Racconti nella Rete 2009 “Rebecca” di Felicia Ferlito
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Rebecca, rannicchiata in un angolo del vagone, si sentiva protetta da coltri invisibili, e un pensiero improvviso catturò la sua mente: fra non molto sarebbe penetrata in una casa sconosciuta e ne avrebbe avvertito il calore, scoperto i suoi silenzi, illuminato le penombre. Se il tempo potesse fermarsi, dando la possibilità di realizzare che certi pensieri sono illusioni!
Mi son veneziana – rispose una vecchia, ma credo che la via sia quella lì in fondo, a destra dell’ospedale .
Grazie – rispose Rebecca, e si incamminò tenendo strette le tre rose appena comprate. Il cuore pulsava e la vergogna l’avvampava furiosa : avrebbe voluto gettare quelle tre rose rosa che teneva in mano ma continuò facendosi scudo di un sogno.
Girò l’angolo, entrò nel primo bar incontrato, ordinò due toast e una birra.
La ragazza che serviva versò la birra e mise a scaldare i toast.
Rebecca sorseggiò la bevanda e poi fissò la punta un po’ consunta del suo stivale: era impacciata, come se mille occhi le fossero addosso, con la sensazione di essere messa a fuoco per carpirle segreti o, semplicemente, rivelare il suo imbarazzo.
Una voce la scosse- I suoi toast, signorina !
Adesso fu costretta a guardare in faccia gli altri avventori, non poteva nascondersi . Mangiò lentamente e fissò chiunque incontrasse, anche per caso, il suo sguardo: volle sembrare il contrario di quella che era, indifferente e sicura. Quando fu fuori non le parve vero di respirare ancora aria e sole.
Avanti, indietro, a destra, a sinistra, finché non scoprì il nome che cercava. Suonò.
Chi è ? Non mi conosce, signora, ma dovrei parlarle –
– A quest’ora? siamo tutti a tavola. –
La voce sottile e indispettita della donna bloccò i battiti del cuore di Rebecca che a malapena ebbe la forza di pronunciare:
Signora, la prego, vengo da fuori.
Il portone si aprì. Rebecca salì le scale senza fretta, guardando sempre verso l’alto, alla scoperta di un Golgota non troppo lontano.
L’aspettava brontolando una donna sui sessanta, dimessa.
Il ministro di Cristo mi vieta la porta del paradiso – pensò salendo gli ultimi gradini.
Dica pure, cosa c’è di tanto urgente!
Il mendicante di Dio doveva chiedere elemosina: così sia, e col cuore impazzito spiegò.
Veramente il mio discorso non può esaurirsi in un minuto, se lei avrà la cortesia di ascoltarmi….! –
Infastidita, ma indecisa nella volontà di scacciare definitivamente quell’insolente intrusa, fece alcuni passi indietro e si piantò dinanzi la porta che conduceva nell’appartamento.
Allora, cos’è?
In quell’istante l’uomo condannò il martire della fede e un rogo ardente iniziò a bruciare il corpo di Rebecca.
Si tratta di sua cugina Marta –
– Sta male, è successo qualcosa? – aggiunse con tono diverso che sarebbe potuto sembrare interessato e preoccupato ma che in realtà suonava così: – dimmi quel che hai da dire e vattene –
– Purtroppo non c’è più, è morta un anno fa, io sono la nipote, la figlia della sorella.
– Lo so, non mi conoscete, ma la mamma, vostra cugina Adele, vi ha ancora scritto di me….
Vi manda un ricordo di sua sorella Marta, che da tempo quest’ultima aveva preparato e conservato. Io mi trovo qui di passaggio, sono con amici a….., un paese vicino, così ne ho approfittato per consegnarvelo.-
Cara ragazza, ti rendiamo grazie, vado a riferire a mio marito, il parente diretto è lui, intanto entra..-
L’intrusa adesso era lei e Rebecca si tolse le invisibili coltri di prima per coprire le altrui nudità.
– Accomodati. Posso darti del tu, vero mia cara? – e indicò una sedia di vimini contro la parete che divideva il soggiorno dalla cucina.
Come Pilato, per nulla impacciata, si lavò le mani mentre delegava ad un giudice potente il da farsi. Rebecca si sedette e aspettò: udiva distintamente le parole che il ministro rivolgeva al suo re.
