Premio Racconti nella Rete 2012 “Opposti che non fanno Differenza. Il freddo e il caldo.” di Francesca G. Marone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012Gli uffici enormi della redazione in piazza dei Martiri risuonano di agitazione da giorni. Ristrutturazione aziendale, esubero, prepensionamento. Alcuni sono andati a leggere i contratti di lavoro. Certi stanno in una botte di ferro, altri no. I deboli, quelli in prova, in contratto di formazione, a progetto, ed altre formule.
“Miriam, il capo ha chiesto di te.”
Valeria parla con me senza guardarmi negli occhi, ha le labbra un po’ storte come suo solito quando vuole fare un dispetto. Lo fa anche quando maneggia il cornetto sotto la scrivania e divide in due parti. Una per lei e una per la sua collega Lucia.
Io per risposta chiamo il bar e ordino un caffè freddo con granita. Bevo da sola, agito la tazzina più volte e la appoggio sul desk.
“Adesso?Finisco prima questo report”.
“No, no. Ha detto che è urgente. Devi andare ora”.
Mi alzo e sento lo sguardo di Cip e Ciop su di me, le due colleghe mentre sgranocchiano un biscotto spartito anch’esso sottobanco.
Passo per il bagno, giusto un attimo per vedere se non ho baffi di caffè e dare una sistemata ai capelli.
“Permesso.”
Ho sempre la sensazione di dover dare un esame, quando mi siedo di fronte a lei.
Lei invece mi guarda spesso negli occhi, li tiene fissi come due spade puntate sul petto a pochi millimetri di distanza dal cuore. Azzurri come il ghiaccio. Sento i brividi far alzare la peluria delle mie braccia, ha l’aria condizionata sparata a mille qui dentro. La giacca grigia appoggiata dietro la spalliera e la camicia bianca perfettamente stirata. Un pugno ghiacciato in pieno viso.
“Miriam, non vorrei sembrarle crudele e rovinarle l’estate”.
Si ferma per un attimo e prende il bicchiere di tè freddo fra le mani, agita il ghiaccio facendolo roteare all’interno. Poi un pezzettino le scivola in bocca e lei lo tritura con i denti. Mi sento come quel pezzettino fra le sue fauci.
Un brivido freddo attraversa tutta la mia schiena. Il gettito di aria dal condizionatore mi sibila fra i capelli e mi perfora le orecchie.
Per un attimo tremo. Avrei bisogno di un po’ di calore.
L’azzurro degli occhi della capoufficio mi trafigge come lama.
“Il suo contratto è terminato. Il suo profilo non risponde esattamente a ciò di cui ha bisogno l’azienda, pertanto il nostro rapporto di lavoro s’interrompe qui. La ringraziamo per la sua collaborazione. Può andare”.
Mi consegna una busta fra le mani. Sento le sue dita gelide sfiorarmi. Come una morta. Sarà l’ultimo contatto fisico fra di noi.
Sono tutta sudata, nello stanzone dove stiamo in quattro l’aria condizionata non funziona mai. Quando c’è il capo di là dobbiamo tenerla bassa anche nelle altre stanze perché dice che consumiamo troppa energia.
Valeria si china su di me e il suo alito caldo mi sussurra :
“Miriam, il capo ti vuole”.
“Adesso?Magari termino questo report e vado”.
Soffio più volte sul caffè che non ha intenzione di raffreddarsi questa mattina. Mi scottano le labbra per la giornata di ieri al mare, ho il dorso dei piedi rosso come un tizzone, dimentico sempre di mettere la crema solare sui piedi.
“No, no, devi andare ora. Sta dando in escandescenze da un’ora. Dice che va tutto male in questo posto!”.
Mi alzo sento una goccia calda di sudore scendere lungo la schiena. Passo per il bagno a darmi una sistemata ai capelli che si sono appiccicati al collo per il caldo estivo. La sento litigare come un diavolo al telefono con quelli dell’area progetti. Busso e poi entro. Mi pare l’antro di un girone infernale, il sole batte sui vetri senza pietà, fogli di carta gettati sul pavimento, la giacca aggrovigliata su una poltroncina con la borsa di cuoio pesante che la soffoca.
Lei ha la camicia rosso corallo con le maniche arrotolate sui gomiti, il rossetto intonato con la tinta della camicia, i capelli di un rame un po’ stinto, forse dal mare, sembrano come attraversati da una corrente elettrica. Non le porgo la mano per paura di prendere la scossa. Mi fa cenno di sedere senza smettere di urlare come un demonio al telefono. Sbatte la cornetta e si scheggia un’unghia laccata.
“Porca miseria….me ne andasse una dritta oggi!”.
La guardo aspettando che parli lei, non so nemmeno perché mi abbia fatto venire, ho una montagna di lavoro da terminare.
“Perché non ha finito quei report?Sono settimane che aspetto. E’ possibile che in quest’ufficio nessuno consegni le cose che chiedo per tempo?!”.
“Ma dottoressa… lei mi aveva detto di dare priorità ai crediti da incassare, e al software da terminare”.
