Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2019 “Sette e trentuno” di Vincenzo Rocco

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2019

Delizia deliziosa, in quale altro luogo mai avrei potuto incontrarti se non lì in fila, subito dietro di me, in attesa del tuo turno per comprare pane e croissant? E scoprirti, come avrei fatto io stesso, vicino alla pasticceria mignon, esplorare con precisione esperta ognuno di quei piccoli miracoli: babà, bavaresi, beignet, cannoli, flan, meringhe, choux, alla crema, alla fragola, al caffè, al cioccolato, che solo le mani di Luc sono in grado di inventare?  Tra tutti ne hai scelto uno – coincidenza, come me, una millefoglie al cioccolato – solo per il gusto di andar via con una sorpresa, una dolcezza, un dono in più per il pomeriggio o il dopocena. Poi, col sorriso scaltro e felice della marachella giocata alle costrizioni della linea, hai saldato rapidamente il conto e sei volata via col bottino. La libertà è un brivido, qualche volta di felicità, altre di angoscia, e lascia sempre un conto da saldare. Il tuo lo paghi poco: solo qualche foruncolo sul viso rende umana la tua sfrontata bellezza. Bisognerebbe altrimenti classificarla nella categoria dell’invenzione numerica, del fumetto o del diabolico.

Sì sì, come una cosa bella da vedere e buona da mangiare, così mi sei apparsa quando t’ho vista la prima volta. E se sia stata la tua pelle di alabastro, o il giallo di Siena dei tuoi occhi assassini o i lunghi capelli di pece oppure quella mascella decisa incassata in un ovale da ragazzina o perfino l’impertinenza con cui ti avvolgi intorno quelle sciarpe piene di frutta quasi a dire è questa la mia trincea, il mio tempo per voi, oggi, è terminato, ad aprire un varco nel mio cuore duro e vecchio, a farmi trovare una strada, un modo per desiderare  di alzarmi al mattino, non saprei. Forse potrò dirtelo solo quando non ti vorrò più, quando i miei giorni torneranno ad essere la noia del sopravvivere senza domani. Ma potrei anche non scoprirlo mai, irretito fino all’ultimo istante di vita nelle spire della tua dipendenza, di questa droga dolce che è volerti ogni giorno.

Appena sei fuggita ho guardato l’orologio, erano le sette e trentuno. È stato un riflesso, mi sono organizzato subito, ho registrato tutto: le coincidenze dovevano tornare a coincidere. 

Fuori c’era già il sole ma faceva ancora freddo. Il 67 risaliva rue de Bobillot; di lì a poco avrebbe raggiunto avenue d’Italie, svoltato a sinistra su place d’Italie in direzione del Boulevard de l’Hôpital per arrivare a Jussieu, attraversato la Senna e si sarebbe diretto a Pigalle. Poca gente in giro, Parigi è pigra, prima delle nove dorme ancora: per strada ho incrociato solo qualche giovane mamma col bambino da depositare alla scuola materna prima di andare al lavoro, due studenti appressati, un gruppo di nottambuli incalliti dell’ultimo bicchiere prima di ritirarsi e le automobili dirette verso l’A6 dei lavoratori di Orly, Rungis e delle ZI della periferia. L’aria era tersa e odorava di un miscuglio dolce e pungente di vaniglia e sapone di Marsiglia, quello usato dai portinai per lavare i contenitori della spazzatura.

