Premio Racconti nella Rete 2012 “Augusto e la magia delle parole” (sezione racconti per bambini) di Eleonora Branchesi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Quella che vi sto per raccontare è la storia di Augusto. A qualcuno sicuramente potrà apparire un po’ strana, ma c’è poco da stare a discutere: le cose andarono proprio così.
Augusto nacque prima dei suoi genitori.
Se questo già vi sembra impossibile, aspettate allora di sentire il resto! Augusto, credeteci o meno, materializzò i propri genitori poco dopo essere nato, non appena si accorse che era piuttosto difficile cambiarsi da solo il pannolino. Naturalmente, li inventò proprio come piacevano a lui: gentili e simpatici, praticamente perfetti! Anche se alcuni anni più tardi dovette riconoscere che nascondevano qualche piccolo difetto, si trattava, in ogni caso, di roba di poco conto: qualche bacino, qualche carezza e alcune delle parole magiche che Augusto iniziò presto ad imparare ed ecco che tutto riprendeva a funzionare alla perfezione. Ma andiamo per ordine.
Quella sua prima invenzione si rivelò utilissima fin da subito e non solo per risolvere la scomoda faccenda del pannolino: funzionava per qualunque cosa! Bastava un piccolo cenno, un tremolio del labbruccio con gli angoli della bocca rivolti in giù ed ecco che apparivano i genitori pronti a soddisfare ogni sua necessità. Davvero un ottimo lavoro! Con poco sforzo e per di più a sole poche ore dalla nascita! Chissà cosa sarebbe riuscito a creare da grande, all’età di un giorno, se si fosse davvero impegnato… Pensando a questo, si addormentò.
La mattina seguente, Augusto, viste tutte le cose che aveva in programma di fare, si svegliò molto presto, ancora prima dell’alba, affamato ma pieno di energie. Piegò subito il labbruccio all’ingiù, e stavolta dovette aspettare un bel po’ prima che l’espediente facesse effetto. In ogni caso la colazione fu servita su un piatto morbido e profumato. Appena fu rifocillato, volle mettersi subito all’opera. Si concentrò e sforzò al massimo per creare qualcosa di davvero straordinario: purtroppo, però, ciò che riuscì a creare, di straordinario ebbe soltanto la puzza, cosa che i genitori notarono con grande stupore. A dire il vero tutte le sue creazioni, quel giorno, furono un po’ deludenti: oltre a quella cosa puzzolente, solo un po’ di pipì, del vomitino e delle lacrime, cose che gli sembrarono di scarsa utilità e, oltretutto, gli costarono una fatica tale che nel tempo libero non fece altro che dormire. Ciò nonostante, giunta la sera, si addormentò come un ghiro.
La notte dovette essere senz’altro più prolifica. Augusto, in realtà, non capì proprio come diavolo avesse fatto: le sue invenzioni, quella mattina, gli si presentarono davanti come se fossero uscite da un sogno. Appena aprì gli occhi, vide attorno a sé una folla di esseri, piuttosto simili ai genitori, con una spiccata attitudine a fare boccacce e ad esprimersi in strani versi. Stavolta Augusto, senza sforzi particolari, anzi, direi del tutto involontariamente, riuscì subito a produrre qualcosa di notevole: un sonoro ruttino, cui seguì una fragorosa risata da parte di tutti gli astanti. Egli non seppe riconoscere se fosse giusto o meno attribuirsi il merito della creazione di quella risata: strabuzzò gli occhi, sorpreso per l’evento e rimase col dubbio di avere dei poteri ancora sconosciuti. Inoltre constatò quanto fosse strana la vita. Soltanto il giorno prima si era tanto sforzato senza ottenere un granché ed ecco che ora, all’improvviso, le cose migliori affioravano da sole e intorno a lui una folla di persone era pronta ad apprezzarlo e a complimentarsi.
“Ha fatto il ruttino!” “Bravo Augusto! Dai, fanne un altro!” Tutti volevano che si esibisse per loro, lo prendevano, lo sballottolavano, lo acclamavano ma quando poi, dato ormai il meglio di sé, all’ennesimo sballottolamento, vomitò addosso alla giacca di un’anziana signora, immediatamente fu riposto solo soletto nel lettino perché, a quanto pare, si vedeva proprio che aveva tanto sonno: ma se iniziava proprio ora a divertirsi ? La luce si spense e buonanotte.
Al suo risveglio, la mattina dopo, Augusto trovò di nuovo una situazione sorprendente. Il suo lettino era stracolmo di oggetti morbidi e colorati che non aveva la più pallida idea di cosa fossero. Per un attimo ebbe il timore di essersi frantumato in mille pezzi durante la notte: eppure era certo di essersi addormentato tutto intero. O si sbagliava? Se non ricordava male, prima di addormentarsi aveva un dito pollice attaccato ad una mano ed anche di un buon sapore. Ma, oltre a questo, non era del tutto sicuro che ci fosse dell’altro, e anzi, ad essere sinceri fino in fondo, non avrebbe neppure potuto giurare che quella manina in fin dei conti gli appartenesse davvero. E se fosse stato solo un’unica, enorme bocca? Di chi erano allora quei piedini che scalciavano? Non auguro a nessuno di trovarsi in una situazione simile, ma se mai dovesse capitarvi, ecco alcuni consigli utili: innanzitutto mantenete la calma. Scalciare e sbracciarsi senza sapere dove e come direzionare movimenti che solo in via ipotetica sono i vostri, può richiedere un grande dispendio di energie, oltre che presentare dei rischi. Cercate invece di predisporre un piano d’azione. Non credo che Augusto lo abbia fatto in quella circostanza, ma per fortuna, dopo aver disincagliato la gambina andata a cacciarsi tra le sbarre del letto, riuscì finalmente ad afferrarsi un piede e a portarlo ripetutamente alla bocca, capacitandosi, così, che era il suo. Poi, un po’ alla rinfusa, assaggiò anche la zampa di Bambi, il piede di Brontolo, quello del Grande Puffo e quello di tutti gli altri pupazzi che popolavano la culla, e alla fine di quella scorpacciata poté distinguere con un certo margine di certezza ciò che non era di sua appartenenza da ciò che era suo. Gli restò qualche dubbio sul piede di Cicciobello.
