Premio Racconti nella Rete 2010 “De profundis” di Priscilla Inzerilli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2010Sei rintocchi, dal campanile.
Quando cala la sera è bene iniziare a scegliersi subito un buon posto dove trascorrere le ore successive, magari l’intera notte. Non è consigliabile muoversi quando fa buio, soprattutto d’estate, quando girano parecchi ragazzi ubriachi che escono dai bar.
È sempre così. D’inverno c’è il problema del freddo. D’estate c’è quello dei ragazzi. Non sai mai come può girargli.
Per chi vive in mezzo alla strada il crepuscolo è come l’annunciazione di una fine del mondo.
Ogni sera un’Apocalisse. Bellissimo. Ogni sera un’Apocalisse della propria vita si annuncia e cala silenziosamente dal cielo.
Ma il mondo non è mai veramente finito, finchè si ha accanto a sé il caro vecchio amico Jack Daniel’s (discretamente trafugato dal reparto liquori di un discount); così anche stasera l’Apocalisse arriva, ma l’Angelo annunciatore finisce ben presto a mollo nel miglior whisky maltato d’America.
Stasera si va alla grande. Ottimo whisky, niente trombe. Niente fine del mondo. Stasera si va alla grande. Stasera è di lusso. Garçon, stasera non voglio la solita chiesetta, la solita gradinata; stasera ho un ottimo whisky e voglio un tavolo con vista. Vista su San Pietro, ecco. Anzi, proprio San Pietro! Chiesa di lusso! Gradinata di lusso!
Si, al diavolo. Che affoghino tutti. Come l’Angelo. Affoghino tutti nel whisky, niente Apocalisse, stasera Vita!
Vita…
Un barbone non dovrebbe nemmeno pronunciarla quella parola. Lui ce l’aveva avuta una vita, una volta. Ce l’aveva avuta anche lui. Era stato un uomo anche lui. Era stato un uomo! E che uomo! Si, anche lui era esistito, una volta, ma adesso…
Sette rintocchi.
Il tempo sembra trascorrere più velocemente (o più eternamente, non fa differenza) quando galleggi a mollo nel whisky. Quando non c’è l’Angelo con la tromba a svegliarti.
Si stropicciò gli occhi. Era sveglio. La sbronza era passata. Era lucido. Troppo lucido.
Furono i sette rintocchi a svegliarlo. A fargli riprendere per la prima volta, dopo più di dieci anni, coscienza di sé. Come i Sette Sigilli, lo spazio di quei sette rintocchi furono sufficienti a far scatenare la più tremenda delle Apocalissi. La Rivelazione! Il ricordo della propria vita, il ricordo di sé. L’Angelo non era affogato. Si era alzato nel cielo e faceva squillare la sua tromba, annunciando – orrore – non una fine, ma un nuovo inizio! La Vita! La vita era tornata da lui, dopo più di dieci anni. Perché? Perché fate questo? Perché annunciate la Vita a chi una vita non ce l’ha più? Io non voglio ricordare! Non voglio sapere! Non voglio guardarmi ricordarmi come mi chiamo come si chiamava mia moglie mia figlia la mia casa, la casa, il mio nome avevo un nome una vita…
Qualcuno pensa che la disperazione sia uno stato interiore, uno stato in cui sei prigioniero, paralizzato, in cui non riesci ad andare avanti. È tutto sbagliato. È tutto il contrario. La disperazione è un treno in corsa. Tu sei comodamente seduto in prima classe, e il treno va, va, va, e va ancora, velocissimo, e non si ferma mai, mai. Va e continua ad andare, e tu sei lì, e viaggi, comodamente seduto in prima classe. E fuori tutto si muove velocissimo, e il treno va, e non si ferma mai.
Ma era stato un uomo anche lui! Era stato un uomo! E che uomo! E che uomo! Ti avrei potuto insegnare i segreti di Dio e della Musica, caro il mio pretino sbarbatello, che mi passi di lato, adesso. Ora non guardarmi con quegli occhietti da bimbo, ascolta, e ascoltate tutti, adesso! “Ho gridato dai luoghi profondi. Ho gridato verso te dal profondo dell’abisso. Esaudisci, o Signore, il grido della mia supplicazione! Attraverso la Morte e la Resurrezione, verso un giorno più divino!”