Cosa avevo fatto quel mattino? Come ero uscito di casa? Non c’era nulla di diverso dal solito, mi ero comportato come sempre, ero uscito di fretta dopo aver preso il caffè, avevo acceso la sigaretta come d’abitudine appena fuori dal portone e mi ero fermato davanti all’edicola a guardare i titoli di Libé. Arrivato all’altezza della pasticceria, spedita la cicca nel tombino centrando come d’abitudine la griglia, mi ero messo in fila. Ne sono sicuro, non pensavo a nulla, piuttosto provavo invece, 000come ogni giorno, a combattere la stanchezza di quell’ora di sonno in meno che mi porto sempre dietro, e siccome faceva freddo volevo entrare per stare al caldo. Guardavo a terra per concentrarmi, per isolarmi senza farmi distrarre. Mi muovevo o, piuttosto, ciondolavo intirizzito pestando i piedi sul marciapiede. Così la prima cosa apparsami di te sono state le scarpe, stivali neri con le suole di gomma e tacco basso. Nulla di speciale se non fosse stato quel profumo d’ambra e terra bagnata a farmi levare lo sguardo e incontrare un sorriso di ciliegia che diceva il fait froid, vrai? mentre ti stringevi, anche tu infreddolita, in un cardigan rosso di lana doppia. Ti ho guardato gli occhiali; gli occhi non si vedevano, nascosti dietro il riflesso della strada sulle lenti. E ho risposto alla twingo verde acqua che in quel momento li attraversava, oui le printemps n’est pas encore assurée. Assicurata? Assicurare la primavera? Chissà cosa avevo in mente, magari non volevo dare una risposta banale, oppure volevo fare l’interessante ma non ricordo altro; di quel momento lì rimane un vuoto di memoria.  Probabilmente ho anche sorriso, ma so bene di averti girato subito le spalle chiudendo gli occhi e lasciandomi invadere da te, senza fiato, asfissiato dal piacere mescolato allo spavento.

Forse sono stato scortese, forse volevi parlare, occupare quell’attesa chiacchierando di tutto e di nulla, consumare il tempo con la gentile cordialità che talvolta si produce tra due sconosciuti costretti nella stessa condizione. Ma come avrei potuto? Il tuo odore e quel sorriso avevano occupato ogni centimetro cubo del mio spazio esigendo tutta la mia concentrazione per non naufragare, per governare il cuore in tumulto e l’agitazione da cui ero posseduto. La cosa si è un po’ calmata quando siamo entrati finalmente nella pasticceria: l’aroma dei croissant caldi, del pane e dei dolci si è imposto e sono tornato a respirare. Di fronte alla vetrina dei pasticcini ci siamo messi spalla a spalla compressi dalla gente in fila avanti e dietro di noi; ci fossimo voltati l’uno verso l’altro le nostre labbra si sarebbero incontrate. Riuscivo perfino a sentire il tuo alito di menta piperita domandare a Leila, la moglie di Luc, di cosa fossero farcite le millefoglie.

Così vicini e così lontani. Toccarti. Se solo ti avessi toccata, saresti rimasta con me per sempre. Ma la barriera invisibile della convenienza sociale si ergeva tra noi due e mi impediva di fare il primo passo. Eppure, sembrava facile avvicinarmi ancora un po’, prenderti una mano e stringerla, rimettere a posto quella ciocca di capelli ribelle incollata davanti agli occhi, consigliarti in un sussurro complice il miglior dessert della città. Sarebbe potuto succedere, perché no? Perché non ci riuscivo lì, davanti a tutti?

Non ho avuto altro tempo per riflettere, o per sognare: più veloce della luce hai scelto due croissant, una baguette e la millefoglie, hai pagato e sei sparita. Prima di andar via ti sei voltata e mi hai sorriso, sono sicuro, mi hai sorriso. Era un invito? L’altro croissant era per me? Uscendo hai girato a destra verso Tolbiac. Ho pagato e son corso nella tua stessa direzione: ho guardato in ogni portone, in ogni traversa, sono entrato in ogni negozio; mi sono messo a guardare nelle auto che passavano ma, dopo venti minuti di inutile ricerca tra Bobillot e Tolbiac, senza più nessuna tua traccia, sono tornato a casa sconfitto, svuotato, ossessionato dal pensiero di te, distratto da qualunque cosa non fossi tu. Ancora ebbro del tuo profumo ho provato a fissare nella memoria i pochi minuti del nostro incontro.