“Non esistono priorità, Miriam, non dica sciocchezze. Qui tutto è prioritario. Lei è sempre in ritardo, arriva per ultima e va via per prima. La consegna del software è per la prossima settimana, io non ho ancora visto niente. Il programma, questo cazzo di programma da dove deve scendere dal cielo?Ho degli impegni io, mi espongo io in prima persona, lo capisce questo? Lei vuole fare la manager in futuro o l’archeologa?I tempi, Miriam, non ci siamo con i tempi. In questo ufficio non esistono tempi morti, per nessuno. Non si fanno sconti, e mi pare che lei non lo abbia ben recepito.”
La tazzina col caffè lungo fumante dalla scrivania sprigiona l’aroma fin sotto il mio naso.
“Dottoressa, mi scusi, se lei è scontenta di me, posso fare qualcosa per rimediare, ci tengo a questo lavoro”.
“Miriam, lei può fare qualcosa per farmi stare più tranquilla, levarsi di torno. La sua lentezza mi irrita, la sua collaborazione termina qui. Questa azienda non è il posto adatto a lei”.
Miriam ha un caldo tremendo mentre cammina a testa bassa nel corridoio degli uffici, le sembra di non vedere più nulla, le pareti si chiudono spingendo sulle sue orecchie che rombano. Fischi, rombi di aeroplani, terremoto sotto le piante dei piedi. Miriam vacilla e cade. Si appoggia alla parete quando incontra una mano. Fredda, come un pezzo di ghiaccio, quasi le si attacca la pelle dei polpastrelli sulle dite ghiacciate di una donna che la sorregge. Ha camminato contromano nel corridoio del grande ufficio, come un fantasma nella notte, con il gelo nell’anima, la fronte imperlata di ghiaccio, il sangue ha quasi smesso di correrle dentro le vene appena la sua capoufficio le ha dato la notizia. L’altra Miriam, fredda come il marmo non sviene ma dentro non sente più niente e questo altro lavoro no, non poteva perderlo. Si scontrano quasi le due Miriam, il ghiaccio prende la mano del sangue che ribolle, la sostiene strisciando vicino alla parete. Freddo, caldo. Ora si sostengono a vicenda, si guardano negli occhi e si sorridono. Potranno farcela ad andare avanti fino alla porta di uscita, con dignità, senza vacillare. Cercheranno ancora fuori di lì, altri lavori, altre sfide nella vita. Le hanno viste uscire insieme tenendosi per mano, dirigersi verso il bar in piazza dei Martiri, quello elegante dove vanno le dirigenti a pranzo. Loro due, le due Miriam, hanno preso un caffè caldo e uno freddo. Ricominciano insieme da lì.
Complimenti, mi piace molto!
E’ ben scritto, la descrizione dei particolari è resa bene, così come il contrasto tra i due mondi che non sono poi così lontani.
L’incontro tra le due donne, che potrebbe anche rappresentare lo specchio di due aspetti di una stessa personalità, è un momento molto intenso.
Brava.
Complimenti Francesca, è bellissimo!
Due mondi, due donne, due personalità differenti che si intrecciano e al contempo si “sostengono” in una situazione difficile e soprattutto molto attuale come quella di perdere il lavoro!
Mi è piaciuto davvero tanto!
brava
Grazie Marzia!Sono felice che ti sia piaciuto, effettivamente le due donne potrebbero anche essere una sola! 😉
Claudio grazieeeee!Sei davvero gentile, sono felice del tuo apprezzamento e rinnovo gli auguri anche a te e alla tua scrittura!!!
Bel racconto. Un mondo crudele e purtroppo attuale dove solidarietà e sensibilità hanno perso di importanza e sono diventati un inutile orpello. Unico valore residuo rimane la dignità del singolo che si sente “persona” e non semplicemente “risorsa umana”. Mi piace anche l’idea di associare due donne ai posti di comando, perchè spesso passa l’idea che aggressività, presunzione, ambizione, mancanza di rispetto, siano solo prerogativa maschile. E invece basta avere il coltello dalla parte del manico…… Brava Francesca!
Grazie Silvia della tua lettura, è vero: spesso in situazioni difficili è paradossalmente più raro trovare solidarietà fra coloro che subiscono.Accade anche ciò.Una doppia delusione per chi la prova. Grazie ancora del tuo apprezzamento,
Il racconto, un feroce gioco a incastro, fotografa la situazione lavorativa di una intera generazione, sia quella dei subordinati che quella di chi crede di dirigere, ma in fondo è ugualmente sconfitto. Non vorrei ripetermi, ma il finale anche qui è particolarmente brillante.
Andrea
E’ simpatico. Mi hanno sorpreso le due Miriam….pensavo a una sola sfigata cronica che non sapesse tenersi un lavoro e quindi mi aspettavo un altro tipo di finale….
Ringrazio Andrea per il suo apprezzamento, indubbiamente la struttura è particolare, tu dici ad incastro ma potrebbe anche definirsi a specchio, non lo so, mi è venuta così.Sono felice che ti sia piaciuto il finale anche qui! Grazie.
Ciao Manola!Grazie anche a te della lettura…potremmo dire che due sfigate “is megl che one”??…purtroppo esistono queste situazioni e non sempre si riesce a trovare la solidarietà fra “sfigati” mentre potrebbe essere una mossa vincente! Grazie per l’apprezzamento!
Be’ uno spaccato della situazione lavorativa di oggi. Interessante esperimento con un finale riuscito. Complimenti Francesca!
Grazie Lorenzo, tanti tanti auguri anche a te e alla tua bella scrittura.