non voglio”, per questo lei non si era staccata da lui. All’inizio temette che si trattasse soltanto di gentilezza. Credeva che lei fosse rimasta aggrappata al suo collo soltanto per evirare l’imbarazzo di un rifiuto più deciso, ma ora era tutto più chiaro. Non poteva. Voleva ma non poteva.
Da quel momento rimasero in una zona di confine, una terra di nessuno. Era orami chiaro ad entrambi che non poteva esserci niente di più, ma nessuno dei due voleva staccarsi dall’altro. Ci provarono, ma non ci riuscirono. Matteo si allontanò per un po’, andò al bar a bere qualcosa, ma poi tornò di nuovo a cercarla. La trovò. Lei fu contenta di essere trovata e tornarono di nuovo nella loro capsula nel mezzo della pista, a ballare, con lui che la teneva per la schiena dolcemente e lei che gli massaggiava il collo.
Ad un certo punto Audrey sembrò sul punto di cedere. Si avvinò ancora di più e si appoggiò alla sua spalla.
“mi piace il tuo profumo” gli disse.
Matteo si chinò appena, le baciò il collo, facendo scorrere la lingua sulla pelle di lei. Audrey chiuse gli occhi e lui sentì il suo corpo rilassarsi e desiderare di più, ma poi tornò in sé e si scostò nuovamente, ripetendo ancora una volta “non posso”.
Mentre camminava verso casa solo, perché Diego e Gigi erano spariti chissà dove e chissà con chi, ripensava a tutto questo. La memoria a volte gli si annebbiava, c’erano dei piccoli vuoti per via del mix di stanchezza ed alcol, ma le sensazioni erano tutte lì. Sentiva ancora il contato della schiena di lei sulle sue mani, sentiva ancora il sapore della sua pelle sulla punta della lingua.
Stava quasi per arrivare a casa, con il sole che iniziava a mostrare i primi bagliori, quando ripensò di nuovo a quello che gli disse suo nonno. Era cieco e malato, con la testa che non lo seguiva più, quasi del tutto immobile sulla grande poltrona del salotto, con gli occhi lucidi e lo sguardo vacuo di chi non trova più la connessione tra il cervello e la bocca. Ripeteva spesso le stesse cose, anche fuori contesto, anche quando erano inopportune. Pronunciava le sue massime e poi si scioglieva in una risata insana, malata ma profondamente umana.
Matteo lo ascoltava sempre, ma come si ascolta un povero vecchio e sentimentale partito di testa. E invece il povero vecchio aveva ragione.
Lo ripeteva spesso: “ballare con una donna è come farci l’amore”.
Diego, complimenti. Un racconto pieno di poesia e delicatezza. A me non piacciono molto i racconti con la massima finale, ma la tua è di un livello superiore. Mi ha toccato profondamente. Bravissimo.
grazie Gianluca! troppo gentile, sono felice che qualcuno apprezzi così tanto un mio racconto