E ho aspettato il tuo ritorno. Ogni giorno, ogni mattina, dalle sette e venti alle sette e quaranta ti ho aspettata. Dall’altro lato della strada. Ti ho aspettata per settimane, mesi, tutti i giorni, alle sette e trentuno del mattino. Ogni giorno, con la pioggia, con il sole, il vento d’aprile, l’afa di agosto ed il freddo di gennaio. E ogni giorno sono tornato a casa senza più risorse, frustrato dalla tua assenza, disperato all’idea di averti persa. E ogni giorno di fallimento mi sono incolpato di aver sbagliato a ricordare qualcosa di quel momento, di essere forse uscito di casa col piede destro e non quello sinistro, di aver controllato male l’ora perché forse non erano le sette e trentuno; sono arrivato perfino a pensare che la mia era stata soltanto un’illusione ottica, che tu esistevi soltanto nella mia mente. E sono andato a dormire in lacrime la sera per svegliarmi al mattino di nuovo fremente, ansioso di correre fino alla boulangerie per vederti finalmente arrivare, arricchito un giorno in più della tua assenza, aspettando l’ambra, la terra, la vaniglia e il sapone di Marsiglia, la menta piperita e il tuo sorriso di ciliegia mescolati al pane caldo e ai croissant. Ti ho aspettata ogni santo giorno, per un anno intero. 

Fino a quando non sei ricomparsa.

Come le stagioni, un anno dopo. Ti sei avvicinata alla fila. Avevi un giaccone pied de poule giallo paglierino e nero. Un’evocazione piuttosto contemporanea direi. I capelli corvini, gli occhi sempre nascosti dal riflesso della strada sulle lenti. Gli stivali erano lucidi, ma sempre neri. I tacchi bassi. Ho attraversato la strada e mi sono messo subito in fila dietro di te. Ti sei girata, hai sorriso col tuo sorriso di ciliegia e la sciarpa tuttifrutti avvolta intorno al collo. Ti sei aggiustata la ciocca di capelli eternamente incollata sull’occhio sinistro. Fa freddo ti ho detto. Brr hai risposto. E hai sorriso di nuovo. E un anno intero di attesa, di frustrazione e di lacrime è scomparso nel tuo sorriso. Ho sorriso anch’io. Sì, c’era il sole e faceva freddo, come la prima volta. Che scemo a darmi tanto male perché tutto fosse come al primo incontro, era la stagione a dover tornare.

Da allora non ti ho più lasciata andare, neppure un istante.  Ci siamo amati. Senza limiti, senza fine, senza orgoglio, senza paure né rimpianti. Con la pena dolce di separarci al mattino, con la gioia intensa di ritrovarci la sera. Con i baci, le carezze, le tenerezze, le crisi e le durezze dell’amore. Con le riconciliazioni dell’amore. Ci siamo accontentati di poco: restare a casa, mangiare teneramente accoccolati l’uno vicino all’altra sul grande divano rosa a guardare la TV. E baciare la tua bocca, dormirti accanto. E raccontarsi i sogni, i dolori, le speranze senza tempo, le vittorie e le sconfitte di ogni vita. Lasciarsi vivere. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. La felicità sei tu, siamo noi.

Eppure, da qualche tempo io sono triste e tu, tu non sembri più contenta. Il tuo dolce incarnato alabastro si adombra, piccole irritate vene viola affiorano sotto la pelle. Le tue labbra sembrano più livide e la tua bocca quasi rifiuta i miei baci. Il vivo dei tuoi occhi si spegne quando mi guardi. Le tue mani, ah le tue mani stringono forte il pugno quasi a sfuggire la mia presa. Il tuo volto delicato comincia a disfarsi, sofferente, e rifiuta ormai le mie carezze. Sono preoccupato. Forse ho fatto male a chiuderti nella cella frigo. Non avevo il coraggio di metterti subito nel congelatore. Me ne pento, ma sai, non volevo vedere neppure un velo di brina coprirti il volto. Ora sarò costretto a farlo, almeno fino a quando non troverò il coraggio di mangiarti.  

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22 commenti »

  1. BANG! Bella! Bello! Lasciando stare il colpo di scena finale che è già tanta roba di per sé, il racconto è un piacevole ruscello di parole che scorre tranquillo e costante, mai banale. Complimenti e in bocca al lupo!