Un giovane seminarista e altri due preti si fermarono un secondo, interdetti, forse dal delirio, forse dalla colta citazione, forse da entrambi. Aveva declamato quel geniale violinista, come lui, che finì miserevole, come lui, con le mani orribilmente deformate, la sua Grazia irrimediabilmente deformata. Come lui. Ma loro che ne potevano sapere. Il grande Giuseppe Vannicola era morto. Come lui. Amava questa drammatica somiglianza tra i loro destini.
Perché mi guardate cari i miei pretini, io ero un uomo, e vi avrei potuto insegnare i segreti di Dio e della Musica, se fossi ancora un uomo, se quel giorno non avessi trovato un altro uomo, un brav’uomo, certamente, come diceva mia moglie, quel brav’uomo in casa mia, nella mia casa, nella mia vita! Mia moglie! “Opus consummavi, amica…” Era la mia vita! E se non ci fosse stato il whisky, poi, e se per colpa del whisky le mie mani… se avessi ancora il controllo delle mie mani, allora ve li avrei insegnati, i segreti della Musica, di Dio. Perché Dio è Musica, “perché La Musica è principio. La Musica è fine. La Musica è centro.
Essa è l’atto iniziale della volontà e l’atto definitivo della beatitudine.
Essa è la Genesi e l’Apocalisse dell’Universo.”
De profundis!
Ma voi che ne potete sapere di Dio, della Musica, di me. Delle mie mani distrutte, della mia vita distrutta. Che ne potete sapere della profondità del Cielo.
Se solo… se solo le campane non avessero suonato. Se solo avessi avuto il coraggio di vivere. O di morire. Ma basta con le Apocalissi. Voglio solo dormire. Voglio solo che il treno si fermi. Voglio vedere di nuovo il cielo. Prima galleggiavo. Nuotavo nel cielo, nuotavo nella vita, tutto era liquido. Poi le campane hanno suonato. Sono riemerso, ho respirato di nuovo.
Morire è doloroso, dicono. Nascere lo è ancora di più. Quando vieni al mondo piangi, dicono, quando vieni al mondo gridi!
De profundis!
“L’abisso invoca l’abisso!”
“La profondità della terra leva perdutamente le braccia verso la profondità del Cielo: De profundis!
La vertigine grida dall’abisso della Morte verso l’abisso della Vita: De profundis! De profundis!”
Attraverso la Morte e la Resurrezione, verso un giorno più divino!
Ciao Priscilla!
Piacere di conoscerti!
Grazie per il commento… mi piace il richiamo ad una sorta di “Satori”.
Complimenti anche a te, i tuoi racconti sono molto intensi. E’ bello sia il modo con cui hai descritto “la vita che ritorna” nel “De Profundis”, che lo scricchiolio della vita che cambia nella ” falena”.
Subisco il fascino dei piccoli momenti apparentemente banani che portano con sè un significato insospettabile.
Mi sembra che anche per te siano importanti.
Un grande in bocca al lupo.
Silvia
In effetti è così. La vita “risponde” a seconda del modo in cui ci si è “rivolti” a lei fino a quel momento : )
Spero sinceramente che venga premiato l’esempio di scrittura “profonda” che hai fornito, e che non venga penalizzato dalla estrema brevità (non è strano che l’espressione di cose complesse richieda sempre una estrema rarefazione??)
Ciao
Ciao Priscilla!
si, hai ragione, la cosa importante è trovare le parole giuste…senza preoccuparsi di contarle…
e poi, trattandosi di una sottrazione (infinito meno uno) la sfida era anche quella di liberarsi del troppo…del superfluo…di togliere appunto…e di scovare l’essenziale… 🙂
L’altra volta mi sono dimenticata di scriverti che ho la fobia delle farfalle…motivo in più per apprezzare “la falena”!
A prestissimo!
Silvia
…infatti la verità è che aver scritto “La falena” nasce da una necessità “terapeutica”, per me… La “fobia” cosiddetta infatti non è legata all’oggetto della fobia (la farfalla) di per sè, ma ad altre cose che non vogliono uscire fuori direttamente, così come ho cercato di esprimere nel racconto.
Grazie ancora 🙂