Ad ogni nuovo giorno il mondo si popolava di invenzioni strabilianti. Evidentemente la sua vena creativa continuava a manifestarsi, a sua insaputa, di notte. Ciò non avrebbe costituito un problema per lui se non avesse comportato il fatto di dover capire, durante il giorno, che razza di invenzioni avesse tirato fuori nel sonno. Queste, fra l’altro, diventavano sempre più complesse. Una notte inventò delle apine in grado di librarsi in aria con un movimento circolare e di emettere addirittura una gradevole musichetta! Un mistero davvero di non facile soluzione, tanto più che le apine non si trovavano alla sua diretta portata per un rapido assaggio, ma volavano in alto. Stavolta Augusto dovette escogitare un piano. Esso prevedeva duri allenamenti quotidiani per il rafforzamento muscolare: quando fosse riuscito a sollevarsi da solo, avrebbe raggiunto la sponda del letto e da lì, si sarebbe lanciato a capofitto su un’apina. Una volta afferrata, naturalmente l’avrebbe mangiata. Il piano alla fine riuscì, eppure, nonostante un’accurata degustazione Augusto non trovò elementi sufficienti che giustificassero il singolare comportamento delle apine. La sua “fame” di conoscenza non fu completamente appagata. In effetti potremmo dire che si trattò, più che altro, di un ape-ritivo…
L’invenzione più interessante, però, dovette ammettere che fu dei suoi genitori. Poco male: in fondo li aveva inventati lui, per forza erano così bravi! Non aveva ben chiaro come ci riuscissero, ma essi sapevano far uscire dalle loro bocche dei suoni magici, che solo più tardi seppe essere le parole.
Augusto passava la maggior parte del suo tempo a cercare di capirli e di imitarli. Se ci fosse riuscito, era sicuro che avrebbe potuto dare un significato alle sue invenzioni sonnambule e saputo finalmente comprenderle. Gli risultava ormai chiaro che era praticamente impossibile capacitarsi di tutto ciò che lo circondava con il metodo dell’assaggio… a proposito: lo sapevate che “capacitarsi”, alla lettera, significa “rendersi idoneo a contenere un’idea”? Comunque: ormai era un bambino di mondo e aveva girato almeno mezzo giardinetto pubblico, ma ogni volta che aveva provato a farsi un’idea di sassi, foglie, cartacce o di qualsiasi altro reperto raccogliesse in terra, i genitori glielo avevano impedito. Una volta aveva anche provato ad addentare un cane, senza i denti, s’intende, e ci sarebbe riuscito se lo avessero lasciato fare! Ma uno dei due genitori era subito intervenuto e, come al solito, aveva iniziato a emettere suoni ben articolati, tipo: NO PAPPA: CAA-NE, così convincenti che aveva demorso senza esitazione. Che invidia! Avrebbe proprio voluto chiedere: ma come fate? Decise in quel momento che avrebbe provato a farlo: prese allora tutto il coraggio ed il fiato che aveva, ma, quando li tirò fuori, riuscì a pronunciare solo la prima sillaba dell’intera frase, e per di più, per l’emozione, balbettò. Insomma, il risultato fu: “Ma…mma”. La mamma (caso volle che fosse proprio lei a prenderlo in braccio per salvarlo dal cane) si illuminò in viso ed iniziò a riempirlo di baci affettuosi. Augusto era esterrefatto per quella reazione: non riusciva a darsene una spiegazione. Intanto si era avvicinato anche l’altro genitore ed Augusto pensò allora di chiedere a lui il motivo di tanto entusiasmo. Formulò a mente la domanda, ma anche stavolta, quando provò a dire: “Pare che sia così contenta per qualcosa che ho appena fatto: sapresti dirmi cosa?” uscì fuori soltanto “Pa-pà” e giù di nuovo baci, sorrisi e abbracci.
Augusto capì che la magia delle parole era ancora più grande di quanto avesse sospettato…
Una storiella dolce e delicata per spiegare ai piccoli il miracolo delle parole e la scoperta affascinante del proprio corpo e del mistero della vita.
Complimenti Eleonora!
Raccoto delizioso e ……. pedagogico. Bravo Augusto e brava tu, Carmela
Un sentito grazie per i vostri commenti, particolarmente graditi perché provengono da due vincitrici di precedenti edizioni del concorso. Complimenti a voi !
Un racconto molto carino! sono convinta che lettori piccoli e grandi possano apprezzarne l’ironia e la dolcezza. Complimenti!