  2. Non ti nascondo che il finale così raccapricciante mi ha sorpresa assai….

  3. Si, quando è arrivato, ha sorpreso anche me.

  4. Capita quando si scrive con passione e ci si lascia “prendere la penna” dal personaggio. E’ elettrizzante.

  5. Scrittura pulita, lessico ricercato…la quasi banalità del penultimo paragrafo, permette al colpo di scena finale di essere ancora più incisivo. Ottima trovata! i colori pastello che tingono il racconto di atmosfera shabby e raffinatezza, accompagnano il delirio del protagonista che, in un crescendo di mentale irrazionale, colora di alabastro e di viola il macabro finale di questo breve gioiello narrativo. Complimenti!

  6. Hai gelato anche me, alla fine. Complimenti.

  7. Nooo Rocco! 🙂 Sono partita, favorevole l’orario, assaporando l’atmosfera e i dolcetti presentati. Poi mi sono fatta cullare dalle immagini francesi, da questa trama alla Amélie, quasi una fisarmonica in sottofondo. Son qui che rido e rabbrividisco insieme per come mi ha sorpreso il finale. Bravo davvero!

  8. Nooo Vincenzo! Ora è corretto ;P

  9. Non ho parole, sono rimasta di stucco. Hai costruito la storia talmente bene e lui così dolce e romantico che il finale é uno shock! Davvero bravissimo, complimenti.

  10. Grazie a tutti, davvero!

  11. Caro Enzo, complimenti per questo breve racconto che ha la completezza di un racconto più lungo se non addirittura di un romanzo breve. Fa immaginare tra le righe l’anno di attesa del “cannibale” prima di incontrare di nuovo la sua pred… E poi mi affascina la grandissima quantità di richiami letterari e cinematografici contenuti nel racconto, dal surrealismo di Queneau, una spolverata di Simone de Beauvoir, tanto gotico e Poe, ma sempre con una cifra stilistica propria. Bello. Mi piace.

  12. Secondo me è uno dei pezzi più belli di questa edizione. Non tanto, a mio avviso, per la sorpresa finale, perché una sorpresa te l’aspetti sempre e l’assassinio è una delle più frequenti ma per l’eleganza precisa con cui è scritto, qui tutto è veramente molto curato rispetto a molta produzione corrente, e poi per le emozioni che racconta e suscita in cui ci si può immedesimare. L’ultimo amore è come il primo, mi sembra di poter dire: stessi mancamenti, stesse sciocchezze, stessa assolutezza senza appello. Credo che sia tutto vero, o almeno estremamente credibile. E lo leggo come un ultimo appello alla voglia e alla joie de vivre, per restare in ambiente, costi quel che costi. Senza appello, appunto. Bravissimo, gentile Vincenzo, e un grande in bocca al lupo! 🙂

  13. Che dire, il colpo di fulmine, la girandola di fresche sensazioni in una Parigi primaverile… poi la mazzata inattesa. Una scrittura avvincente, ma non ho trovato le motivazioni.

  14. Grazie per tutti questi bellissimi complimenti, coltivo una speranza per la mia futura vita allora… Giuseppe, sì, Parigi è la mia città e ci amiamo perdutamente. Ugo, hai ragione, ci sono amori, se sono amori, che non hanno appello, costi quello che costi, inclusa la salute mentale. Andrea c’è forse bisogno di motivazioni (stai parlando dell’omicidio credo)? Allora te ne do’ due. La frustrazione di ogni giorno, di ogni ora per un anno e la paura di perdere l’altro quando lo si ritrova. Pensa questo povero uomo tutti i giorni ad aspettare un amore, a prendere freddo, caldo, vento, pioggia, guardare l’orologio e aspettare, pensa a cosa pensa. Già immagina come sarà, cosa si diranno, e quando lei non viene la rabbia e la frustrazione, la disperazione monta e monta. Quando dopo l’incontra inizierà a rimproverarla che non è venuta all’appuntamento, lui l’aspettava. E lei che gli si rifiuta pensando ma cosa vuole costui. Lui, impazzito, non vede altra scelta. Non desideravo raccontare questa ultima parte, non volevo cambiasse il ritmo volevo raccontare il suo mondo non la storia. Inoltre, lui è calmo perchè lei c’è, è chiusa nel frigo, non ha bisogno di disperarsi. E se lei è morta e si sta decomponendo, cos’altro può fare per condividere con lei qualcosa se non mangiarla (evocazione di cronaca giapponese )? Ce n’è un’altra, di motivazione, molto personale suggeritami da un’amica, potrebbe trattarsi di un transfert diretto dall’inconscio in letteratura. Sto a dieta da circa 4 anni… capiscimi a me direbbero a Napoli. Vorrei però chiarire, a scanso di equivoci : sono un vegano convinto. Grazie davvero a tutti.