C’è la figlia di tua cugina e vuole parlarti –
– Figlia di mia cugina? non la conosco e poi che io sappia, mia cugina non ha figli. Comunque questa signora come osa presentarsi a quest’ora! –
Il re aveva emesso il suo verdetto e a Gesù fu messa una corona di spine sul capo. Rebecca avrebbe voluto fuggire, ma poi pensò al Golgota e decise di innalzarvi una croce.
Ti stai sbagliando caro, non è figlia di Marta, ma della sorella, la cugina Adele, non ricordi? –
Cosa vuoi che mi ricordi, è passato tanto di quel tempo! –
La donna tornò da Rebecca che si alzò dalla sedia dicendo.- Signora vado via, non la disturbo oltre –
A quest’ora? c’è un treno che ti riporti a… ? Fermati ancora un poco, parlami della zia e di tua madre: mio marito si innervosisce facilmente, ma non è cattivo… poi sei arrivata in un brutto momento, egli ha molti problemi…
Parlando si diresse verso la cucina.
Cosa posso offrirti, un caffé ?
Già preso, non si disturbi –
Perdonami un attimo, cara…- e così dicendo cambiò direzione e ripassò nel salone dove troneggiava il re accanto alla sua tavola imbandita. Rebecca si girò di novanta gradi e si trovò di fronte, incollata alla parete, un foglio di quaderno su cui era disegnata una bimba dalle treccine nere, di nome Chiara. Stette immobile, con gli occhi fissi sul foglio, finché la donna non tornò. Le sue parole adesso risuonavano più miti, concilianti e, addirittura, pretendevano essere materne.
– Vedi, non conosco il tuo nome, come ti chiami?
– Rebecca –
– Rebecca, è un bel nome, sai non devi prendertela per questa accoglienza! io ho sempre ubbidito a mio marito, ma quel duro là non è cattivo, in fondo ha un cuore grande così…- le sue mani si sollevarono parallele ed equidistanti – ma come ti dicevo è un brutto momento, lui è nervoso e può sembrare mal disposto, però credimi…
Rebecca interruppe quella inutile discussione.
Signora, non sono venuta per chiedere, ma per dirvi di smettere il vostro annuo regalo di Natale e ringraziarvi per quello che finora avete fatto. Vostra cugina Marta non c’è più, quindi non ha più senso l’obolo che voi generosamente offrivate a mia zia.- e tirando fuori dalla borsa da viaggio un rotolo di carta contenente un prezioso ricamo lo porse alla signora. – Questo è il ricordo di vostra cugina, lei ci teneva tanto che voi lo aveste. Le rose sono per lei, da parte mia. Scusi il momento inopportuno, ma sono venuta, come ho già detto, con degli mici che si sono trovati a passare da queste parti per affari e così non ho potuto avvertire, è stata una cosa improvvisa.
Buona giornata signora, mi saluti suo marito – e di corsa si avviò verso le scale che conducevano all’uscita. La signora non ebbe il tempo di proferire parola che Rebecca era già scomparsa ed imboccava il portone di ingresso.
Appena fuori le sembrò di essere uscita da un tunnel buio e profondo, si sedette su di una panchina, posò il mento sul giornale arrotolato a cilindro, fissò le mattonelle del selciato e si mise a contare i sassolini per terra.
Il sole era tornato dietro nuvole spesse, l’identica luce del mattino si posava su di lei che rabbrividì: ripensava a Chiara, a quel briciolo di umanità non corrotta che spariva, come il sole, dietro nuvole lontane. Passò un vecchio con una bambina azzurra e rosa: parole d’aria, interrogativi di luce, indugi profumati, il linguaggio dei piccoli, promesse di aurora nella mano di un tramonto. Anche lei era stata bambina ma nei suoi ricordi neanche un vecchio che la tenesse per mano.
Il treno, affollato, penetrava la notte che , come donna restia, ogni intimità difendeva col buio assoluto: nessuna ragnatela di luce apriva lo spazio.
Rebecca trovò piacevoli quelle tenebre e vi ficcò lo sguardo: il viso della donna ambiguamente ritornava a stuzzicare antiche ferite e le sue parole rimbombavano nella vacuità. Scene di un calvario scomposte si accavallavano, nitide e terribili.
Mondo bastardo! – gridò Rebecca, come liberandosi di un’ossessione, e girò il capo lasciandosi a destra la notte lacerata.