Premio Racconti nella Rete 2012 “La fotografia” di Tiziana Sala
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Era la metà degli anni Sessanta, quella mattina c’era stato il matrimonio di mia zia Orsola.
“Liliana, stai dritta, non stare gobba, ti faccio una bella foto”.
“Va bene papà”.
“Così ti rimarrà per quando sarai grande, la mettiamo nel tuo portafotografie. Metti le braccia lungo il corpo, dritta”.
Distesi le braccia lungo il corpo.
“Sorridi un po’, non essere sempre musona”.
La macchina fotografica era una Rolleiflex biottica, una macchina costosa a cui mio padre era molto affezionato.
Eravamo sul terrazzo della casa dei nonni nella campagna lombarda.
“Mettiti a posto il cerchietto che è storto, non vorrai rovinare la foto!”.
Mio padre era così, per fare una foto ci metteva mezz’ora, e ora che sono adulta ho una serie di foto molto belle della mia infanzia, tecnicamente perfette, in cui tutto è al posto giusto, nelle quali però ho un’espressione annoiata. Aveva il desiderio della perfezione estetica, un valore assoluto, da inseguire sempre. Ripensandoci credo gli desse sicurezza, un mondo dove tutto aveva un posto preciso ed equilibrato. Un’armonia apparente che per lui significava integrità.
Il sole era caldo in quella giornata di giugno. Mia zia Orsola era una bella sposa, si intratteneva con gli ospiti, era la regina della giornata. In realtà nessuno capiva il perché di quel matrimonio, suo marito era un tipo triste e noioso, questa osservazione l’avevo sentita dire spesso dalle altre mie tre zie, zitelle; ma quel giorno sembravano tutti felici. Anch’io avevo il mio bel vestitino bianco, anch’io mi sentivo parte della festa. Le zie avevano preparato l’insalata di riso, torte dolci e salate, c’erano salatini e prosecco.
“Ma dov’è il braccialetto che ti abbiamo regalato io e la mamma? Cercalo che ti faccio la foto”.
Non sapevo dove lo avevo lasciato, iniziai a girare per la casa dei nonni guardando su tutti i mobili, ma del braccialetto nessuna traccia.
“Ciao Liliana, cosa cerchi?”.
“Il mio braccialetto, l’ho perso”.
“E’ forse questo tutto colorato di giallo?”.
“Sì, come fai ad averlo tu?”.
“Perché sono una maga, per riaverlo devi fare quello che ti dico altrimenti sarà mio per sempre”.
“Dammelo che papà mi aspetta per fare la foto, dammelo sennò mi metto a urlare”.
Mia cugina Cinzia se ne fregò della mia minaccia, se ne andò con il mio braccialetto fra le mani, tronfia dei suoi poteri magici e sicura che non avrei urlato.
“Facciamo lo stesso la foto, anche senza il braccialetto, ma vedi di trovarlo, lo sai che ci tengo”.
Sentii il click della macchina fotografica, era fatta. Adesso ero libera e potevo andarmene in giro per la casa dei nonni tra parenti, amici, a mangiare cose golose e a cercare Cinzia e il mio braccialetto.
Giravo per la festa, erano tutti alti, reggevano un piattino o un bicchiere, chiacchieravano. Gli invitati erano sparpagliati tra la casa, il giardino e il terrazzo. Il giardino aveva fiori di tutti i tipi. Nonostante mio nonno da molti anni non facesse altro che curare l’orto, le galline e il giardino, quest’ultimo aveva un aspetto selvaggio. Non era trascurato, piuttosto sembrava seguito da una persona con le idee poco chiare oppure con la mente sempre occupata a pensare ad altro. Accostava fiori e piante in modo bizzarro, senza una vera logica. Eppure l’effetto finale per me era piacevole, forse perché risultava essere non convenzionale. Questo giardino selvaggio strideva con l’aspetto asburgico e austero di mio nonno, rendendomi così la sua figura più morbida e anche un po’ fiabesca.
“Ma lo sai che sembra che Orsola aspetti già un bambino? Cose da pazzi, non c’è più religione”.
“Speriamo almeno che prenda solo dalla madre”.
Tra un salatino e l’altro cercavo Cinzia e il mio braccialetto. Non dovevano essere lontani.
“Sai cosa devi fare per riavere il braccialetto? Dobbiamo fare una corsa e se vinci hai il braccialetto ma se perdi ti devi buttare nella fontana con il tuo bel vestito bianco da piccola sposa e scordati il braccialetto”.
“No, il braccialetto è mio e me lo devi ridare senza che io faccia un bel niente”.
“Allora di’ addio al tuo ex-braccialetto …”.
Le persone anziane parlavano in dialetto.
“L’è propri una bela copia, l’Ursula e il so Giorgio”.
“Mah, saria no così sicur”.
“Te se semper cativ”.
“Ti te se indurmenta, se dis che l’Ursula l’è incinta”.
“Oh, l’ha s’è spusada in bianc ma la viv nel pecà”.
“Vu a magnà un quei cos che l’è mei”.
A me la zia Orsola non sembrava incinta, era magra e piatta, il giorno dopo sarebbero partiti per il viaggio di nozze, Genova. Era il viaggio di nozze, non poteva essere incinta.
“Zia che bello, allora vai a vedere il mare?”.
“Sono molto contenta, Liliana cara, sì la tua zia se ne va al mare. Insegno da anni ai bambini i mari di tutto il mondo, ma io, non l’ho ancora conosciuto!”.
“Anch’io ci vado questa estate, mi ci porta papà”.
“Sei una bambina fortunata”.
“Zia, sei bellissima”.
Mi accarezzò e si dileguò tra gli invitati, con la sua pancia piatta, il suo vestito bianco e l’idea del mare sconosciuto nella testa.
Ero seduta pensierosa sui gradini della casa.
“Ciao papà”.
“Liliana, cosa fai tutta sola e assorta mentre di là c’è una bellissima festa con tante persone?”.
“Cinzia non mi vuol ridare il braccialetto, dice che dobbiamo fare una gara, se perdo devo buttarmi nella fontana e dimenticarmi del mio braccialetto”.
“Ma che sciocchezze, vieni con me”.
“Ciao zio, certo che ridò il braccialetto a Liliana, l’ho trovato sul comò, prima glielo stavo dando ma tu Liliana, tu te ne sei andata all’improvviso”.
“Bugiarda!”.
“Fate le brave! Vieni Liliana che ti faccio la foto con il braccialetto di mamma e papà”.
Mio padre guardò a lungo nell’obiettivo, mi fece stare dritta vicino a una pianta di ortensie azzurre, intorno alla quale spuntavano disordinatamente gladioli color cremisi e bianco carnicino, accostamenti del nonno asburgico, mi fece voltare un po’ sul fianco destro, ma non troppo, sorridere, ma non ridere, mettere a posto il cerchietto, braccia lungo il corpo, piedi uniti, guardare nel vuoto, non certo nell’obiettivo, e dopo mezz’ora… click!
Bellissimo, scorre come una macchina da presa. C’è una finezza quasi impalpabile.
Decisamente il genere che piace a me.
Ciao Marzia, ti ringrazio per il commento della macchina da presa. Per il resto, ovviamente, parole molto gradite.