  15. Un peccato di gola non proprio veniale. Mi.associo ai complimenti degli altri, la scrittura rende perfettamente la personalità maniacale, chiusa e ossessiva del protagonista, la sua fissazione per i particolari e ovviamente i suoi appetiti. L’atmosfera parigina ci sta bene con la pasticceria, dona quel tocco di leggerezza e raffinatezza che poi rende anche più forte lo spiazzamento finale. Chapeau!

  16. Un racconto che cattura fin dalle prime righe. Prende il lettore che si ritrova a girare piacevolmente e distrattamente per le vie di una Parigi profumata, leggera, dolce e romantica; la Parigi che ci si aspetterebbe. Se non fosse per il finale. Salta dentro come una detonazione e distrugge tutto quello che è accaduto prima. Spiazzante, inaspettato. Ben riuscito il contrasto tra la prima e la seconda parte, e penso sia questo a far funzionare il racconto: ormai, superati i primi due paragrafi, chi legge è dentro, si lascia guidare tranquillo dal tuo protagonista, quasi quasi gli pare perfino di innamorarsi con lui. Fino alla conclusione, dove non si può fare altro che ritrarsi, sgomento. Grazie per avermi fatto trattenere il fiato!

  17. Grazie Marco, grazie Carola, grazie di aver preso il tempo di leggermi e di commentarmi. E di tutti questi fantastici complimenti.

  18. …. Non me lo aspettavo! Ho trovato questo racconto davvero entusiasmante e il finale talmente inaspettato che non ho potuto fare altro che consigliarlo a tutti i miei amici, loro come me non credevano a quello che avevano appena letto! Nonostante sia un racconto breve è di un’intensità tale da permettere la completa immersione del lettore sia in quell’atmosfera parigina che fa da sfondo che nelle parole del protagonista, tanto da rendere il finale ancora più sconvolgente!

  19. Una piacevole lettura pomeridiana, ponderata e ben riuscita; l’aria di Parigi è deliziosamente palpabile, con uno stile che da il meglio di sé nell’aspetto soggettivo-descrittivo del racconto. C’è da aggiungere che l’ambientazione parigina, pur essendo in effetti ristretta ad un piccolo quartiere (se non addirittura ad un paio di strade ortogonali), è estremamente enfatizzata da quella che è l’ambientazione prediletta nel racconto, ossia la boulangerie, permettendo quasi di respirare il sapore delle prelibatezze davanti al protagonista.
    La narrativa, pur essendo tipica di un breve racconto, si conclude attraverso un climax totalmente inaspettato e certamente ben gradito, lasciando un leggero retrogusto d’amaro in bocca, ma comunque a suo modo “delizioso”.
    Una lettura breve che, seppur dilatata e prolissa nelle fasi iniziali, si dimostra intrigante e sorprendente.
    Un ottimo lavoro, non c’è che dire.

  20. Violetta: grazie dei tuoi bei complimenti e soprattutto del tuo desiderio di condividere con altri questa tua lettura! Leon, cosa devo dirti, sono davvero felice di questa recensione così professionale anche ad incipit prolisso. Grazie ancora a tutti e due!

  21. Complimenti Vincenzo per la meritata vittoria!

  22. Grazie Silvia, insperata e felice!

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